MATTONI issue #18: THE ATOMIC BITCHWAX

Beccati questa Fritz Lang.

Eccolo dunque il colpetto da stronzo, la Prova Di Forza, la dimostrazione di prevaricazione gratuita e assolutamente non richiesta. Io ti spiezzo, il mio uccello è più grosso del tuo, e chi sarà mai questo Jimi Hendrix, io ho fatto 975.000 dollari l’anno scorso tu quanto hai fatto?, guarda come vado a canestro, il mio SUV è più ingombrante di una portaerei e inquina quanto Fukushima all’ora di punta, ho le palle grosse come cocomeri e mi sono appena scopato tuo padre. The Local Fuzz è la trasposizione in musica del teppista più antipatico e pieno di sé che alle elementari ti rubava la merenda umiliandoti fino alle lacrime durante la ricreazione; se fosse un film sarebbe Novecento (grandeur epocale e durata estenuante e bestemmie di bambini e cazzi barzotti di De Niro e Depardieu compresi), se fosse un libro sarebbe l’Ulisse, però lungo il doppio e senza punteggiatura. Somiglia piuttosto a un film porno o a una partita di calcio infinita, gesto atletico allo stato puro, con la differenza che qui è divertente: quarantadue minuti di stoner blues rock psichedelico e tastierato alla vecchia, un monumento al fuzzbox che Mark Arm al confronto è un dilettante piagnucoloso, motivato e animato da una carica di testosterone come manco un plotone di camionisti in un bordello dopo un viaggio non-stop di sei mesi. Gli Atomic Bitchwax, fino ad oggi poco più di un simpatico gruppetto di onesta manovalanza stoner delle retrovie, noti più che altro per essere partiti come side-project del biondo Ed Mundell (chitarra stordente nei Monster Magnet migliori), hanno scritto con The Local Fuzz il loro Presence, il loro Time Does Not Heal, però tutto condensato (si fa per dire) in un unico pezzo. Soprattutto, ci risparmiano l’immenso strazio di dover subire qualche bolso clone del cazzo di Robert Plant che latra BABY BABY BABY BABY BABY nei momenti più atroci (il disco è interamente strumentale), e anche soltanto per questo RISPETTO a prescindere. Certo ci sono alcuni momenti (per la precisione ai minuti 18, 23, 29, 35 e 38) in cui la continuità cede e si passa brutalmente da una sequenza di riff a un’altra senza apparente costrutto, ma questo succede comunque senza mai pregiudicare lo scopo principale del pezzo, che è mettere simpaticamente i piedi in testa a chiunque sia convinto di saper suonare in modo più viscerale, stronzo e drogato dei tre cazzoni sballoni qui presenti. The Local Fuzz è sicuramente il MATTONE più divertente intercettato finora.

QUANTO ERAVAMO DISADATTATI: il mio terzo tempo, il quarto e pure il quinto

The dark side of the spoon

Diciamo la verità: Max Pezzali all’ultimo Festival della Canzone Italiana non ha fatto una gran bella figura. Si è presentato con una canzone che cercava disperatamente di rinverdire i fasti dei bei tempi che furono senza rendersi conto che non siamo più nel 1994 e la gente è molto cambiata, sia esteriormente che interiormente. Tanto per dire, i giovani che erano giovani allora adesso non sono più giovani ed i giovani di oggi sono diversi dai giovani di allora, sono molto più giovani (con tutto ciò che ne consegue in termini di autentiche illusioni come “mi posso vestire male come mi vestivo male quindici anni fa, tanto mi apprezzano perché sono quello che sono ma soprattutto perché sono genuino”, “posso di colpo presentarmi con una canzone uguale a quelle che facevo ad inizio carriera, tanto io sono così e mi capiranno comunque” , “sono finito artisticamente da almeno dieci anni ma fortunatamente sono uno che sta simpatico alla gente e dunque perdoneranno ogni mio tentativo di raschiare il fondo del barile” e “sono il riccardone della canzone giovanilista italiana”)(dopo aver espresso un pensiero del genere mi gira la testa, rileggendolo non ci capisco nulla ma va bene così). È stato triste vederlo in quello stato, con la voce incerta ed un testo che parla di un ipotetico secondo tempo, ennesimo prototipo di metafora calcistica per annunciare al mondo una sua rinascita che poi non si sa se sia davvero giunta a compimento sul palco sanremese. Davvero triste, mi ha fatto male.

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