MoHa! @ Clandestino, Faenza (10/10/11)

no, la foto non è mia.

Il Clandestino è un locale da aperitivi e simili di Faenza (con attaccato un ristorante) fissato con concerti e simili. Il locale è molto ricercato, i concerti tendono ad essere molto belli. Per il Clandestino passa abitualmente gente tipo Quintron, Jeffrey Lewis e dio solo sa quanti concerti fighi ci ho visto dentro. Al Clandestino hanno la Guinness alla spina e la fanno a quattro euro e quaranta. Gli unici tre problemi del Clandestino sono che
su internet esiste a malapena e a volte ti trovi a scoprire che il gruppo più figo della terra ci ha suonato la sera prima;
i concerti iniziano verso le undici e mezzo, a prescindere dal fatto che l’artista poi magari suoni due ore;
il Clandestino è sempre pieno e fa più gente con la birra e il vino che con la musica, quindi ai concerti c’è sempre un chiacchiericcio di fondo che in certe occasioni rompe veramente molto il cazzo (tu prova a immaginartelo, Matt Elliott che suona al mercato il sabato mattina).
Detto questo, io ho una certa età, e un certo numero di amici che hanno l’età mia e (perlopiù) se ne fregano bellamente della musica. Al Clandestino il lunedì sera comincio a fare fatica, non ho manco un cicisbeo per il viaggio di ritorno e anche la gente che vive in zona mi fa le pulci. Riesco a trovare un paio di amiche, riesco ad uscire di casa, riesco ad impormi di uscire di casa e mi trovo al Clan verso le undici. Mai vista così poca gente qui dentro, in ogni caso. Dieci minuti dopo la tenutaria del posto, una signora scontrosa di nome Morena, segne le luci e bofonchia “ora beccatevi ‘sta sbudellata.” I MoHa! iniziano a suonare e vanno avanti nemmeno mezz’ora.
I MoHa! (e in generale l’n-collective) sono in scioltezza una delle cose migliori che il rock pesante o la musica avant abbiano cagato fuori negli anni duemila. Un impianto ridotto all’osso, chitarra e batteria, su cui il gruppo lavora da una decina d’anni aumentando ad ogni giro la complessità. Il risultato finale, come messo in opera nella data faentina, è che più di un concerto di mezz’ora si sembra una suite di due ore liofilizzata E più che due persone sembrano sette persone in due corpi. Una cosa mastodontica. Da quello che si riesce a capire di quel che succede sul palco, la musica si basa su dei pattern di batteria furiosissimi ed associati a degli effetti al computer, su cui il chitarrista/tastierista suona due strumenti contemporaneamente aggiungendo frequenze altissime o bassissime a seconda dei momenti. Il tutto a volumi collegato a dei riflettori paurosi che sparano flash su una sala buia ad altezza uomo. I possibili corrispettivi freak statunitensi, tipo Lightning Bolt/Hella/Flying Luttenbachers, al confronto sembrano gruppi beat degli anni sessanta. Qui tutto l’impianto di base è rinegoziato alla norvegese, cioè il più asettico e impersonabile e pulito possibile, roba con la quale è quasi impossibile entrare in vibrazione e pensare a un momento in cui si abbia voglia di ascoltarla sullo stereo. Ma dal vivo probabilmente è la roba più arrogante e cazzuta che sia dato sentire al momento e su questa cosa non c’è tema di smentite. Il tour è ancora in corso: stasera suonano al Grottarossa di Rimini, poi non so. Andateci.