I Korn hanno iniziato a fare schifo al cazzo ai tempi di Issues. Curiosamente, Issues è il primo disco in cui Ross Robinson non aveva nessun ruolo all’interno delle registrazioni (per il precedente Follow The Leader non era produttore, ma fu accreditato come consulente per la registrazione delle parti vocali). Issues fu proprio una doccia fredda. Ero un fan dei Korn, uno di quelli duri e puri -quelli proprio NOIOSI, per capirci. Magliette col logo, pontificazioni, articoloni a tema sulle fanzine, pantaloni larghi -beh forse i pantaloni vennero prima. Scrivevo il nome sui banchetti dell’università e cose simili. Follow The Leader era un disco meno complesso dei due precedenti ma funzionava ancora molto -aveva i pezzi, quantomeno, e riusciva a non farsi rovinare dalla patina rappusa d’accatto dei guest-starring di Ice Cube o Pharcyde. Al cambio di millennio si rompe qualcosa dentro la band; a far viaggiare i ricordi sembrano anche più dei dieci anni che sono passati. Issues, uscito un paio d’anni dopo e prodotto dal temibilissimo Brendan O’Brien, era il primo disco “alla Korn” dei Korn, una raccolta di una dozzina di standard tra Alice In Chains e Depeche Mode con le chitarre ribassate ed un briciolo di teatro in più. Jonathan Davis smise le tute griffate e iniziò a farsi vedere in giro con certe palandrane che gridavano all’omicidio (poi arrivarono il kilt e l’asta del microfono disegnata da Giger -mamma mia). Il disco andò benissimo, naturalmente: erano i tempi della canonizzazione di massa di quei suoni e, uhm, sarebbe stato paradossale lasciar fuori dalla spartizione del bottino quelli che avevano inventato il genere. Paradossalmente fu la band stessa a rivoltarsi alla situazione, chiudendosi a riccio per registrare il quinto disco alle proprie condizioni e facendo levitare il conto dello studio ad un’irragionevole cifra che oscillava intorno ai quattro milioni di dollari. Untouchables non era un brutto disco, tra le altre cose: gothic metal in versione crossover che cercava di sperimentare un po’ sul formato (confronto a Life Is Peachy parliamo comunque di cagatine di mosca) inserendo formati estranei e quasi insidiosi, tipo pezzi di new wave pura e chitarre non-distorte che rimarranno la cosa più sinistra e malata prodotta dai Korn dopo gli anni novanta. Rispetto al precedente, Untouchables vende pochissimo nonostante il Grammy a Here to Stay. In parte è colpa di un leak messo in giro mesi prima del disco ufficiale, in parte -suppongo- colpa della musica. Il disco successivo si chiama Datti una guardata allo specchio ed è ironicamente realizzato in gran fretta/ segreto per non ripetere l’insuccesso del disco precedente. Consta di standard nu-metal che potrebbero essere scritti da un gruppo qualsiasi, suonati con perizia sgrattona alla Korn e tanti saluti. Il titolo probabilmente ironizza sul fatto che il gruppo sia artisticamente al capolinea e pronto a tutto per rimanere sulla cresta dell’onda. Poco dopo Take a Look in the Mirror arriverà il primo Greatest Hits della loro carriera (a questo punto il gruppo ha compiuto discograficamente dieci anni), contenente perlopiù canzoni del periodo brutto -persino una inqualificabile cover di Another Brick in the Wall. Sul resto della carriera dei Korn, semplicemente, è doveroso mettere una pietra sopra. Head, uno dei due chitarristi, esce dal gruppo per dedicare il resto della sua vita a Gesù mentre il gruppo passa a Virgin firmando un contrattone da venti e passa milioni di dollari per due dischi. Il primo è l’ignobile Ci vediamo dall’altra parte, rispetto al quale il disco precedente sembra quasi l’omonimo del ‘94. Il secondo è un disco del 2007 lasciato senza titolo “per permettere ai fans di inventare il nome” (o per cancellare il ricordo di quell’altro disco senza nome, quando i Korn avevano una dignità e spaccavano il culo). È il primo disco dei Korn che mi sono rifiutato di ascoltare. Nel frattempo c’è stato spazio per la tragicomica parentesi unplugged, con tanto di ospitata di Amy Lee (su Freak on a Leash) e due cover-massacro di Creep e InBetweenDays (con i Cure presenti sul palco). Un altro Best of, un altro DVD.
Guardando la cosa a posteriori è difficilissimo ammettere di aver amato i Korn in tempi non sospetti. I Deftones, eterni amici/rivali con una carriera altrettanto lunga (ma molto più ponderosa), arrivano all’ultimo disco di studio con una crediblità che molto probabilmente travalica di gran lunga il valore assoluto delle canzoni. I Korn sono passati in cinque anni dall’essere una congrega di alcolizzati con un cantante tossico che non sapeva nulla di metal a una specie di SpA del gotico americano 2.0, con relativo cambio di fanbase dal primo al secondo stadio; noialtri quei cinque anni ce li siamo vissuti in diretta, e non è stato per niente piacevole -figurarsi per Munky Shaffer. A un certo punto ti guardi indietro e pensi di aver buttato via dieci anni di vita dietro a mignotte e dischi di merda, e ormai la frittata è fatta. Il logorio esistenziale prevederebbe una bella litigata e l’inizio di qualche carriera solista, o la reunion in formazione originale. Poichè tuttavia i Korn in formazione originale ci hanno passato la maggior parte della loro carriera, ivi compresa una bella sfilza di dischi di merda, forse i tempi non sono maturi. In mancanza di ragionevoli alternative, i Korn si riuniscono con il produttore dei primi due dischi e/o il guru del crossover di metà anni novanta, cioè Ross Robinson. Oggi stesso è annunciata l’uscita dell’ultimo disco, che (in onore alla solita maestria dei Korn nel volare basso a mettere un titolo agli album) si chiamerà KORN III.
Insomma, diocristo. KORN III. Sottotitolo ricorda chi sei, dimenticando i sei dischi che hai cagato fuori dal ’98 in poi. Per quanto mi riguarda i Korn continuano ad essere i cinque sopra, non ancora ingrassati nè troppo consci di ciò che stanno facendo. Peccato volermi rovinare quel momento.
Nondimeno, appena mi capita sotto il coltello scrivo la recensione. Per ora mi limito a pensar male, aiutato da un post di GiorgioP che mi fa pensare ancor peggio.. Trivia: il prossimo disco in uscita prodotto da Ross Robinson sarà di quegli art-buzzurri dei Klaxons.
(naturalmente il concetto di pre-giudizio applicato a un blog è una citazione di Kekkoz. Che non sono io, se ve lo state chiedendo.)