Time is never time at all // Sono vent’anni che è uscito Mellon Collie

May the king of gloom/
be forever doomed

Io non lo so se è andata davvero così, ma io me la ricordo così. A Roma nel 1995 pioveva, gli autobus erano arancioni, e Piazza Esedra si chiamava ancora così. Via Nazionale era molto bella, e non c’erano catene o negozi di souvenir (non c’erano turisti a Roma nel ’95). Dall’altra parte del fiume, Trastevere era tutta nera e sporca – l’avrebbero ripulita e distrutta per il Giubileo del 2000 -, ad eccezione dei muri dove stava scritto, mai capito perché: Husker Du. In genere i negozi erano prevalentemente librerie, o negozi di dischi, di abiti usati però belli e a poco, e c’erano cinema, un sacco di cinema. Mellon Collie and the Infinite Sadness uscì una sera di ottobre, aveva smesso da poco di piovere, e poco prima di Rinascita, in un cantuccio, c’era una ragazza che piangeva. Comprai il disco a 36.000 lire (come state immaginando la scena? Era buio e freddo, nel ’95 ottobre era freddo e faceva buio presto) e, sulla via del ritorno, lei era ancora lì ma abbracciata a un ragazzo che la consolava – crederò sempre che lui abbia capito l’errore commesso grazie al fatto che io stavo comprando Mellon Collie.

Che quando passo di là e Rinascita non c'è più - al suo posto un gorgo, che ha risucchiato in sé gli autobus arancioni, i Sì, i Ciao, i ragazzini senza casco e quel modo buffo di parlare - che quando passo di là, e Rinascita non c'è più
Che quando passo di là e Rinascita non c’è più – al suo posto un gorgo, che ha risucchiato in sé gli autobus arancioni, i Sì, i Ciao, i ragazzini senza casco e quel modo buffo di parlare – che quando passo di là, e Rinascita non c’è più

Nell’ottobre del ’95, con buio e freddo e pioggia, dei venticinquenni vestiti come gli Smashing Pumpkins nella foto che c’è nell’ultima pagina del booklet erano dei gran fichi, e così sembrarono a me mentre aspettavo che i miei genitori, incredibilmente giovani e in sé, allora, preparassero la cena a me e a mia sorella, che era chiusa in stanza a parlare al telefono (fisso) e, come me, non sapeva tutto quello che sarebbe successo negli anni a venire: la morte delle nonne e dello zio ancora giovane, il cambiamento climatico, una bella bambina, internet nel telefono, e che per anni e anni non ci saremmo né visti né parlati (è ancora così). Mellon Collie è rimasto, l’ho messo su un secondo fa, e a tenermi le lacrime negli occhi (Mellon Collie è l’unico disco che mi abbia fatto piangere – non lo so se è davvero così, me la ricordo così) è la considerazione che non se ne può più di questi blogger, questi recensori, questi uomini che ascoltano la stessa musica di quando avevano i capelli e la barba non gli cresceva, e come tutti dal medioevo o da prima sono lì patetici a cercare qualcuno che capisca perché quegli accordi sono così speciali – e si beccano in genere i vaffanculo di chi, più giovane, sta ascoltando altra musica, e farà un giorno la stessa fine.

MellonCollie booklet
Nel 1995 dei venticinquenni vestiti così sembravano fichissimi – lo penso ancora (i pantaloni argentati) (la giacca gialla)

Non ricordo se è andata proprio esattamente così, ma è così che me la ricordo: non è che non esistessero i vocabolari, nel ’95, ma non c’era di certo Google Translator e in genere non era semplice trovare qualcuno che capisse davvero l’inglese. Perciò cercammo di tradurci da soli i testi, ricordo i fogli A4 scritti in blu con la biro, ricordo davvero la fottuta calligrafia e come posso spiegare quel milione di momenti insignificanti che vive qualunque adolescente che non sa che gli stessi momenti saranno un giorno la cosa più preziosa   – il mio ricordo siamo io e Andrea che attraversiamo il Circo Massimo durante una notte di pioggia, e improvvisamente ci rendiamo conto che per terra è pieno di lombrichi, e la paranoia di evitare di calpestarli ci fa saltare di qua e di là gridando finché non ci rendiamo conto che siamo ridicoli e ridiamo fino a morirne, ma continuando a schivare i lombrichi, e più ridiamo più ce ne sono più è difficile restare in piedi. Sulla traduzione dei testi avevo da dire in realtà che non li capivamo, ma da lì prendevamo i nomi delle nostre band: Sad Machines, roba così, roba diretta. Cosa volesse dire che il tempo non è mai tempo, poi, non lo ho mai capito, ma sono certo con ogni mia più piccola molecola che è proprio così.

Io non so che vita abbia fatto Billy Corgan, destinato negli anni a venire (questi anni) a diventare uno zimbello del web, un vecchio rocker dimenticato perché privo di qualsiasi cosa faccia tendenza adesso. Billy Corgan lo vidi dal vivo, la prima volta, a Milano nell’aprile del ’96, a Milano sempre con Andrea che aveva lì i nonni, arrivammo giusto in tempo per l’inizio del gruppo spalla (i Filter, li abbiamo dimenticati tutti) e quando Corgan salì sul palco indossava la maglietta con la scritta ZERO del video, la indossavamo anche io e Andrea e – lo ricordo così, per me è così – la avevano tutti i ragazzi nel pubblico, cioè tutto il pubblico, perché nessuno, lì dentro il Palatrussardi, doveva avere più di diciotto anni. Quasi nessuno, in generale, aveva più di diciotto anni allora. Billy Corgan, che non so che vita avesse fatto prima né quella che ha fatto dopo, quel giorno era un eroe che, ritenevamo, cantasse divinamente e fosse capace di arti magiche con la chitarra elettrica.

Ok, ho trovato solo questa. Sono gli Smashing Pumpkins al Palatrussardi il 24 aprile del 1996. Era la prima volta che vedevamo Billy Corgan senza capelli (in realtà, pochi giorni prima era uscito il video di 1979, che ci aveva sconvolto tutti). Jonathan Melvoin era ancora vivo. Noi anche eravamo vivi.
Ok, ho trovato solo questa. Dovrebbero essere gli Smashing Pumpkins al Palatrussardi il 24 aprile del 1996, ma non so se è così perché, lo ricordo bene, lui indossava la maglietta con scritto Zero, ma magari si è cambiato a un certo punto. Era la prima volta che vedevamo Billy Corgan senza capelli (in realtà, pochi giorni prima era uscito il video di 1979, che ci aveva sconvolto tutti). Jonathan Melvoin era ancora vivo. Verso la fine del concerto suonarono Mayonaise, senza distorsione. Raccontai la cosa ai miei amici il giorno dopo dicendo che la avevano suonata “piano piano”. Si accese un mare di accendini – si poteva fumare al chiuso, all’epoca, e le luci degli smartphone non esistevano ancora. A me si era aperta la bottiglietta d’acqua nello zaino.

Non posso giurare che sia andata così, ma ci metterei la mano sul fuoco: nessun adolescente, nel 1995, era in disaccordo sugli Smashing Pumpkins – si potevano amare i Nirvana oppure i Pearl Jam, o odiare entrambi e amare l’heavy metal, ma i Nirvana erano complessi e ironici e i Pearl Jam troppo lirici e americani. Gli Smashing Pumpkins invece, con Mellon Collie, scrissero la musica perfetta per quella generazione, non so come ma loro sì, ne erano consapevoli perché 1979 (che è il mio anno di nascita e quello di tutti coloro che comprarono Mellon Collie quella stessa sera di ottobre) parla precisamente di questo. Andrea disse un pomeriggio, qualche secondo dopo l’inizio del disco, che nessuno aveva mai composto una musica tanto perfetta per descrivere la tristezza. Non conoscevamo Chopin, non conoscevamo un cazzo a dire la precisione perché avevamo sedici anni, Cristo, ma non ce ne importava proprio niente e a me non importa ancora. Mellon Collie, questo lo ricordo bene, è pressoché l’unico disco che ritengo di aver ascoltato per quattordici mesi dopo la data di uscita, e se ascoltavo altro era Siamese Dream.

Billy Corgan scrisse da solo tutte le canzoni di Mellon Collie tranne le uniche due brutte. Billy Corgan scrisse anche una marea di altre canzoni che non finirono su Mellon Collie ma come b-side nei singoli che aspettavamo con tremenda impazienza – in quegli anni uscivano e venivano venduti i CD singoli – e poi imparavamo a memoria, come tutte le loro canzoni di cui riuscissimo a procurarci i testi. Ho anche ricordi divertenti di quel periodo, tipo il fatto che compravamo costosi spartiti dei Pumpkins che rappresentavano l’unico modo di avere i testi degli album che non li avevano nel libretto (a meno che uno non si mettesse lì a decifrare gli scarabocchi di Siamese Dream). Già che c’eravamo, provavamo a suonare le canzoni, e prendemmo come studio la cantina di uno di noi, che foderammo con i cartoni delle uova cercando di insonorizzarla. Non funzionò, qualcuno chiamò i vigili, che vennero e risero con le lacrime a vedere i cartoni e ci vollero troppo bene e del resto, voi cosa fareste davanti a una scena così, ragazzini vestiti assurdamente con le chitarre elettriche (la mia era rosa) e la batteria, a suonare in una cantina dell’Esquilino in mezzo a un cazzo di milione di contenitori di uova? Un’altra volta qualcuno, per farci provare, ci mise a disposizione di domenica lo studio del padre dentista, che era su Via del Babuino tipo al primo piano, e noi suonammo a tutto volume con in mezzo la sedia da dentista, e quando uscimmo e scendemmo per strada c’era un centinaio di persone che guardava verso la finestra aperta chiedendosi cosa fosse quel baccano appena finito. Sono sicuro, giuro che è andata così.

Questi dovrebbero (potrebbero) essere gli SP a Milano, sempre il 24 aprile del '96. E' radicalmente diversa dall'altra foto, credo sia giusta questa perché ricordo lo schermo dietro. Il pogo su Zero mi travolse come non mai. Chissà che una di quelle mani non sia la mia.
Questi dovrebbero (potrebbero) essere gli SP a Milano, sempre il 24 aprile del ’96. E’ radicalmente diversa dall’altra foto, credo sia giusta questa perché ricordo lo schermo dietro. Il pogo su Zero mi travolse come non mai. Chissà che una di quelle mani non sia la mia.

Il finale di un pezzo così non lo so come potrebbe essere – è che mi viene da fare una considerazione malinconica e infinitamente triste, che è una conclusione scontata, ma del resto anche Mellon Collie finisce con la ballata che ti aspetti perché è un grande disco classico e i classici sono così, se sono libri hanno i personaggi e la morale, se sono arti visive imitano il vero, e se sono dischi hanno la ballata in fondo (Learning to Crawl dei Pretenders, il secondo Pogues, Fisherman’s Blues, Blood on the Tracks e Mellon Collie). La considerazione malinconica, dicevo, è che i Pumpkins sembrano aver fatto una fine cinica come gli anni che sono seguiti al più bel decennio che ci sia mai stato – gli anni Novanta del ventesimo secolo, in cui loro furono la più grande rock band del mondo. Billy ha riunito il gruppo e soprattutto è un meme. Iha suona in gruppi minori, e fa cose che riguardano la moda. Jimmy e D’Arcy, come allora, sono incasinati con la droga e le stronzate, lei in particolar modo è perduta da qualche parte in America, sul suo conto si trovano a stento notizie strane, e se non fosse una cosa difficile, soprattutto se non fosse una cosa alla moda, perché non voglio rovinare tutto con la moda, giuro che andrei a cercarla e filmerei la ricerca per sapere che ne è stato. Viaggerei, credo, sullo stesso furgone che c’è nel video di Today. Per quanto riguarda me, ho una vita molto bella e chi mi conosceva da ragazzino penso direbbe che è proprio la vita ci si sarebbe aspettati da quel me-stesso. Io so soltanto che tutto ciò che è venuto – è stato un bene – ha portato via il piccoletto che ero, dandomi altro, certo, e altro togliendomi. Questa, come banalità, non è male, eh? Andrea vive all’estero da tanto, lo ho visto forse quattro volte in dieci anni e quando ci vediamo diciamo cose che tra le righe vogliono dire ti voglio bene, ma ormai non ci conosciamo più e quindi parliamo di libri alla moda, di stronzate. Mia sorella, non so perché, ma devo essermela persa da qualche parte quindici anni fa. I miei genitori sono molto vecchi, ma mio padre è diventato il nonno più dolce dello splendido bimbo che non avrei mai immaginato di avere. La mia copia di Mellon Collie è sempre la stessa.

(si possono dedicare i post? Per V., soprattutto la V. del 1995 che non conoscevo ma è come se. And you can make it last forever)