Viva Motelsalieri! // Six Organs of Admittance e la più bella venue di Roma e del mondo

Motelsalieri è il posto più bello del mondo. A dire la verità, non sapevo che cosa fosse fino a poco tempo fa, quando attraverso la mail di un’amica di amici di amici venni a sapere del concerto di Jandek; ancora oggi, in realtà, non ho capito bene di cosa si tratti, ma se fossi l’alieno che in fondo sono, proveniente dalla galassia Scrivanie e Cravatte e atterrato per un’avaria sul pianeta di Via Giovanni Lanza 162 lo descriverei come un posto meraviglioso dove – incredibile a dirsi, per noi vecchi cinici – “creatività” non è una parolaccia, “bellezza” non è una velleità, e la musica non è un cazzo di pretesto per vendere alcoolici ma l’esatto centro di tutto. Insomma, c’è questo scantinato in uno dei punti più brutti del centro di Roma (un concetto crudele come il mese di aprile) in cui Musicisti Importanti si prendono bene per venire a suonare davanti a pochissime persone, cosa che può sembrare inutilmente elitaria a dirla così, ma che in realtà, a vederla di persona, è “soltanto” la più alta forma di meritocrazia applicata alla Musica Importante, che è aperta e concessa a chiunque, a ben vedere, sia per lei ancora disposto semplicemente a comprare un biglietto, prestare attenzione, spegnere il telefono e non fumare. Six Organs of Admittance ha suonato qui ieri, solo voce e chitarra non amplificata (non sono certo che ci sia la corrente elettrica), che sembrava di stare soli in una stanza con lui e, aspetta un attimo, in effetti eravamo soli nella stanza con lui, che ha suonato, tra le altre cose, il mio pezzo preferito di tutti i tempi (“Roll the Stone”, di Epic Soundtracks), mai sentito prima; ed era tutto gioioso e felice, anche i passanti che guardavano dentro e il rumore di sciacquone da qualche cortile interno, era tutto giusto, anche l’orario pomeridiano inconsueto (i ragazzi di Motelsalieri hanno tolto alla Musica un altro orpello inutile, cioè il “Bisogna Uscì de Sera”, perché la sera ha in sé tutto un concetto di Vestirsti e Rimorchiare che – per quanto ne dica David Bowie – con la Musica non ha davvero niente a che fare: e sono consapevole, mentre scrivo, che tutto ciò è probabilmente solo e soltanto un mio trip, ma alla fin fine, se io fossi l’organizzatore del concerto e per caso leggessi, zitto zitto me lo prenderei, perché trip o no, ho anche profondamente ragione), e in fin dei conti l’unica cosa brutta della giornata ero io, col mio drammatico non-look, ma forse, spero, in qualche modo meritevole (we are ugly, but we have the music).

Ora, non è che io voglia fare pubblicità – sembrerà strano, perché internet è più piccolo persino dei paesi, persino di Roma, e tutti conoscono tutti e fanno qualsiasi cosa per uno scopo preciso, ma io non conosco i creatori di Motelsalieri -, e anzi mi viene il dubbio che un progetto del genere potrebbe non volerne; in ogni caso, io non lo so se questo conta in qualche modo, ma oggi, grazie a tutto ciò, ho di nuovo la consapevolezza che la Musica esiste, la Musica è vera, a dispetto delle mode, della Merkel, dell’età adulta e del turismo di massa. Ci vediamo lì, la prossima volta.

Every night the sun goes sinking down
I’m on my island across the ocean
A little nearer to my goal
You can’t take away my devotion
(Epic Soundtracks)

Tutta la vita è una grassa bugia // Le grandi falsità che si dicono sulla musica, parte I – nn. 1-5

All the truth in the world adds up to one big lie
(Bob Dylan)

1) Il rock non è morto, c’è ancora musica interessante e valida quanto quella del passato

Di tutte le schifose bugie ripetute allo sfinimento dagli appassionati di musica, ci sembra svettare sulle altre l’affermazione che, al giorno d’oggi, esca ancora musica degna dei classici del passato, contro i quali ci siamo tutti scagliati nella nostra troppo prolungata adolescenza.

Diciamoci la verità: è tutto falso. Quali dischi sono usciti negli ultimi dieci anni che abbiano avuto la stessa dirompente importanza* (sull’importanza: vedi n. 2) dei vecchi classici? Nessuno. Voglio sperperare: facciamo negli ultimi 15. Ok, Kid A. 20? Kid A, Nevermind, In Utero. New Adventures in Hi-Fi, Mellon Collie… Esageriamo, ci mettiamo anche qualche nome minore grunge (Pearl Jam), qualche piccolezza misconosciuta (D’Angelo, Slint)? Ecco una selezione di album usciti nel solo 1967: The Doors, omonimo; Rolling Stones, Between the Buttons, Miles Davis, Miles Smiles (gennaio); The Byrds, Younger Than Yesterday; Jefferson Airplane, Surrealistic Pillow (febbraio); Aretha Franklin, I Never Loved a Man the Way I Love You; The Velvet Underground & Nico, omonimo (marzo); John Coltrane, Expression; The Electric Prunes, omonimo; Nina Simone, Sings the Blues (aprile); The Jimi Hendrix Experience, Are You Experienced (maggio); The Beatles, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band; The Small Faces, omonimo (giugno); Pink Floyd, The Piper at the Gates of Dawn; Frank Zappa, Lumpy Gravy; Tim Buckley, Goodbye and Hello (agosto); The Beach Boys, Smiley Smile; The Kinks, Something Else; Captain Beefheart, Safe as Milk (settembre); Buffalo Springfield, Again; Nico, Chelsea Girl; Pearls Before Swine, One Nation Underground; Nina Simone, Silk & Soul (ottobre); Cream, Disraeli Gears; The Beatles, Magical Mystery Tour; Love, Forever Changes (novembre); The Jimi Hendrix Experience, Axis: Bold as Love; Rolling Stones, Their Satanic Majesties Request; The Beach Boys, Wild Honey; The Who, Sell Out; Bob Dylan, John Wesley Harding; Leonard Cohen; Songs of Leonard Cohen (dicembre).

Nello stesso anno sono usciti album inediti di Elvis, Stevie Wonder, Grateful Dead, David Bowie, Frank Sinatra, Roy Orbison, James Brown, Johnny Cash e Chuck Berry. Non ho voluto approfondire la questione jazz (oggi ci attacchiamo ai Supersilent). La lista, puramente esemplificativa, di cui sopra, prova insindacabilmente che quanto esce oggi è lo spettro di una traccia di una pallida imitazione dell’epoca in cui il rock ancora esisteva.

*2) La musica è importante. Quello che fanno i gruppi rock è importante.

D’accordo, non parliamo di importanza sul piano personale (per me sono rilevanti le cose fatte da dimenticati re assiri, ad esempio, e le feste che mi fa il mio cane quando torno a casa), ma quante volte, davvero, quello che ha suonato, scritto o detto un musicista ha in effetti avuto una qualche influenza sulla società? Quante volte, tra queste, c’era di mezzo la morte? Quanto questioni non legate alla musica? Vostra mamma sa chi è Kurt Cobain? E Marilyn Manson? La musica che dà senso alla vostra vita è pressoché irrilevante.

3) Hai abbastanza ragione, ma la musica è importante in quanto ha una qualche influenza su altra musica che ha una qualche influenza su quanto venuto dopo

Basterebbe il devastante trittico in sequenza innegabilmente diretta Dr. John -> Tom Waits -> Capossela per mostrare che il gioco delle influenze è in effetti un disfacimento. Ma, se questo non basta, aggiungete pure Mannarino alla catena. E, se non basta ancora, fottetevi! Davvero, ragazzi: vedete qualche merito nel fatto che i Velvet Underground abbiano influenzato i Sonic Youth e i Sonic Youth i Liars e i Liars alcuni gruppi della provincia italiana? E, se avessero saputo dei Mars Volta, i Can avrebbero forse continuato a suonare? Ok, i Can hanno saputo dei Mars Volta, e li hanno apprezzati: ma erano vecchi, e drogati, e in ogni caso, c’è bisogno di aggiungere qualcosa a Halleluwah? Se potessi tornare indietro nel tempo, e scegliere una persona una da uccidere, tra Hitler, Stalin ed Ivan il Terribile sceglierei senz’altro Neil Young, in sostanza primo colpevole – con le sue stonature e le chitarre rozze – dei Pavement, a loro volta condannabili per tutto l’indie rock, ossia per tutti quelli che, dei Pavement, hanno colto solo il: “wow, ma allora si può anche non saper suonare!”, e da lì il diluvio. L’influenza più devastante della storia della musica, e la seconda peggiore della storia dell’arte (Fellini e il cinema non si battono; manco Warhol ha fatto peggio). Amate dire, citando chissà chi, che in pochi hanno comprato l’esordio dei Velvet Underground, ma tutti quei pochi hanno formato un gruppo. Ed ecco il più grande demerito di Lou Reed.

4) Scaricare dischi si può ed è bello

No, è vietato dalla legge ed è abbrutente, e

4b) Scaricare dischi è uguale a comprarli

Voi ragazzini di merda mi fate girare i coglioni come nessun altro. Il tempo cambia, le persone cambiano: ma voialtri illetterati nativi digitali, nativi nel senso di indigeni, ossia negri, e con la sveglia (rotta) al collo, non mi convincerete mai che nelle vostre radioline in streaming ci sia la stessa raggiante virtù di un giradischi, o lettore cd, mi accontento, che riempie di Altri Valori il grigiore della vostra casa e, rompendo i coglioni ai vostri vicini, uccide il dolore, con Coltrane ®. Ho scaricato dischi quando ero stupido, e quando sono arrivato a un milione di dischi – mai ascoltati – li ho cancellati tutti, e con cinquanta euro ho comprato quelli usciti nel ’67 (v. punto 1). D’accordo, potreste obiettare, ma vuoi che non valutiamo i dischi prima di comprarli?, e la risposta è no, illiberali pirati dei caraibi – non Johnny Depp, ma quelli veri, brutti e somali e sparati dai marò -, perché al ristorante si paga anche se la pasta era scotta. L’unica vera alternativa che esiste a comprare un disco dei Pontiak è non comprare un disco dei Pontiak, l’unica alternativa, intendo, che sia logica ed etica, voi illogici seguitori di Croce (complimentone: probabilmente, l’unico libro che abbiate mai comprato è Bananas di Travaglio, e manco l’avete finito – o lo avete scaricato?), amorali spettatori di Santoro, usufruttuari di megaupload, emule, library e correi dei loro disonesti guadagni; siete come le scimmie di Gibilterra, ladre di patatine, ma molto peggio, in quanto primati non innocenti: siete leghisti, siete lusi, siete gli affamatori dell’editoria e i ributtanti ladri dei poveri, siete scippatori da autobus, tassisti che modificano il tassametro, feccia mp3. Spazzatura scaricata da internet, senza manco il sacchetto nero.

5) La musica rumorista e d’avanguardia e non basata su canzoni è meglio di quella basata su canzoni

Se Nick Cave nei suoi primi tre dischi non avesse messo delle cover, in quei dischi non ci sarebbe neanche un pezzo. Ok, vi faccio passare Tupelo, anche se non è vero. Ciò che è vero è che quando vado all’Init ed è pieno di ragazze che fanno ondeggiare la testa al non-ritmo del frastuono più atroce, assumo ciò come prova (le donne non capiscono di musica) che tutta la questione del noise riguarda aggregazione giovanile, accoppiamento, forse, senz’altro estetica di borgata (quei borgatari estromessi dal branco, intendo) o universitaria, ma non ha niente e ancora niente a che fare con la musica. When I feel so broke up/I wanna go home. Che poi questa gente finga di apprezzare anche i Pere Ubu, bè, è appunto una finta: buttano tutto nel mucchio del rumore, e si aggregano nelle pretestuose occasioni dei concerti. Ed ecco spiegato il perché di certi dischi hardcore, o dei side-projects di Alec Empire: sono solo pretesti e bugie. Il noise è un pretesto, ed è una bugia.

La seconda parte di questo astuto saggio sarà pubblicata non si sa quando, forse mai

Rome Sunday // Jandek ha camminato tra di noi

Rome Sunday // Biglietto

“Era da solo? Era disagio?
Suonava chitarra e voce e basta ma ti mostrava l’universo?”
(Messaggio di un amico che mi chiedeva del concerto)

Non c’è nulla che si possa aggiungere a quanto già non si sappia di Jandek.  Non sarà quello che potrà scriverne un inadeguatissimo me, a cui già due volte è toccata la fortuna di vedere un suo concerto (vedere due volte Jandek nella vita è come veder salire i controllori per due fermate di fila, e tutte e due le volte vederli scendere senza accorgersi che tu non hai il biglietto), un improvvisamente ri-adolescente me quando giovedì scorso una e-mail non destinata a me e che annunciava il concerto mi causava un attacco di fotta, uno di panico, diverse crisi di pianto e numerose e-mail a chiunque, finché non sono riuscito a procurarmi un biglietto.

L’organizzazione del tutto è stata splendida, davvero, e il riserbo sull’evento – nonostante i miei stupidi e nevrotici pregiudizi affrettati – dovuto non a vuoto elitarismo buono per un secret show di M.I.A. o dei Cani, ma all’osservanza del silenzio appartato che è  l’unico contesto possibile per l’esibizione solitaria del più grande bluesman vivente. Se volevi esserci dovevi davvero volerlo: e sono consapevole che non tutti i presenti fossero lì con pregresse ansie notturne come nel mio caso (esistono anche persone normali, accompagnatori innocenti, amici e parenti), ma sono ancor più certo che tutti i presenti ieri si sono svegliati stamattina con la sensazione che qualcosa in loro ha cambiato posizione, e questo per sempre. Siamo gli stessi, e non lo siamo più, come direbbe una banale poesia o un banale blogger italiano che, in quanto blogger, può permettersi di descrivere l’indescrivibile con parole semplici.

Come mi era successo anni fa, quando vidi Jandek per la prima volta in Inghilterra, tutti hanno smesso anche solo di respirare quando (l’uomo conosciuto come) Jandek ha fatto il suo ingresso in sala, ha tolto la giacca, l’ha posata e appesa dietro di sé; ha riflettuto, preso la chitarra, l’ha rimessa nella custodia, ha posato bottleneck e cronometro sullo sgabello accanto a sé, ha ripreso la chitarra, l’ha riposta ancora, ha preso il blocco degli appunti con le canzoni appena scritte che avrebbe eseguito, ha preso ancora una volta la chitarra e ha iniziato a raccontare che, camminando per Roma, ha incontrato qualcuno che non ha riconosciuto, ma quel qualcuno era se stesso, che ha riconosciuto lui…

…e tutto questo per un’ora, attorno a mezzogiorno, in un locale affacciato su una grande strada nel centro di Roma con i turisti che passavano fuori, dando un’occhiata distratta, o non accorgendosi di nulla (in qualunque momento, dovunque voi siate, i muri accanto ai quali passate stanno forse nascondendo il più grande artista che non vedrete mai che canta le canzoni che più perfettamente di tutte colgono l’essenza di quel momento), piccole intrusioni di realtà – come il blocco Pigna compilato con la biro senza cancellature né ripensamenti, come le crepe nel muro e la nostra sciarpa scozzese – in un momento al di fuori del normale scorrere del tempo.

Il mio primo pezzo serio, che abbasserà la gloriosa media di accessi con il tag “emma marrone nuda”, è, per quello che mi riguarda, l’ultima parte di quel momento che ancora mi appartiene, prima di tornare alla vita reale, alle preoccupazioni sensate e insensate, a tutti quegli stupidi dischi colorati che hanno la principale parte di colpa del cinismo con cui guardiamo oggi alla musica (non è vero, la colpa non è dei dischi, ma che siamo vecchi e sulla difensiva. Ma Jandek è vecchio pure lui e, per quello che conta, da ieri ho una voglia di ascoltare dischi che  non provavo da anni).

Le foto di Jandek – il concerto ha inaugurato una piccola mostra – sono ancora esposte per qualche giorno, e io vi consiglio davvero di andare a vederle.

@AsharedApilEkur

P.S.: Grazie di cuore agli organizzatori, che non ho avuto modo di conoscere se non fugacemente, e che mi hanno ridato speranza nel fatto che non tutte le persone magre e ben vestite, in altre parole non tutti gli artisti, sono persone cattive e giudicanti, ma anzi possono essere buoni e leali amanti del bello, portato in dono a noi e ai nostri vecchi giacconi