QUATTRO MINUTI: Explosions in the Sky – Take Care, Take Care, Take Care (Temporary Residence)

(la cover del disco non mi piace)

VIA
Qualche settimana fa ho tirato un pippone gratuito che insultava il concetto di post in genere sulla base del fatto che la corrente che ha sostanzialmente vinto la corsa è diventata un genere a sé. Questa cosa c’entra e non c’entra con Explosions in the Sky, il cui disco più riuscito è stato un tale successo pop da ingabbiarli in una specie di stereotipo secondo il quale loro sono i migliori, i più fighi e i più bravi a sviluppare un certo discorso melodico. Il che tra l’altro ci sta in pieno, con buona pace di tutti quelli che remano contro (un gruppo che per certi versi comprende anche me). La grana è che tutti i dischi dopo The Earth etc etc contengono più o meno la stessa cosa di quello sopra, aggiungendo elementi invisibili qua e là e rinunciando non si sa bene per quale motivo a tutti gli sfoghi-devasto come la fine di The Only Moment etc etc, senza darci niente in cambio se non una specie di reminiscenza iperprog aggiornata ai nostri tempi. Che poi non sarebbe neanche questo -in senso stretto- il problema:  provate a
STOP

Mancaroni: MOLASSES – A SLOW MESSE

Marco Delsoldato scrive su Kronic, Ondarock, SMS e un sacco di altri posti. Ha anche -assieme ad altri- un blog sulla pallacanestro che si chiama come un disco dei June Of ’44.  Che per come la vedo io è un po’ la parabola della sua esistenza, nel senso una qualsiasi storia del cazzo, a patto che ci siano in mezzo i June Of ’44. Il primo ospite a mandarci un Mancarone.

aslowmesseIl DISCO
Nel 2003 esce (per Fancy/Alien8 Rec.) A Slow Messe, terzo disco dei Molasses. Non necessariamente quello da consigliare a tutti i conoscenti. Piuttosto quello da passare- subito- agli amici che stimi per gusto musicale, perché in qualche modo vicino al tuo (quindi il migliore possibile, per inerzia da classifica di fine anno o decennio o secolo).
Si ruota intorno a Scott Chernoff, sorta di direttore d’orchestra, autore e cantante di un manipolo di persone legate alla Constellation (Godspeed, Silver Mt.Zion, Hrsta, Set Fire To Flames, Fly Pan Am), con l’aggiunta, nell’occasione specifica, di Chris Brokaw e Thalia Zedek. Gli episodi sono ventisei (la metà dei quali strumentali, siamo sui novanta minuti), in cui folk-drone, post-rock e cantautorato slow si mischiano al rumorismo di fondo. In breve: alcune, pur dilatate all’eccesso, sono vere e proprie canzoni (Killing Lucy Stone è fra le dieci di un millennio a caso), altre spezzano il ritmo e fanno godere quasi di più, perché alla base del progetto c’è un disordine voluto e ricreato alla perfezione (anche se meno caotico rispetto ad altri lavori con la medesima griffe). In copertina una cattedrale gotica di Montreal. Non è casuale, ma per conoscere la storia comprate l’album e sfogliate il libricino interno (magari ascoltando la conclusiva Slow Mass).

PERCHE’ NON STA NELLE CLASSIFICHE DI FINE ANNO
Da questo ambiente potrebbero finirci gli ultimi Godspeed, gli attuali Silver Mt.Zion o le collaborazioni con Vic Chesnutt. Volendo, ma dovreste cercarne di particolari, i Do Make Say Think. Ed è anche giusto, almeno nel mondo in cui viviamo. I Molasses, comunque, no. Loro non compariranno. Come non troverete i Set Fire To Flames. E non solo perché, ufficialmente (e per entrambi), l’etichetta di riferimento non era la Constellation.

PERCHE’ STA QUA DENTRO
L’ho divorato con continuità assoluta e, decidendo io cosa mettere, non potevo esimermi. Per alcune derive post folk, avvenute fra il 2000 ed il 2009, meriterebbe un invito personalizzato. Occorre aggiungere che è talmente straziante ed urticante da dover essere inserito per diritto narcolettico. In fondo, però, penso sia un puro discorso di estetica.