Mi piacerebbe poter dire di quella volta che ero in pasta con i Talk Talk di It’s My Life e The Colour of Spring e poi è uscito quel disco che non suonava di niente ma in modo fighettissimo e da quel momento è partito il post rock, ma ne ho solo letto e perlopiù erano articoli del cazzo scritti da gente che palesemente non ha mai dovuto spalare un metro di neve, o forse sì e hanno i calli su per il culo a forza di dare di badile, CHE NE SO. I Talk Talk mi piacevano anche prima, nel senso che li ho conosciuti quando già Mark Hollis aveva fatto uscire il disco solista e i loro dischi mi piacciono tutti più o meno allo stesso modo, ma riesco a capire perchè la seconda parte della loro carriera eserciti così tanto fascino sugli introdotti. L’idea di avere una cosa dentro che è diversa da tutte le altre cose e di portarla avanti a costo di suicidarti scientificamente sul mercato discografico e tutte quelle robe lì, insomma, son vent’anni che rompiamo i coglioni ai nostri amici e alle nostre fidanzate con i dischi e i film e i libri, un eroe ogni tanto ce lo meritiamo pure noi. Questa settimana ho dovuto spalare il mio primo metro di neve, ma ho potuto farlo con Laughing Stock nelle cuffie.
Il nuovo disco degli Earth è la parte due di Angels of Darkness, Demons of Light. Ho sentito un paio di pezzi sul tubo e non ci sto dentro. in qualche modo le due cose sono legate, ma non capisco bene come.
Questa è veramente geniale: The first digital only single / EP from jesu, with a possibility of very limited vinyl and CD editions in early 2011.Written, recorded and mixed by Justin K Broadrick alone in Nov / Dec 2010, during the writing and demoing of the forthcoming jesu LP for Caldo Verde. Inspired by the onset of the Christmas period and the emotions and feelings of nostalgia, joy and sadness that the period often evokes (dal blog di Justin Broadrick).
Il pezzo è un piccolo miracolo di industrial post metal cupissimo e disperante che le vene te le fa taja’, probabilmente la cosa migliore incisa a nome Jesu dopo l’irraggiungibile primo album; sentire Broadrick pronunciare chiaramente le parole “Merry Christmas” fa un effetto strano, più o meno come se il Papa dicesse “viva la figa” durante un’omelia. Ma non è una sensazione spiacevole, anzi; semmai è qualcosa che accresce il senso di straniamento già abbondantemente presente, come perdersi nel mezzo di una tormenta nella parte più buia e squallida della città, la neve fino alle ginocchia, il vento gelido dritto in faccia, gli occhi lacrimanti dalla brina, le dita dei piedi che iniziano a perdere sensibilità. Del resto del testo non sono riuscito a decifrare manco mezza parola tanto il lancinante salmodiare di Broadrick è sepolto sotto riverberi di chitarre taglienti come ghiaccio sulla pelle; ma forse, tutto sommato non è poi così importante. Forse, tutto il senso del pezzo sta lì, in quel “Merry Christmas” malcerto esalato da qualche parte nella nebbia a un minuto e quindici secondi dall’inizio, sospeso per un istante nella tempesta, già dissolto nel gelo.
A seguire due ‘remix’ ad opera dello stesso Broadrick, in realtà un’unica lunga coda della lacerante title-track; ancora chitarra su strati di synth e rintocchi di campane lontane nel Pale Sketcher mix, soffocante ambient dronata nei quattordici terminali minuti del Final mix. La migliore strenna natalizia sentita da… boh, forse da sempre. Purtroppo per ora solo in digitale, a tre sterline sul sito della Avalanche Inc. Buon Natale a tutti.
Ultime segnalazioni prima del nulla assoluto in occasione delle festività. Questa sera dalle 18.30 al Modo Infoshoppresentazione del primo volume del manovalesco progetto Der Maurer di Enrico Gabrielli, poi se anche a voi non è sembrato il caso di andare a liquefarvi al Locomotiv la buona notizia è che i Mahjongg suonano al Clandestino a Faenza, gratis (dalle 22). Mercoledì 22 di nuovo al Clandestino per gli Ahleuchatistas (gratis, dalle 21.30), giovedì fattanza introspettiva al Futurshow Station pilotata dagli storici crucchi Tiefschwarz in mood prenatalizio, occhio giusto a non farvi salire male l’acido… Venerdì celebriamo la nascita di Gesù Cristo al Locomotiv con dj-set molesti di Økapi e dj Bubble potenziati dai visuals malsani di vj Q (dalle 22 a oltranza). Sabato chi non è alle prese con orde di parenti rincoglioniti, digestioni impossibili, diabeti fulminanti, fegati corrosi, otturazioni saltate e overdose di torroni su per il culo potrà scegliere se trascorrere la serata in compagnia di Calibro 35 e Bologna Violenta al Bronson oppure al Redrum per il Christmas Tek, parata di dj e live set hardtekno/frenchcore e psytrance articolata in due sale (dalle 22.30 a oltranza; infoline 377 1060199).
Dal momento che settimana prossima l’agendina dei concerti si fermerà segnaliamo il bis ravennate dei Calibro 35martedì 28 dicembre al teatro Rasi per la sonorizzazione dal vivo del claustrofobico rape & revengeMilano Odia – la Polizia Non Può Sparare, originariamente accompagnato dal dissonante score di Ennio Morricone. Buon 2011 a tutti.
immagine di repertorio per far passare il concetto che fa freddo e c'è la neve
Anche se fa freddo e nevica e Bologna-Chievo è stata rinviata per questo e al Cioccoshow non c’erano i cioccolatini a forma di cazzo la città non si arrende: ecco il bellicoso programma della settimana.
Si comincia stasera al Nuovo Lazzaretto con una scarica di metalpunk alla zozza courtesy of i lerci Blunt Force Trauma del mitico Felix Griffin; aprono le danze Minkions e Zio Faster, inizio puntuale alle 22, cinque euracci l’ingresso e se non sei vestito come un vecchio punk londinese e/o un thrasher decerebrato americano degli anni ottanta ti lasciano fuori a gelarti il culo. Martedì a parte Paola e Chiara al Mediaworld di Imola e il pessimo Wavves al Bronson (21.30, quindici euro, pettinatura orrenda e guai a ‘suonare’ più di mezzora) non mi risulta ci sia altro in giro; io non mi voglio male fino a questo punto per cui penso proprio che resterò in casa larvale a fissare le pareti, in modo da tenermi in forma per il concerto dei nostalgici e malinconici Soviet Soviet mercoledì 1 dicembre all’XM24 (dalle 22, gratis). Per i più temerari in vena di avventurose gite fuori porta, al To Be or… di Civitanova Marche suonano gli sferraglianti Din [A] Tod (dalle 21.30); obbligatorio presentarsi mascherati da gerarca sadomaso. Giovedì 2 serata imperdibile per chi ama la musica: allo Scalo San Donato dalle 21.30 Vakki Plakkula e Banda Roncati, se siete vivi non avete scuse, non si può mancare. Non so il prezzo, ma difficilmente starà sopra i cinque euro.
Venerdì 3 ci sono gli HELMET al Bronson (21.30, quindici euro). Non credo di dover apporre ulteriori commenti, ma nel caso abbiate bisogno di motivazioni supplementari sappiate due cose: 1) Bastonate dj-set prima/durante/dopo il concerto a base di pezzi che non avete mai sentito in un locale e che probabilmente non sentirete mai. Non sognatelo, siateci. 2) After splitting with Winona in 2006, Page Hamilton has dated the bisexual hardcore porn actress Jezebelle Bond. She has talked about quitting the porn business for him on her blog @ myspace.com/jezebellebond13
Per completezza segnalo anche gli altri appuntamenti di venerdì 3 dicembre: Youth Brigade + guests al Nuovo Lazzaretto (dalle 22, cinque euro), Titor + Verme + Hazey Tapes all’Atlantide (dalle 22, pochi euri), Tilbury plays Cardew al Museo della Musica (dalle 21, dieci euro), OfflagaDiscoPax in tour acustico al Locomotiv (dalle 21.30, dieci euro più tessera AICS sette euro), Clinic al Covo (dalle 22, abbastanza euro), e per gli sbarazzini della notte Tying Tiffany dj-set al Decadence (dalle 24, quindici euro) e James Holden al Kindergarten (23.30, ingresso dai quindici euro in su).
Sabato i riformati Swans al Locomotiv (apertura porte alle 21), se venticinque euro più altri sette di tessera AICS che non userete da nessun’altra parte non vi spaventano è l’unica occasione in un tot di tempo per godersi l’abissale Michael Gira (che, a scanso di equivoci, è e resta un gigante); a patto che poi riponiate lamette coltelli corda barbiturici e in generale ogni altro tipo di oggetto contundente e/o nocivo alla salute, per accantonare i propositi suicidi e tornare ad amare la vita c’è Carola Pisaturo al Cassero (dalle 24, dieci euro). Gran finale domenica 5 (se ve la sentite) all’Estragon con gli Skid Row (dalle 21.30). Giusto un paio di deterrenti: i biglietti stanno a ventisei euro e alla voce non c’è Sebastian Bach ma quell’altro.
aggiunte romagnole: LUNEDI’ 29/11
Un cazzo di niente, sembrerebbe. Serata interlocutoria a guardare Fazio sbronzissimi e/o a disegnare un nuovo episodio della serie a fumetti più bella del mondo che ancora voi non avete visto -mentre io sì. Puppatemi la fava. Un’alternativa possibile è l’esecuzione di Masticazzione con due zete, session per chitarra ed effetti vari ed eventuali in cameretta mia ad opera di me in persona, ingresso 13 euro a inviti. Approfitto della sponda per porre il copyright sempiterno sull’idea concerti a casa propria, molto evidentemente la COSA del 2011.
MARTEDI’ 30/11 Wavves al Bronson, nonostante l’abbiano beccato in Germania con del fumo (questo per dire che il nazionalsocialismo aveva dei vantaggi, insomma). 15 euro più i cerini.
MERCOLEDI’ 01/12 What Contemporary Means (bella domanda) al Diagonal al posto di Julie Doiron, oppure The Jim Jones Revue al Clandestino
GIOVEDI’ 02/12 A Place To Bury Strangers al Bronson. O Texas Terry Bomb al Sidro, chiunque sia/siano.
VENERDI’ 03/12 Helmet al Bronson. Se non capite un cazzo di musica potete anche andare a Club Dogo al Velvet o Tokyo Sex Destruction + Small Jackets al Georg Best (Montereale, colline cesenati).
SABATO 04/12
Un sacco di robe, tra cui ovviamente preferirò di brutto andare a vedere Micah P.Hinson per la novantunesima volta, al Bronson di Ravenna. Concerto dell’anno. In alternativa tali Rock’n’roll Kamikazes al Sidro, Ennio Morricone a Pesaro da vedere strafatti di porra o Storm[O] e Abaton al Valverde di Forlì. I piatti più sugosi sono un tributo a Jeff Buckley al velvet con tanto di Gary Lucas, che suonerà con tre italiani qualunque. BRRR. Oppure Airway al Vidia di Cesena, probabilmente il peggior gruppo di sempre, Finley meets altre cose simili. Li ho visti a Cesena di spalla ai Get Up Kids.
DOMENICA 05/12
Un cazzo di niente, sembrerebbe. Serata interlocutoria a guardare report sbronzissimi e/o a disegnare grossi piselli sui muri degli stabilimenti all’Anic di Ravenna in segno di sgomento generazionale.
Le sei del mattino. Questa notte la temperatura, già assurdamente folle durante il giorno, non è scesa di un grado. O meglio, se anche è scesa, un permanente e impenetrabile tasso di umidità che avrebbe mandato in paranoia la più tenace delle zanzare di Singapore non ci ha permesso di registrare comunque alcuna variazione. Si gronda al minimo movimento, muri e pareti sono ancora roventi (per non parlare dell’asfalto), immettere aria dentro ai polmoni diventa roba da sfiancare Carl Lewis, sembra di stare respirando della ghiaia; nei giorni scorsi almeno per due-tre ore nel pieno della notte la combinazione letale afa+umidità concedeva una tregua, la morsa si allentava, ad aver fortuna si alzava perfino un infinitesimale alito di vento. Si poteva perlomeno tornare ad annaspare senza per questo cadere preda di visioni mistiche; si riusciva addirittura a dormire qualche ora, e i più temerari potevano cimentarsi nel tentativo di tirare una cagata decente senza poi svenire. Non questa notte. L’afa emiliana vive di vita propria: non è paragonabile a niente, non risponde a schemi o regole di sorta, è implacabile, non conosce rimedi né scappatoie. Ci hanno provato a raccontarla ma nessuno c’è riuscito, semplicemente perché non può essere spiegata: è così e basta. L’effetto a livello psichico è paragonabile soltanto a un insostenibile stato di allucinazione perenne, un senso di paralizzante angoscia cosmica che anche Lovecraft, nella più particolareggiata e malsana delle sue descrizioni, è riuscito soltanto a sfiorare. Solo chi è molto fortunato possiede gli anticorpi necessari per contrastarne parte della molestia; tutti gli altri possono soltanto continuare a subire rantolando nel fango, rassegnarsi a rinunciare definitivamente alla dignità del vivere, arrancando pietosamente giorno dopo maledetto giorno nella vana speranza che il supplizio non si protragga oltre la soglia dell’umanamente tollerabile. E i bollettini meteorologici non portano nessuna buona nuova; pochi minuti fa ho sentito Giuliacci annunciare che da lunedì arriverà l’anticiclone africano (il che nel linguaggio dei comuni mortali significa che farà ancora più caldo), come se quelle degli ultimi giorni fossero state temperature da Polo Nord.
Visto che gli scorsi rimedi per combattere l’afa hanno portato fortuna (il giorno dopo si è scatenato un temporale durato quarantotto ore ininterrotte che ha abbassato le temperature di almeno dieci gradi), e che considerata la situazione ci si aggrappa a tutto, ecco un altro consiglio musicale che non fallisce mai (perlomeno da queste parti) nel portare l’inverno almeno nella nostra testa. La cosa bella (per noi) è che questa volta non si tratta di un singolo brano bensì di un disco intero – il che significa durata più lunga, il che significa sollievo maggiore; ed è The White Birch, ultimo (in tutti i sensi) lavoro dei Codeine. Personalmente lo preferisco di gran lunga al pluricelebrato (da quelli che pensano di capirne di musica più degli altri) Frigid Stars, un gran disco ma decisamente ancora troppo allegro e positivo nonché impregnato di fastidiosi umori ‘siderali’ degni piuttosto di qualcuno dei miliardi di cloni incapaci degli Spacemen 3. The White Birch è un’altra cosa; è un disco capace di rovinare la giornata e far precipitare nel gorgo dei rimpianti e dei ricordi senza ritorno anche il più ricco arrogante fottuto pornodivo sulla faccia della terra. Uno straordinario capolavoro di sconforto, rassegnazione e dolore elevati alla massima potenza, nonché – ed è quel che ci interessa qui – uno dei dischi dal suono più gelido che io conosca; credetemi, non esiste black metal band al mondo che riesca a portare le folate di vento della più incarognita delle tempeste di neve direttamente nel salotto di casa come sono riusciti a fare i Codeine. Ogni riff, ogni variazione di tono, ogni passaggio è come se trasportassero nell’epicentro di una tormenta in cui a uccidere è il gelo che lentamente penetra nelle ossa, la visibilità ridotta a una decina di metri (ma tanto non servirebbe a un cazzo comunque), il ghiaccio che entra negli occhi e li fa lacrimare, le dita delle mani ormai blu. Oltre a fungere da megafono per dare voce ai deboli e agli umiliati di tutto il mondo (i testi sono tra i più tristi, empatici e universali di sempre), The White Birch è anche probabilmente il resoconto più fedele in musica delle fasi finali dell’ipotermia. L’ideale da mettere su in queste interminabili giornate terrificanti. Buon fine settimana, ovunque voi siate.