che poi quando muore un eroe assoluto ti accorgi che, nonostante lui abbia parlato a tanti oltre che a te (non particolarmente a te), e puoi quindi essere stato geloso dei Velvet Underground ma fino a un certo punto, e ai concerti c’era il pubblico generico, e talmente tanto ne parlava addirittura Repubblica quando usciva The Raven, ed era in fondo un po’ così essere l’autore senile dell’ennesimo progetto artistico ispirato a Poe; e i greatest hits, i concerti con il pubblico generico, Antony, essere i soli ad aver davvero capito Heroin – nonostante tutto questo, quando muore un eroe il vuoto è improvviso, e più grande. Sono anni che mi dico, e cosa faccio quando muore Bob Dylan?, e in qualche modo ero pronto. Non ero preparato alla morte di Lou Reed (quanto è banale dirlo? Ma non credevo fosse possibile). Cè una foto all’interno del terzo disco dei Velvet Underground, quello omonimo, in cui lui avrà molti anni in meno di me adesso e naturalmente non sa ancora tutto quello che si scriverà e si racconterà su quello che stava facendo in quei giorni – non sa nulla di tutte le band che verranno, e gli onori – tutta quella enorme, vana influenza (nessuno arriverà mai più in alto). Non sa ancora, in quella foto, che il 2013 e lo stava aspettando, e aveva i denti.
Quello che non sappiamo noi, invece, è che cosa ci resta da fare adesso.
Who loves the sun? Who cares that it is shining? Who cares what it does since you broke my heart?
Il disco dei Metallica con Lou Reed, minacciato da mesi a furia di mezze parole e anticipazioni di copertine brutte e tutto il resto, è triste noioso e brutto in culo. È una cattiva notizia non tanto per chi si aspettava qualcosa dagli uni e dall’altro (l’unico tratto in comune tra i due sembra poter essere che il loro unico contributo al pop dell’ultimo ventennio non sia venuto dai loro dischi: i Metallica hanno iniziato la guerra contro il file-sharing, Lou Reed ha scoperto Antony per caso e l’ha aiutato a diventare una popstar); è triste soprattutto per chi si aspettava, tipo io, un momento di svacco assoluto e/o un nuovo standard del peggio, tipo la versione metal obeso del disco di William Shatner o che. Qualcosa di incredibilmente kitsch e vaneggiante, qualcosa che facesse a pugni con qualsiasi idea di contemporaneità. Così non è. LULU sta a metà tra l’ambizione di ributtar fuori un disco dei Velvet Underground a caso in versione doom metal classico e la speranza di tirar su qualche soldo tra quelli che nei primi anni duemila avevano ascoltato il primo Audioslave e avevano iniziato a gridare al ritorno dell’american rawk. Nessuno dei cinque elementi coinvolti, e mettiamoci pure nel conto lo staff produttivo e la gente che ha lavorato alla promozione, sembra avere il minimo dubbio sul fatto che questa cosa dei Metallica con Lou Reed sia serissima e normalissima. Fatte le dovute distinzioni, i soldi e il tempo investiti in questa faccenda hanno qualcosa di agghiacciante. Il disco ha già meritato il titolo di album da deridere dell’anno in corso, ma non è affatto meritevole di scherno. È solo triste noioso e brutto in culo, e fa cagare addosso dal ridere a quelli che si mangiano TUTTA l’altra merda solo perché gente più influente dell’ascoltatore medio aveva già scongelato il parere e non voleva buttarlo, per così dire. Possibile recensione al seguente link.
Il titolo di opera da deridere dell’anno in corso immagino vada invece al disco di un altro gruppo che nonostante si chiami SUPERHEAVY (credo maiuscolo) non c’entra un cazzaccio di nientaccio con bastonate punto wordpress punto com: è il nome di un gruppo che sta girando adesso e che comprende nientepopodimeno che Mick Jagger (il cui unico contributo alla musica pop degli ultimi vent’anni è stato quello di ricordarci che nella disputa tra Beatles e Rolling Stones hanno sempre vinto gli Slayer, figurarsi contro i Metallica e Lou Reed) assieme a Joss Stone e un figlio di Bob Marley a caso, anch’esso destinato (non lo so, lo immagino solo) come gli altri figli di Bob Marley e/o i figli di altri artisti morti a rimpinguare le fila di chi dovrebbe suonare un aratro invece che una chitarra. Insomma, c’è un singolone dubbettone in giro per le radio che grida vendetta e automobili rigate, e non avete ancora visto il video. Il resto del disco non l’ho sentito e non credo lo farò entro la fine del mese. Ho già altri conti da pagare, e.g. la Telecom mi tartassa di chiamate.
Una gallina vecchia che fa ancora il brodo buono invece si chiama Noel Gallagher, che da diversi mesi sta sfrangiando il cazzo col singolissimo The Death of You and Me, a nome Noel Gallagher’s High Flying Birds (credo che sia come dire Ariel Pink’s Haunted Graffiti). E niente, basterebbe anche solo il singolo a mandare in soffitta la controparte Beady Eye, la quale comunque viene mandata in soffitta anche da una mia scoreggia l’altro ieri mentre uscivo al casello di Cesena Sud ascoltando la colonna sonora di Drive, ho persino chiesto al casellante se gli piacesse l’avant-pop. Ma il disco, IL DISCO, è una roba di fierezza british di ritorno che non si sentiva da anni, specie perché io non ascolto la roba british se non si tratta di Oasis e gruppi coevi e non credo di perdermi niente di figo (magari qualcuno venga qui sotto e usi la parola KASABIAN, dai, ti sfido due volte ti sfido figlio di puttana dì KASABIAN un’altra maledettissima volta). All killers no fillers, come ai glioriosi tempi degli Oasis dei primi dischi (poi a me gli Oasis piacevano anche quando rompevano il cazzo a tutti perché ogni tanto arrivava una spallata di Noel stile Little by Little, quelle robe fatte per fare urlare gli hooligan ubriachi). Comunque anche tra Oasis e Blur vincevano sempre gli Slayer. Tra Take That e East17 non sono altrettanto sicuro.