Tanto se ribeccamo: KYUSS

A parte aver influenzato il rock americano come pochissimi altri prima e dopo di loro e/o aver generato un genere musicale pressoché dal nulla, i Kyuss hanno resistito all’usura del tempo. Non è una cosa scontata per tutti i gruppi, ad esempio i di poco posteriori Korn avevano (grossomodo) la stessa visione, la stessa influenza e lo stesso impatto fondante ma riascoltare anche solo i primi due dischi ti fa sentire un babbione. Con i Kyuss non è successo: in parte è per via del fatto che lo stoner rock è passato di moda in fretta, non ha invaso le TV se non in un paio di casi ed è diventato appannaggio di una manica di mezzi barboni con un problema di igiene personale che stanno continuando a riproporre da vent’anni lo stesso riff, peraltro copiato da qualche altro gruppo; in parte è per via del fatto che un disco come Sky Valley ha ancora –grossomodo- lo stesso effetto che ebbe la prima volta che l’abbiam messo nello stereo, nonostante tutto quello che il gruppo ha fatto dopo per rovinarlo.

Non era nemmeno iniziata male. L’ultimo disco prima dello scioglimento si chiamava And the Circus Leaves Town ed era pienamente al livello dei due precedenti. L’ultima uscita a nome del gruppo è una bizzarra compilation Man’s Ruin con una cover (bellissima) di Into the Void e qualche altro spizzico, passa per uno split Kyuss/Queens of the Stone Age che mette insieme i primi vagiti del gruppo. La band a questo punto è già sciolta da tempo, John Garcia e Josh Homme non si parlano, emerge qualche problema legato alle royalty. Nick Olivieri torna con Josh Homme e Alfredo Hernandez, John Garcia fonda gli Slo-Burn e poi gli Unida (a un certo punto in formazione salta fuori anche Scott Reeder). Brant Bjork entra nei Fu Manchu e inizia a far uscire dischi solisti. I QOTSA esplodono all’inizio degli anni 2000 con la svolta pop-rock del secondo disco, nel 2000 esce anche un best of Kyuss. I QOTSA iniziano a fare schifo con Songs for the Deaf, che molti appassionati del settore (a cui le canzoni sono dedicate, peraltro) considerano ancora il loro miglior disco. Nello stesso periodo gli Unida muoiono strozzati da un contratto major che blocca un disco già registrato (il leak su internet parla comunque di materiale molto inferiore a Coping with the Urban Coyote). Nick Olivieri esce dai QOTSA all’apice del successo, lasciando a Josh Homme l’ingrato compito di mettere la firma e la faccia su dischi di merda tipo Lullabies to Paralyze ed Era Vulgaris. Nessuno parla ancora di Kyuss, ma il progetto Hermano è il primo gruppo di sempre con John Garcia alla voce a non aver prodotto dischi di livello, gli altri vivacchiano tra luce e ombra, qualcuno rilascia interviste stile “tolto Josh Homme, la reunion dei Kyuss è pronta”. Josh Homme di reunion non vuole nemmeno sentir parlare.

I primi concerti John Garcia plays Kyuss risalgono all’estate del 2010, Brant Bjork e Nick Olivieri non sono ancora della partita ma salgono saltuariamente sul palco a suonare un pezzo o due. A fine anno viene ufficializzata la messa in opera del progetto Kyuss Lives!, cioè in sostanza la reunion dei Kyuss senza Josh Homme. I concerti vanno bene, il gruppo annuncia di aver programmato la release di un album nel 2012. Homme si mette di traverso: a marzo esce fuori la notizia di una causa intentata dal chitarrista a John Garcia e Brant Bjork. Il paradosso è che alla causa, dalla parte di Homme, si unisce anche Scott Reeder, il quale con Kyuss Lives ha persino suonato qualche data in sostituzione di Nick Olivieri. È di qualche giorno fa un’intervista a Brant Bjork e John Garcia su Rolling Stone nella qualem a parte le disdicevoli rivelazioni in merito a certi aspetti della causa (Homme li cita tra le altre cose per truffa ai danni dei consumatori, cioè a dire che la gente va a vedere Kyuss Lives immaginando che sia la reunion dei Kyuss e invece no), vengono gettate luci inquietanti sul periodo d’oro della band: l’uscita di Brant Bjork e il successivo scioglimento della band sono dovuti (nelle parole di quest’ultimo) al fatto che Josh Homme si sia mosso fin dal principio per figurare come l’unico autore della musica dei Kyuss e quindi unico destinatario delle royalties; il che tra l’altro mette in prospettiva cose assurde tipo l’assenza del pezzo più famoso della band dalla scaletta del greatest hits della band. Dall’altra parte abbiamo due tizi che –nel dubbio- hanno riformato i Kyuss senza riconoscere un euro al chitarrista e principale autore della musica del gruppo.

Se ce l’avessero chiesto dieci anni fa, avremmo raccontato la storia dei Kyuss come quella della più clamorosa fucina di creatività del rock’n’roll alla fine del secolo: tre dischi spettacolari, i primi QOTSA, le Desert Sessions, Slo-Burn, Unida, i Fu Manchu epoca The Action is Go, Mondo Generator, il primissimo Bjork solista. Ripercorriamo gli anni duemila e ci troviamo gli Hermano, il disco fantasma degli Unida, tre dischi orribili dei QOTSA, merdate inqualificabili tipo Eagles of Death Metal e Them Crooked Vultures, la reunion farlocca dei Kyuss e un nuovo disco dei QOTSA annunciato da quattro anni. E adesso pure un bel dubbio sui Kyuss stessi. Bella merda, a conti fatti preferisco davvero i Korn.

(l’immagine è rubata a man bassa a SoloMacello, il massimo blog di christian metal italiano, il quale peraltro ha messo la lista dei dieci pezzi degli anni novanta ad oggi più condivisibile, a parte la mia)

QUATTRO MINUTI: il nuovo disco dei Korn, del quale non sono sicuro nè del titolo nè dell’uscita.

(immagine rubata al link di cui all'immagine rubata)

Non è proprio come dire “immonda cagata”, è qualcosa di peggiore e più subdolo ed infame, è qualcosa di cui i Padri Fondatori, cioè sostanzialmente i Korn di quindici anni fa, si sarebbero vergognati fino alle lacrime. Un disco metal brutto senza nemmeno il metal brutto dentro, mascherato da evoluzione stilistica (peraltro inesistente) ed affidato alle cure di una serie di dj a caso quasi tutti senza vergogna e stile. Non che io abbia dimestichezza coi nomi coinvolti, ma è intrinseco nel fatto che abbiano voluto lavorare ai pezzi e fare uscire cose come quella di cui stiamo parlando. La cosa più brutta e sbagliata è rendersi conto del fatto che questa cosa non viene fuori né dal nulla né dagli anni duemila della band: è una cosa che ha le sue origini ALMENO nello sbagliatissimo “esperimento” di metal meets old skool sulla colonna sonora di Spawn, una cosa che si protrae nel corso degli anni e ha seminato zizzania in quasi tutto il materiale da Issues in poi, per svelarsi in tutta la sua bruttura nefasta e brutale nel disco presente. Che poi anche tutto sommato cose legate tipo Cradle of Thorns o LAPD non è che fossero esenti dal discorso. MERDA DI CANE. No, peggio. Aridatece le tute di lustrini fatte dai bambini menomati del Cile.

QUATTRO MINUTI: Korn III – Remember Who You Are (Roadrunner)

VIA
Alla fine l’ho sentito ed è esattamente uguale a come me l’ero immaginato: i Korn di, boh, Take a Look in the Mirror in versione un poco più rough, senza un briciolo del bruciore di culo che aveva reso grandi i Korn con Ross Robinson E con una chitarra in meno che proprio (somehow) si sente molto. Un paio di pezzi non da buttare, il resto tutto da forca. Qualcuno ironizzi sul titolo, io sono scarico. Probabilmente al venti per cento è colpa nostra: non abbiamo più l’attitudine di un tempo. Rimane comunque il loro ottanta per cento.
Fine del primo minuto. Per gli altri tre minuti potrei parlare di questo bar vicino al monastero di Camaldoli che vende focaccine calde con salumi di cinghiale e cose simili (spettacolose, almeno 9.4), ci sono stato oggi in gita, ma forse mi prenderò i due minuti che rimangono ora per fare un briciolo di edit di quello che ho scritto. Ciao mamma, sono su internet.
STOP

la gigantesca scritta LOAL: il concerto nei cerchi nel grano dei KORN

Neanche noi.

 
Tanto per alimentare l’insensatezza generale che ammanta tutto quel che riguarda l’uscita del nuovo Korn III, qualche executive pieno di cocaina fino alle orecchie qualche settimana fa se ne è uscito con l’idea geniale: perchè non tempestiamo la Rete di una serie di video “virali” in cui si vedono tanti tanti cerchi nel grano realizzati appositamente? Così, per sport: a quanto pare oggi le cazzate sui marziani sono tornate di moda. E poi tanto, peggio di Untitled non può andare, giusto? Detto, fatto: viene ingaggiato un plotone di “esperti” a deturpare una serie di incolpevoli campi di cereali. Il disco esce, ed è a quel punto che qualche altro executive farcito di amfe fin sopra la punta dei capelli deve aver partorito l’idea geniale: facciamoceli suonare dentro uno dei cerchi. Scommetto che Shyamalan non ci avrebbe mai pensato. Questo è il risultato: un’ora e venti di concerto dei Korn dentro un cerchio nel grano. Per aggiungere componenti ritualistiche a random il concerto è stato registrato durante il solstizio d’estate. A vedersi è anche divertente: con tutti quegli elicotteri in volo radente, pare un reboot di Apocalypse Now. Mancano giusto la Cavalcata delle Valchirie e Robert Duvall che dice stronzate sul surf. A un certo punto Jonathan Davis piange. Se poi nei prossimi giorni arrivano gli alieni e cominciano a distruggere tutto il mondo (a partire dalla Casa Bianca) a sparaflashate di raggi laser, perlomeno sapremo con chi prendercela. Nel frattempo, ecco il concerto:

KORN LIVE: THE ENCOUNTER Video di Korn – Video MySpace.

la gigantesca scritta LOAL: Korn III Remember Who You Are (pre-giudizio)

I Korn hanno iniziato a fare schifo al cazzo ai tempi di Issues. Curiosamente, Issues è il primo disco in cui Ross Robinson non aveva nessun ruolo all’interno delle registrazioni (per il precedente Follow The Leader non era produttore, ma fu accreditato come consulente per la registrazione delle parti vocali). Issues fu proprio una doccia fredda. Ero un fan dei Korn, uno di quelli duri e puri -quelli proprio NOIOSI, per capirci. Magliette col logo, pontificazioni, articoloni a tema sulle fanzine, pantaloni larghi -beh forse i pantaloni vennero prima. Scrivevo il nome sui banchetti dell’università e cose simili. Follow The Leader era un disco meno complesso dei due precedenti ma funzionava ancora molto -aveva i pezzi, quantomeno, e riusciva a non farsi rovinare dalla patina rappusa d’accatto dei guest-starring di Ice Cube o Pharcyde. Al cambio di millennio si rompe qualcosa dentro la band; a far viaggiare i ricordi sembrano anche più dei dieci anni che sono passati. Issues, uscito un paio d’anni dopo e prodotto dal temibilissimo Brendan O’Brien, era il primo disco “alla Korn” dei Korn, una raccolta di una dozzina di standard tra Alice In Chains e Depeche Mode con le chitarre ribassate ed un briciolo di teatro in più. Jonathan Davis smise le tute griffate e iniziò a farsi vedere in giro con certe palandrane che gridavano all’omicidio (poi arrivarono il kilt e l’asta del microfono disegnata da Giger -mamma mia). Il disco andò benissimo, naturalmente: erano i tempi della canonizzazione di massa di quei suoni e, uhm, sarebbe stato paradossale lasciar fuori dalla spartizione del bottino quelli che avevano inventato il genere. Paradossalmente fu la band stessa a rivoltarsi alla situazione, chiudendosi a riccio per registrare il quinto disco alle proprie condizioni e facendo levitare il conto dello studio ad un’irragionevole cifra che oscillava intorno ai quattro milioni di dollari. Untouchables non era un brutto disco, tra le altre cose: gothic metal in versione crossover che cercava di sperimentare un po’ sul formato (confronto a Life Is Peachy parliamo comunque di cagatine di mosca) inserendo formati estranei e quasi insidiosi, tipo pezzi di new wave pura e chitarre non-distorte che rimarranno la cosa più sinistra e malata prodotta dai Korn dopo gli anni novanta. Rispetto al precedente, Untouchables vende pochissimo nonostante il Grammy a Here to Stay. In parte è colpa di un leak messo in giro mesi prima del disco ufficiale, in parte -suppongo- colpa della musica. Il disco successivo si chiama Datti una guardata allo specchio ed è ironicamente realizzato in gran fretta/ segreto per non ripetere l’insuccesso del disco precedente. Consta di standard nu-metal che potrebbero essere scritti da un gruppo qualsiasi, suonati con perizia sgrattona alla Korn e tanti saluti. Il titolo probabilmente ironizza sul fatto che il gruppo sia artisticamente al capolinea e pronto a tutto per rimanere sulla cresta dell’onda. Poco dopo Take a Look in the Mirror arriverà il primo Greatest Hits della loro carriera (a questo punto il gruppo ha compiuto discograficamente dieci anni), contenente perlopiù canzoni del periodo brutto -persino una inqualificabile cover di Another Brick in the Wall. Sul resto della carriera dei Korn, semplicemente, è doveroso mettere una pietra sopra. Head, uno dei due chitarristi, esce dal gruppo per dedicare il resto della sua vita a Gesù mentre il gruppo passa a Virgin firmando un contrattone da venti e passa milioni di dollari per due dischi. Il primo è l’ignobile Ci vediamo dall’altra parte, rispetto al quale il disco precedente sembra quasi l’omonimo del ‘94. Il secondo è un disco del 2007 lasciato senza titolo “per permettere ai fans di inventare il nome” (o per cancellare il ricordo di quell’altro disco senza nome, quando i Korn avevano una dignità e spaccavano il culo). È il primo disco dei Korn che mi sono rifiutato di ascoltare. Nel frattempo c’è stato spazio per la tragicomica parentesi unplugged, con tanto di ospitata di Amy Lee (su Freak on a Leash) e due cover-massacro di Creep e InBetweenDays (con i Cure presenti sul palco). Un altro Best of, un altro DVD.

Guardando la cosa a posteriori è difficilissimo ammettere di aver amato i Korn in tempi non sospetti. I Deftones, eterni amici/rivali con una carriera altrettanto lunga (ma molto più ponderosa), arrivano all’ultimo disco di studio con una crediblità che molto probabilmente travalica di gran lunga il valore assoluto delle canzoni. I Korn sono passati in cinque anni dall’essere una congrega di alcolizzati con un cantante tossico che non sapeva nulla di metal a una specie di SpA del gotico americano 2.0, con relativo cambio di fanbase dal primo al secondo stadio; noialtri quei cinque anni ce li siamo vissuti in diretta, e non è stato per niente piacevole -figurarsi per Munky Shaffer. A un certo punto ti guardi indietro e pensi di aver buttato via dieci anni di vita dietro a mignotte e dischi di merda, e ormai la frittata è fatta. Il logorio esistenziale prevederebbe una bella litigata e l’inizio di qualche carriera solista, o la reunion in formazione originale. Poichè tuttavia i Korn in formazione originale ci hanno passato la maggior parte della loro carriera, ivi compresa una bella sfilza di dischi di merda, forse i tempi non sono maturi. In mancanza di ragionevoli alternative, i Korn si riuniscono con il produttore dei primi due dischi e/o il guru del crossover di metà anni novanta, cioè Ross Robinson. Oggi stesso è annunciata l’uscita dell’ultimo disco, che (in onore alla solita maestria dei Korn nel volare basso a mettere un titolo agli album) si chiamerà KORN III.

Insomma, diocristo. KORN III. Sottotitolo ricorda chi sei, dimenticando i sei dischi che hai cagato fuori dal ’98 in poi. Per quanto mi riguarda i Korn continuano ad essere i cinque sopra, non ancora ingrassati nè troppo consci di ciò che stanno facendo. Peccato volermi rovinare quel momento.

Nondimeno, appena mi capita sotto il coltello scrivo la recensione. Per ora mi limito a pensar male, aiutato da un post di GiorgioP che mi fa pensare ancor peggio.. Trivia: il prossimo disco in uscita prodotto da Ross Robinson sarà di quegli art-buzzurri dei Klaxons.

(naturalmente il concetto di pre-giudizio applicato a un blog è una citazione di Kekkoz. Che non sono io, se ve lo state chiedendo.)