Una terza per il ventennale di Hanno ucciso l’uomo ragno

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Ho un amico che scrive sul Riformista e sul Corriere, pubblica romanzi e saggi per i principali editori italiani ed è fan degli 883. Finché non si deciderà a scrivere qualcosa di intelligente e bello sul più grande gruppo pop italiano dopo la brigata Osoppo  dopo i CCCP (ma forse neanche), mi tocca sprecare un pomeriggio di non-neve a parlare di un disco uscito esattamente vent’anni fa.

Vent’anni fa era un tempo venuto prima di ogni moda che riscoprisse qualcosa venuto prima – questo perché succedevano ancora cose nuove -, e siccome allora tutta la gente che contava aveva tra i 13 e i 16 anni, da bravi teenager avevamo deciso di scegliere una parte e di contrapporci l’un l’altro. All’epoca, peraltro, era semplice fare qualcosa del genere perché in tutti i campi c’erano solo cose fichissime, gli alternativi avevano i Nirvana, gli alternativissimi i Fugazi, i classic-rockers tutti i rockers classici non ancora vecchi, i popsters Michael Jackson, i rapper i Public Enemy, i metallari i Metallica, i metallarissimi Burzum, gli indie i Pavement e gli hipsters non esistevano proprio. Anche chi non si occupava di musica aveva cose fiche da fare, questo perché nemmeno Internet e le droghe esistevano e persino loro, per ammazzare il tempo, dovevano comprarsi dei dischi, tutta roba che gli appartenenti alle altre categorie all’epoca schifavano e che avrebbero poi riscoperto un sacco di tempo dopo (credo d’altra parte che nessun gruppo indie-pop post 2000 abbia mai scritto una ballata bella quanto la metà di Back for Good).

In questo clima di diffusa euforia – con i nostri padri appena tornati dall’Iraq, allora appena sconfitto per la prima volta – uscì Hanno ucciso l’uomo ragno, clamorosa e devastante instant-hit che, a un tempo, scolpiva per sempre nelle nostri menti preadolescenti 1) i primi, immortali riff di pianola e 2) che gli Stones suonavano blues, una verità lampante ma non per delle giovani menti a compartimenti stagni.

Ora, che un disco e un gruppo del genere possano essere apprezzati anche da cazziduri amanti di Jesus & Mary Chain e Osunlade, non credo suoni strano oggi, in questi tempi dove, come dice kekko (3-2), tutti ascoltano tutto (noi compresi) e s’è perso ogni senso; eppure era davvero difficile allora, quando non potevamo ammettere ai noi stessi tristissimi cantori di Down In a Hole che Pezzali&Repetto erano dieci volte più commoventi, veri, nostri.

C’è almeno una cosa buona che ti dà il diventare grande, e cioè che in fin dei conti puoi ascoltare ciò che vuoi, senza pensare a cosa pensano gli altri: mi sono comprato tutta la discografia degli 883 in cofanetto, e gli Alice In Chains non so più neanche dove li ho messi.

P.S.: La penso diversamente dagli altri, il capolavoro degli 883 sarebbe stato Nord Sud Ovest Est (da avere nella versione con bonus tracks, che comprende la rara L’ultimo bicchiere cantata da Pezzali), e La donna, il sogno e il grande incubo ha il pezzo più bello mai scritto in Italia (ovviamente “Gli anni”, ancora meglio nella versione live diffusa anni dopo)

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Musica è / l’amico che ti parla / quando ti senti solo

Il Darby Crash italiano, morto per noi peccatori. Buona Pasqa! Buona Pasqa a tutti, frateli e sorele!

Che cosa vuol dire musica di qualità?

(a questo punto parte istantaneamente Musica è di Eros Ramazzotti, dieci minuti di puro delirio psichedelico per un Eros mai più così coraggioso)

Quale metro di giudizio devo usare per capire se la musica è di qualità oppure no? Dico, quando un artista propone musica di qualità e quando invece propone roba non di qualità? Come posso giudicare se la musica è di qualità oppure no? Mi devo basare sulla qualità della produzione? Sulla freschezza della scrittura? Per essere di qualità la musica deve proporre per forza soluzioni sonore inedite oppure se una cosa è fatta bene lo è a prescindere dalla novità della proposta? Ed testi, devo considerare anche quelli o non importa? E se un artista inizia a vendere tanto ed ha successo smetterà automaticamente di fare musica di qualità oppure no? Un disco registrato artigianalmente con mezzi di fortuna può essere ugualmente di qualità?

Queste ed altre mille domande mi sono sorte spontanee domenica scorsa nel momento esatto in cui ho acceso la tv ed ho visto ospite a Domenica In un Franco Califano mai così simile ad una salma. Non c’è un nesso preciso tra Califano e la musica di qualità (semmai c’è un nesso preciso tra Califano e la coca di qualità, ma essendo contrario all’abuso di droga non dovrei permettermi di scriverlo), però la questione resta aperta ed io ho riflettuto a lungo per trovare una risposta e chiarire una volta per tutte a me stesso cosa è musica di qualità e cosa è musica di cui si può fare tranquillamente a meno (leggasi musica di merda). Credo che sia un dubbio comune a tanta altra gente, o forse no. Beato chi non ha mai dubbi perché vive bene.

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