
C’è un sacco di dischi usciti nei primi anni novanta che all’epoca mettevano d’accordo anche i preti e che ora preferirei infilare su per il mio culo piuttosto che dentro il mio lettore CD, ma Blood Sugar Sex Magik gioca in una classe a parte. Blood Sugar Sex Magik possiede un potere di annullamento della razionalità che va oltre ogni possibile discorso sensoriale per diventare fastidio puro, malessere, revisionismo storico, sangue nelle strade e cronache di una vita di merda. Blood Sugar Sex Magik è uno di quei dischi che ti dà un fastidio boia anche solo a vederlo esposto nei nice price perenni dei grandi magazzini, figurarsi un negozio di dischi vero: un paio di mesi fa uno l’aveva perfino esposto in vetrina, a vent’anni dall’uscita. Stavo per entrare e ho tirato dritto e giuro che l’ho fatto solo per via di BSSM. Cazzo. Non credo che esistano altri dischi che mi fanno questo effetto, a parte cose tipo i Garbage che comunque hanno almeno la scusa di chiamarsi IMMONDIZIA e di essere stati percepiti come tali non più di due settimane dall’uscita di ognuno dei primi due dischi. Andando in giro invece ti trovi ancora dei fan di BSSM come se fosse la cosa più giusta e naturale del mondo. L’ultima volta che ho sentito Blood Sugar Sex Magik è stato non più di sei mesi fa, perché la mia birreria preferita ha una scelta di 17 dischi rock (la maggior parte dei quali dei Creedence, c’è da dire) tra cui appunto BSSM, che ogni volta stupisce per via di quanto è piatto noioso e finto, anche e soprattutto in rapporto a certi suoi corrispondenti contemporanei invecchiati comunque di merda (tipo il primo RATM o The Real Thing). Ma tutto sommato alla storia della musica si deve quantomeno rispetto. Il problema, con i Red Hot Chili Peppers, è che il processo di degrado ci coinvolge tutti. A vent’anni e passa dall’inizio di un insindacabile processo di caduta artistica, cioè da dopo Mother’s Milk, siamo ancora a chiederci se il nuovo disco dei RHCP sarà passabile o meno. Anche mettendo insieme tutte le arti che Dio ha mandato in terra, vengono in mente pochissimi corrispettivi di gente che ha conservato un barlume di credibilità nonostante un monte di opere così indifendibile, e sono quasi tutti nel cinema (Von Trier, Ridley Scott, cose così). Segue breve cronistoria: esce One Hot Minute, con Dave Navarro in formazione al posto di John Frusciante (impegnato a tempo pieno con la tossicodipendenza e una carriera solista di dischi-capolavoro realizzati col corpo da una parte e il cervello da un’altra); la critica lo tratta malissimo, forse anche al di là delle colpe del disco stesso, e cerca di fare ammenda diversi anni dopo incensando il ritorno di Frusciante in Californication, svolta pop a trecentosessanta gradi il cui unico merito è quello di aver ridotto l’impianto funk al servizio del pop da classifica in modo talmente grossolano e dozzinale da farlo sembrare come il frutto di una riflessione. Seguono lo sbagliatissimo By The Way, una specie di versione roots del disco precedente con le parti di basso ridotte scientificamente ai minimi termini (probabilmente per il LOL) e il doppio Stadium Arcadium, alla luce del quale qualcuno ha persino il coraggio di rivalutare parzialmente By The Way.
In questi giorni, se vi connettete a iTunes, potete ascoltare gratis il nuovissimo I’m With You. È il primo disco registrato dopo la seconda –e si dice definitiva- dipartita di Frusciante (il quale comunque non infila un disco da anni), rimpiazzato da tale Josh Klinghoffer. Il quale, a detta degli altri musicisti, ha portato un autentico rinnovamento nell’impianto della band. Alla prova dei fatti, il rinnovamento di cui sopra è che i pezzi sembrano delle out-takes di un gruppo medio dell’epoca in cui il punk-funk era diventato il nuovo mainstream pop, diciamo dei Bloc Party senza ispirazione (già che io vorrei pestare gli originali, di Bloc Party). A conti fatti è difficile immaginare un disco più fuori fuoco/tempo/bersaglio/asse/graziadidio di questo, ma l’ho comunque ascoltato dalla prima all’ultima nota. Dei geni?