*Questo è un diario di appunti sparsi presi nel corso del primo anno di Stregoni
Da quasi dodici mesi sono uno Stregone. Mi alzo la mattina prestissimo, controllo la posta o whatsapp e al posto dei miei contatti tradizionali trovo messaggi vocali in Pidgin, il broken english mescolato con i dialetti africani. Trovo canzoni, preghiere, fotografie e richieste di aiuto.
Che cosa facciamo con Stregoni. Suoniamo con gli ospiti dei centri migranti. Nell’ultimo anno siamo stati praticamente ovunque in Italia e poi abbiamo avuto la fortuna di intraprendere un viaggio che ci ha portato a Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Amburgo, Copenhagen e Malmö. Questo viaggio è diventato un film.
Da quando il progetto è partito abbiamo suonato con più di 900 persone diverse, tutte richiedenti asilo provenienti da Mali, Nigeria, Etiopia, Gambia, Senegal, Siria, Niger, Iraq, Afghanistan, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Sudan, Eritrea, Libano, Pakistan, Palestina.
Stregoni è un confronto continuo e faticoso. Lo abbiamo accettato da subito, facendo i conti prima con i nostri limiti, scegliendo di sfidarli, metterli alla prova e successivamente trovandoci a confrontarci con le diverse sensibilità dei ragazzi che abbiamo incontrato.

Il nemico
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i problemi più grossi non li abbiamo avuti con neofascisti, leghisti o quei ragazzacci del Family Day.
Non si tratta solo dei filtri di instagram, della retromania, di serie ultra-citazioniste come Stranger Things o di andare a vedere la reunion di vecchi rocker settantenni. La nostalgia agisce molto più in profondità, soprattutto in chi, come nel caso dei ragazzi che suonano con noi, ha dovuto affrontare una migrazione.

Tutti i rifugiati che hanno abbandonato la loro terra condividono un profondo senso di struggimento nostalgico, un disorientamento a cui non viene data alcuna risposta. Non hanno solo perso la casa, hanno perso un’idea di presente, di quotidianità, a cui restano appesi con i loro smartphone, vagando in città come zombie in cerca di wi-fi.
E qui cominciano i problemi. Ci siamo trovati a fare i conti con due diverse nostalgie, che rischiano di generare conflitti e fratture.

La nostalgia stanca e decadente dei millennials occidentali, che si rifugiano (mi ci metto pure io coi miei vinili) nel tepore di un mondo lontano perduto. Sono lo specchio di un presente in crisi perenne, insidiato e irrimediabilmente minacciato.
Dall’altra i migranti sono la materializzazione di questo fantasma: ma la loro è una forma molto diversa di nostalgia. Non riuscendo a trovare un posto in una società incapace di ripensarsi, sono sempre di più quelli che inconsciamente scelgono di rifugiarsi in un mondo ideale e puro pervaso dalla nostalgia di luoghi e case, lingue e costumi che hanno perduto violentemente.
Sarebbe proprio la nostalgia il vero motore della radicalizzazione di molti islamici-europei di seconda o terza generazione, la cui ribellione contro la società viene alimentata da una sentimento nostalgico folle e distorto di un mondo che nessuno di loro ha mai veramente vissuto.

Io continuo ad avere a che fare con ragazzi che fisicamente si trovano a vivere in Italia, camminano per le nostre strade, ma hanno ancora la testa in Africa o in Asia. E il cellulare in questo caso è il vero e proprio cordone ombelicale che li tiene attaccati alla loro terra.
E’ evidente però che la combo nostalgia + social network rischia di rivelarsi un cocktail micidiale. La nostalgia agisce come una droga, tranquillizzante o stimolante a seconda delle esigenze, come un nuovo oppio dei popoli. Ciò che conta è che sta riducendo a brandelli la stessa idea collettiva di futuro.

Nostalgia del Futuro
Occorre al più presto capire chi sono le persone che arrivano nelle nostre città, quali siano le loro speranze, le aspettative, i muri culturali da abbattere.
E’ questa la ragione per cui c’è bisogno al più presto di trovare una strada diversa, prendendosi qualche rischio se necessario. Per farlo abbiamo scelto di cercare una visione nuova, non solo a livello musicale, sbarazzandoci della nostalgia in ogni sua forma, a costo di produrre per tentativi, a qualità intermittente.

Se c’è una cosa che ho imparato da Stregoni è la libertà di sbagliare.
Ho provato (senza riuscirci sempre) a sfidare i miei limiti, a guardare agli altri e me stesso per quello che sono, libero di non capire, libero di arrabbiarmi e di porre interrogativi in uno sforzo continuo nella tensione verso gli altri. La forma che abbiamo scelto non solo per i live ma per tutto quello che produciamo rispecchia esattamente questo tipo di ricerca. Come nella vita vera, come in ogni relazione, serve un tempo per conoscersi, studiarsi, annusarsi e se serve, sbagliare tutto e ricominciare.

Prendi proprio il caso del Bluetooth.
Prima di Stregoni non l’avevo mai utilizzato. Ho imparato ad usarlo grazie ad un paio di ragazzi del Gambia. Da loro è normalissimo scambiarsi musica o video da telefono a telefono. Se ti trovi nel deserto senza connessione internet non c’è amico migliore del bluetooth. Abbiamo tutto da imparare dall’Africa quando si parla di utilizzo punk della tecnologia.


Il Futuro di Stregoni
La prima fase di Stregoni si è conclusa, stiamo ultimando assieme a Joe Barba il documentario che racconterà il nostro viaggio in Europa. Dopodiché, come più volte è stato ribadito, ci piacerebbe gradualmente scomparire dalla scena, dando la possibilità ai ragazzi più bravi che hanno suonato con noi di muovere i primi passi in autonomia, utilizzando nome e logo del progetto per organizzare serate di musica nei locali da soli.
Il sogno che coltiviamo è un week-end con cinque concerti di Stregoni in contemporanea in cinque posti diversi d’Europa. Sarebbe il compimento assoluto del progetto.
Responsabilizzare queste persone, renderle protagoniste di un’avventura artistica e perché no, anche lavorativa.
Intanto abbiamo già cominciato a muoverci, creando due cellule separate, a Trento e Verona: io sto lavorando con i ragazzi della residenza Fersina e Brennero nella mia città, mentre a breve a Verona partirà un ciclo di laboratori curati da Marco / Above the Tree assieme ad alcuni membri dei C+C=Maxigross.
Tra i progetti in cantiere c’è anche la creazione di un vero e proprio network radiofonico completamente gestito via smartphone: un programma mensile con musica e “conduttori” multilingue che consenta ai migranti che arrivano in italia di potersi scambiare informazioni utili in un contesto diverso e informale.

Mi chiedo di continuo cosa sarà di molti dei ragazzi che conosco già a partire dalla prossima estate, quando usciranno dai progetti di accoglienza o quando la loro richiesta di asilo verrà respinta.
Gli sbarchi, che nel 2016 hanno raggiunto il numero più alto di sempre, riprenderanno tra poche settimane. Lo scorso anno sono stati espulsi circa 1800 migranti. Una cifra che equivale alla metà del numero di richiedenti asilo arrivati con un solo sbarco.
Sappiamo tutti che gli accordi tra Italia e Libia non risolveranno il problema dei visti e ci faranno sprecare un montagna di denaro che invece andrebbe impiegata per i progetti di accoglienza.
Continuare a negare quest’opportunità a chi arriva e a chi già vive in Europa, avrà conseguenze disastrose: e non serve uno Stregone per fare una profezia del genere.

