Ars Goetia – La fotografia come arte del maligno

01_Striscia gialla
Siete solo degli sporchi hater, la striscia gialla c’era davvero al momento in cui venne scattata questa foto rubata a me, proprio a me, povera me, che guardacaso ero nuda sulla riva di quel lago vulcanico in Tozandia

    Cominciò con funesti segni nel cielo, la luna color del sangue, una cometa con due code, ma nessuno dette ascolto agli astrologi. Poi iniziarono le nascite prodigiose, poi si ritirò il mare. Il terzo giorno si oscurò il sole, e a sera ci venne la zeppola a tutti: la fotografia digitale era arrivata tra noi, e non se ne sarebbe andata mai più.

Voglio dire: non stiamo certo qui a farci le pippe come quel coglione di Benjamin sull’arte e la facilità del farla, se non altro perché non l’abbiamo letto né abbiamo l’intenzione di farlo [una parentesi: sapete qual è oggettivamente il libro più coglione del mondo, intendo dire, dopo Infinite Jest? Ma naturalmente è Il narratore di Walter Benjamin nella preziosa edizione Einaudi con annotazioni di Alessandro Baricco, Alessandro Baricco del cazzo che nel sottobosco della sua cazzo di scuola Holden, intitolata ora che ci penso al protagonista da cazzo di un altro libro coione non da poco, e su dai, e dìmolo, in questo ambiente velleitario e insopportabile ha – immagino – idolatrato oltre ogni ragionevole dubbio questo scritto minore dedicato a uno scrittore minore da un pensatore tutto sommato minore, e ha brigato (=rottercazzo) per farlo ristampare con tanto di sue osservazioni a margine che sono tipo del livello “Cantagliene quattro, Walter!”. Da avere!], non siamo qui, dicevo, a fare filosofia, ma non c’è dubbio che quando il gusto non esiste, e la cultura non c’è, e l’ignoranza ricopre tutto e tutti col suo nero manto d’oblio; e quando insomma un po’ ovunque il disastro avanza, le inquadrature de sbieco sono scambiate per Arte, e come se non bastasse il delirio tecnologico ha messo alla portata di chiunque la possibilità di scattare e post-produrre (manco sempre, manco troppo) fotografie  – ecco che arriva per noi una suprema ragione di fastidio, e forse, finalmente, una non dovuta al nostro complesso di inferiorità.

Sto parlando, se non si è capito, della fotografia demmerda, di flickr del cazzo, e di un mondo fatto di cappelli di peluche e scampoli di infantilismo e computer grafica 8-bit  e un tocco di Preraffaelliti (ma appena appena, diciamo un superficiale apprezzamento delle donne coi fiori in testa); sto parlando di donne magre, a volte non magre, a volte uomini, che si vergognano di sé, eppure sentono forte il bisogno di esprimere questo minuscolo sé, e offrono perciò a tutto il mondo fugaci visioni dei loro piedi, delle loro scarpe, delle loro mezze facce e dei loro abbigliamenti bizzarri. A volte si intravede una stanza, e se si intravede c’è da qualche parte un antico cavalluccio a dondolo, o dei fiori morti, o delle cornici vuote o tutte e tre le cose, uno scenario manco da film horror che a un certo punto, pare, abbiamo deciso faccia tanto romantico abbandono artistico e nonchalance, piuttosto che oddio, quel vecchio pupazzo si animerà e prenderà la mia vita nel punto più buio della notte.

Io non lo so da dove arriva questa cosa, chi sono stati i cattivi maestri, e chi i pubblicitari di questa estetica. E se ho dei sospetti ben fondati in letteratura (il pedofilo Salinger e, giù di lì, il nullatenente Carver e via via praticamente tutto ciò che ha pubblicato Minimum Fax nei suoi anni ruggenti) e tutto sommato anche in musica (lì il problema fondamentale è stato l’indie-rock dei tardi anni ’80, per non dire Neil Young), mi sfugge ancora chi e cosa e su quali basi abbia convinto una manica di stronzi che la fotografia è la cosa, l’iPhone un progresso, e la loro strada nella vita sono le inquadrature bizzarre. Ho letto un libro tempo fa (solo perché era breve), Ways of Seeing di John Berger, che teorizzava tutta una pippa marxista sul fatto che i quadri servono a fa’ vede che sei ricco, e da qualche parte accennava al fatto che la fotografia è la pittura a olio del ventesimo secolo. Molto peggio John, molto molto peggio. Qui non siamo più neanche al punto di chiamare a casa un tizio, un pittore o un fotografo, che rappresenti con una certa perizia tecnica quanto sia bella casa mia. Qui siamo al fraintendimento totale del fatto che c’è un bello anche nella sottrazione, anche nel vuoto e nel poco, e alla sopravvalutazione devastante del “fare da sé”, della non-necessità di una formazione di qualsiasi tipo, anche solo di un pochino di cultura, e il lato forse peggiore è che esistono pure degli esempi di gente che in effetti ha fatto qualcosa di importante senza alcuna preparazione: ma se Steve Jobs non era laureato questo non vuol dire che chiudendovi in garage progetterete un computer tondeggiante e un telefono costoso che terranno in pugno il mondo. Voi siete i tenuti in pugno, capite? Voi siete gli acquirenti e i clienti di un sacco di cose che pagate un sacco di soldi che vanno a finire in operazioni trucide. Dietro a ogni multinazionale, ricordatelo bene, c’è in realtà una ditta di sterminio di cose carine. Gli schermi dei dispositivi Apple sono così lucidi perché vengono sciacquati uno ad uno nel sangue dei micetti. I cagnolini li utilizzano per rendere più scorrevoli le rotelline dei mouse. Mouse che sono veramente fatti di topo – di delizioso topo bianco, di amabile cavia, in alcuni casi, o di teneri e batuffolosi piccoli di scoiattolo.

Ma non ho smesso di insultarvi. Voi fotografi amatoriali, voi attrezzi che infestate le bancarelle del mercatino del Pigneto manco pe comprà, ma per fotografare le bancarelle con effetti rétro, voi siete l’incolta, orrenda stirpe figlia di questo mondo di dolore, andato completamente in rovina perché si è auto-educato su internet, si è informato su twitter, e si è sfondato di telefilm americani autoconvincendosi che tutto questo sia importante, significativo in qualche modo, “le serie tv sono l’equivalente contemporaneo della pittura nella Firenze del Rinascimento” è il sottotesto di un recente articolo apparso su Esquire.

Ed ecco per voi una serie di cose che non servono a un cazzo, non interessano a nessuno o forse sì (a voi stessi), ma mai e poi mai e ancora mai vi qualificheranno come artisti, o anche solo come persone: Parigi; Parigi e i suoi vecchi negozi; Parigi e un bicchiere di pastis in un vecchio locale dal tavolaccio di legno, come quello della famosa foto di Verlaine vecchio rincoionito; gli stivaletti da educatrice di Lovely Sara; Lovely Sara; il recupero dei cartoni animati in chiave non fuorisede-Toretta ma gnìgnì-gnègnè; le serie tv; i vecchi apparecchi televisivi; i registratori fisherprice; i mangianastri; i mangiadischi; Susan Sontag; Susan Sontag e i suoi capelli da puzzola; Susan Sontag e la bellezza e la fierezza di non essere belle bensì fiere e perciò belle; il vinile fine a se stesso tipo: il nuovo dei Knife in vinile; la magrezza maschile; le magliette aperte sul petto; il vestirsi come un barbone e illudersi di non sembrarlo in zone altre dal piccolo tratto pedonalizzato di Via del Pigneto; il Pigneto; le parole off e hip; il dialetto romano; i ghirigori fatti col pc; le strisce di colore insensate; gli effetti di Instagram; Instagram; tutta la musica, tranne che quella che non vi andebbe mai di sentire. Ora, che di tutto ciò non vi importi nulla ne sono più che certo – in centoquaranta battute non avevo detto ancora neanche solo una parolaccia. Il bene ha perso di nuovo. Gli occhietti degli ex-scoiattoli vi guardano dalla plastica bianca del vostro mouse e, come al solito, non c’è nulla che si possa fare.

Ecco la fotografia che ci piace a noi, tutte persone ciccione e tornite, tutti colorati di colori pacchiani, coi putti nudi sullo sfondo e la cornice d’oro zaura

Il vostro manoscritto inedito non vale le tarme che lo divoreranno quest’estate

“Amazzon m’ha dato er Chindo rosa perché penza che so frocio!”

È sempre così, uno prova a fare il bene, e si ritrova le torri gemelle abbattute e tutto il Medio Oriente insorto. Tutti i più grandi benefattori dell’umanità, da Cristo a Marx (e la accessibile banalità di questo accostamento potrebbe valermi una pubblicazione da Fazi), hanno involontariamente prodotto tonnellate di merda che forse, a questo punto, non valgono più la pena di togliere sette diavoli da Maria Maddalena; ma il dramma è che indietro non si torna e i benefattori, dall’alto dei cieli, piangano amaramente sul bene fatto senza riflettere.

Tra i maggiori criminali involontari dell’umanità, vanno senz’altro annoverati: i Sumeri, che inventarono la scrittura, gettando il seme malefico dei milioni di stronzi che, in un futuro per loro remoto, avrebbero messo per iscritto le loro frivole cazzate; i Fenici, che inventarono l’alfabeto, rendendo l’esercizio della scrittura accessibile anche ai somari; quel cazzaro di Gutenberg, che sappiamo cosa riuscì a creare; e poi l’invenzione delle belle arti, Proust (“nun dovete manco più avecce na storia, pe scrive!”, raccontò un giorno a un allibito Hardy), la macchina da scrivere, la scuola dell’obbligo, il femminismo, e quei cazzo di americani coi loro personal computer.

Pensateci un attimo: cos’è, il mondo in cui viviamo, se non un’accozzaglia di gente di nessun talento che scrive, scrive e ancora scrive, senza peraltro prendersi il disturbo di leggere alcunché? Funziona così: sono andati a scuola, disinteressati a tutto hanno notato che scrivere era tecnicamente alla portata, hanno preso otto a un tema e poi, nell’adolescenza, hanno dato una letta a due romanzi contemporanei convincendosi che quello era il loro talento. Gesù Cristo raccontò del tizio che, dovendo partire per un viaggio, distribuì i talenti ai suoi servitori: allo scriba di casa, invece, tagliò le mani e dette fuoco, prima di cominciare a correre per i Getsemani strappando pagine del suo manoscritto inedito, gettandole al vento e gridando MAI PIÙ.

Così, col passare del tempo, tutti quelli che non hanno comprato una macchina fotografica o una chitarra hanno scritto un libro e lo hanno messo nella loro cartella sul desktop sognando la Pubblicazione, ovviamente ignorando – mancando totalmente di cultura e di logica – o fingendo di ignorare – che il punto non sarà mai ottenere il mezz’etto di carta col codice a barre sopra, ma che uno straccio di cane si degni di leggere quanto c’è stampato dentro. Il che non avverrà mai: voi non leggete, non illudetevi che lo facciano gli altri; in Italia pochi, sparuti spettri comprano un best-seller una volta all’anno, la metà di loro comincia a leggerlo, e a pagina 28 tutti lo hanno abbandonato per andare a scrivere (pubblicare) il loro sentimentale manoscritto di merda.

I manoscritti vagano per le caselle e-mail delle case editrici, causando frizzi e lazzi nei rari casi in cui vengono aperti, e tramutandosi direttamente in soldi nel caso in cui finiscano sotto gli occhi di un editore a pagamento. In soldi per l’editore, intendo.

Che poi, c’è questo meraviglioso cortocircuito mentale a cui evidentemente vanno incontro quelli che pubblicano un libro in cui parlano di se stessi facendo finta di parlare di un personaggio di fantasia, e dissimulano il fatto che in realtà si parla di se stessi chiamando il personaggio VIOLA anziché Luisa. C’è questo cortocircuito, infatti, di illudersi di arrivare al successo pubblicando un libro per Aracne, quando in casa si hanno soltanto libri di Stile Libero Einaudi.

Che poi, il fatto che l’editoria a pagamento sia una giusta punizione per tutti i presunti scrittori non toglie che, oggi, intere foreste di alberi abbattuti e tramutati in carta gridano nell’Ade delle piante, reclamando il loro tributo di sangue o forse di clorofilla, cui andranno incontro tutti i pretendenti scrittori che, una volta morti, saranno a loro volta trasformati in libri, ma impaginati male,  pieni di errori di battitura, e con il non-design di un editore a pagamento, e avranno le proprie pagine imbrattate delle stesse loro stronzate scritte in vita ma adesso, e per l’eternità, con la tremenda consapevolezza che si tratta di stronzate.

Il mio libro inedito si chiama Il ramoscello d’oro. Parla di Adam, un ragazzo come tanti con un lavoro come tanti che, la sera, scrive su un blog di musica. Nessuno lo sa, ma Adam è un poeta. Un giorno, Adam incontra Viola. Viola sembra perfetta: vivace, spigliata, suona il basso ed  ha gli stessi gusti di Adam in fatto di musica. Ma nasconde un terribile segreto…