Ma io lo so chi è Mark Lanegan (reprise)

l'estetica del rock.

Una delle cose che mi danno più al cazzo nella musica rock è l’attitudine a parlare di certi gruppi come di non hanno riscosso il successo che meritavano o ancora peggio con la formula da loro inventata ci si sono arricchite decine di gruppi. I principi di questo genere sono gruppi tipo Fear Factory, come se avere inventato il techno-metal fosse un pregio. Un altro assolutamente in pole position erano gli Screaming Trees. Gli Screaming Trees erano probabilmente il gruppo grunge definitivo: pesantissimo indierock sabbathiano con pezzi sbilenchi, cantante in bilico tra origini indie-punk e aspirazioni blues, due ciccioni inguardabili in pantaloncini a rovinare tutte le foto promozionali. Avevano fatto uscire una manciata di dischi su SST, uno più bello dell’altro (il migliore è l’ultimo Buzz Factory, senza alcun cazzo il miglior disco della carriera di tutti i membri coinvolti) e sull’onda dei contratti che stavano piovendo a Seattle e dintorni nell’epoca dell’esplosione del grunge, riescono ad uscire con un disco major già nel ’91. L’album si chiama Uncle Anesthesia (prodotto da Chris Cornell) ed è ancora uno dei migliori compromessi tra suoni alla Jack Endino ed ambizioni da grande arena. Riescono ad infilare un singolo di successo solo con Nearly Lost You, nel successivo Sweet Oblivion: un buonissimo disco, ma niente di paragonabile al pop rock allucinato dell’epoca SST (certo, se Sweet Oblivion uscisse uguale nel 2011 sarebbe il mio disco dell’anno senza sforzarsi, ma a metà anni novanta possiamo permetterci di fare le pulci). Del resto l’anima commerciale della band è sempre stato il solo cantante Mark Lanegan: si smarca dal gruppo già nei primi anni novanta, chiudendosi in studio con uno stuolo di amici e riemergendo con un disco solista di bellezza assoluta intitolato The Winding Sheet in cui dà sfogo alle sue ambizioni da cantautore. Gli Screaming Trees, in ogni caso, continuano ad esistere lungo tutti gli anni novanta con tre dischi all’attivo (l’ultimo è Dust, decisamente meno bello dei precedenti anche se non ancora da buttare), frequentazioni Mad Season e una formazione piuttosto stabile che dal ’96 in poi si fregia persino di Josh Homme alla seconda chitarra. Nel 2000 i Trees si sciolgono ufficialmente: l’ultimo disco di studio è vecchio di quasi un lustro, i fratelli Conner traccheggiano con side-project di estrazione stoner (val la pena di ricordare almeno i fondamentali Valis, che in onore alla loro grandezza figurano nel roster Man’s Ruin con uno split), Lanegan fa uscire il suo ultimo capolavoro (Field Songs, non a caso l’ultimo album scritto con/da Mike Johnson). Da lì in poi Lanegan diventa un collaboratore fisso del gruppo di Josh Homme (la sua stessa carriera solista da lì in poi va considerata una sorta di estensione concettuale dei QOTSA, oltre che una fonte quasi inesauribile di dischetti di cantautorato senza nerbo) e degli altri si perdono le tracce in gruppi sempre più invisibili o troppo grossi per non farci la figura dei turnisti (manco di lusso). Da anni girava già la voce che li voleva gruppo sfortunato, che avrebbe potuto essere –boh- i Soundgarden ma era stato fatto fuori dal music-biz. Noi siamo arrivati a giochi fatti e l’abbiamo presa così, come una specie di postulato del rock’n’roll che ci ha accompagnato mentre diventavamo vecchi e bolsi e lamentosi. Secondo una forma mentis più snella gli Screaming Trees erano un perfetto e incredibile gruppo indie rock di dimensioni medio-grandi, diciamo simili a quelle dei Melvins, con cui il mercato dei grandi numeri s’è giustamente pulito il culo una volta finita di cavalcare l’onda dei Nirvana. La loro musica migliore sta ancora nei dischi a marchio SST, che diversamente da Uncle Anesthesia etcetera NON STANCANO MAI e possono tranquillamente supplire da soli al bisogno di rock di un appassionato esigente per almeno due settimane.

Salta fuori dal nulla, tuttavia, che c’è un disco dei Trees, registrato poco prima dello scioglimento nello studio di Stone Gossard e mixato da Jack Endino. Si chiama Last Words ed esce tra meno di un mese in digitale, senza –pare- nessuna reunion ad accompagnarlo e con una possibilità aperta per formati fisici futuri. L’idea più ragionevole sulla faccenda è che questi dischi non escono per un motivo fondato e che questo motivo ha MOLTO più a che fare con il valore artistico di quanto ne abbia con la mafia, il signoraggio bancario, i complotti delle major e la sfiga. AKA non ci perderei troppo il sonno. Ma insomma, sperare è pur sempre lecito.