
Fino all’eccellente esordio degli Ardecore nessuno aveva anche solo ipotizzato che la musica folk romana avesse qualche possibilità in ambito indie e dintorni. Voglio dire, frasi come “Ma che cce frega, ma che cce importa se l’oste ar vino c’ha messo l’acqua” sono quanto di più lontano dall’universo indie, frequentato da gente che spesso riesce a fare discorsi seri persino sugli Arctic Monkeys. Tant’è, sdoganate queste sonorità presso certo pubblico, i citati Ardecore hanno intrapreso un discorso musicale che, pur lasciando Roma sullo sfondo, li ha portati più lontani dal folk della capitale e dalle reinterpretazioni dei classici dell’esordio, ma chi avesse nostalgia di un approccio più popolare e diretto ha finalmente trovato un disco notevole. Dopo un ottimo ep (le cui canzoni sono qui riproposte in versione più curata) il gruppo Il Muro del Canto ritorna con il primo full che mantiene le promesse, grazie a quindici canzoni originali tra folk e rock di livello medio altissimo. A scanso di equivoci, segnalo che la tradizione romana qui riletta non è quella (rispettabilissima, per altro) fatta di cori da osteria – che a volerla trovare, fa capolino giusto in qualche brano – ma quella più amara e intrisa di realismo spesso brutale affrontato con la dignità degli ultimi. Non mancano ghost stories commoventi (La stupenda “Parla cò me“), rievocazioni dei bombardamenti della seconda guerra mondiale (“San Lorenzo“), amori traditi o mai nati, racconti di poveri cristi e via dicendo. Come accennato prima, l’approccio è molto diretto e popolare, ma questo non deve far pensare a un disco poco curato, anzi, il lavoro dei musicisti è più che valido e le canzoni sono veramente ben scritte e ben suonate, con un plauso anche ai testi che fanno risaltare lo spirito del miglior modo romano di fare canzone. Siamo all’inizio, ma per me un disco da top10 per il 2012 già c’è.
(“Er Doom”)