Pagare la musica #7 (il supporto)

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Mio babbo aveva un registratore di quelli che andavano con i nastri a bobina fatti come le pizze dei film, ma non l’ho mai visto in funzione. La prima volta che ne ho visto uno in funzione è stata nel 1995 e ricordo persino il pezzo: Girl, You’ll Be a Woman Soon degli Urge Overkill suonata da Mia Wallace mentre Vincent Vega rifletteva in bagno sul da farsi. Il primo riproduttore di musica che ho imparato a usare invece era un mangianastri di quelli rettangolari con un microfono attaccato e quattro tasti sotto a incastro: mio babbo mi aveva registrato una cassetta tenendo il microfono puntato verso la TV mentre passavano le sigle dei puffi e cose simili. La fedeltà del suono non è mai stata un problema. Il mio primo walkman, ovviamente tarocco e in regalo con il detersivo, arrivò verso le medie. Un mio amico che frequentava l’IPSIA vide casa mia e decise di costruirmi un impianto di diffusione casereccio in una stanza che utilizzavo poco ma che nelle intenzioni sarebbe diventata il mio studio, o qualcosa così. era la prima media. L’impianto di diffusione consisteva in quattro casse a cono per l’autoradio montate ai quattro angoli della stanza, un ingresso per il jack sul walkman, fili tesi a cazzo per tutta la casa e una scatolina con quattro LED rossi che facevano il fascio di luce tipo Supercar. L’impianto durò una settimana o due, per via del fatto che tutti quei fili erano ingestibili.

Le persone con cui ero cresciuto si erano fatte regalare l’impianto stereo verso i 14 anni. Cresime, diplomi, promozioni e cose simili: gli impianti stereo erano roba per intenditori, costavano due milioni finiti e duravano una ventina d’anni. Li compravi con quel sentimento materno sul genere “qualsiasi cosa ci succeda d’ora in poi, il problema dell’hi-fi è risolto”. Ti affidavi alle cure di personaggi viscidi e forse-competenti che ti consigliavano quei cavi piuttosto che quegli altri e qualsiasi altro genere di minchiata ti facesse spendere soldi extra. I nomi che giravano erano Pioneer, Sony e cose simili. Gli impianti si rivelarono quasi tutti all’altezza delle aspettative, neri belli e indistruttibili, ma non ne ho mai posseduto uno. Fino ai 18 anni, in effetti, non ho (quasi) speso soldi per ascoltare la musica, se non per la musica in sé.

Cambiai quattro walkman, tutta roba di seconda mano che ottenni al baratto o con altri fustini di detersivo; forse comprai qualche paio di cuffie, sempre roba che funzionava poco e male in nome del non-spendere. La differenza tra un paio di cuffie buone e un paio di cuffie cattive era quanto in alto potevano andare sullo stesso walkman prima di cominciare a friggere. Non ho posseduto un paio di cuffioni isolati e ad alta fedeltà finchè non ho iniziato a mixare dischi in cameretta; la rivoluzione degli auricolari che entravano nell’orecchio mi avrebbe lasciato freddino, ma ha migliorato di parecchio i miei rapporti con chiunque mi stesse vicino e non dovesse sentire la musica fuoriuscire dalle orecchie, i poverini. Avevano ragione loro.

Mio fratello usava un mangianastri a piastra doppia molto nero e arrotondato, vinto con una promozione di pentole (forse dovrei dire gabbato: le pentole le vendeva mio babbo di lavoro, dovette spezzare una consegna e regalò il premio a mio fratello per non dover scegliere tra i due clienti), e la musica usciva dal bagno che teneva militarmente occupato per ore. Quando ne comprò un altro, ancora più piccolo e smart, mi passò il vecchio. Il problema era che il nuovo non gli funzionava bene, suonava le cassette a una velocità leggermente più veloce del normale. Forse avevo quattordici o quindici anni a questo punto della storia, e un mangianastri che velocizzasse le mie cassette era tutto quello che potevo volere dalla vita. Mio fratello si riprese il vecchio mangianastri e mi lasciò il nuovo, con il quale scoprii probabilmente il fatto che mi piaceva la musica più veloce del normale e conseguentemente il punk.

Nel 1996 mi patentai: la Peugeot 106 di mia madre passò in comproprietà e con il primo stipendio estivo mi andai a comprare un’autoradio, una cafonissima Majestic a cassette che feci installare dal mio amico –quello che mi aveva messo l’impianto in camera. Giravano già le autoradio a CD, ma costavano troppi soldi e i CD saltavano spesso.

Comprai il primo lettore CD con la prima paga del negozio di alimentari, era il 1998 e costava 98000 lire. Era un mangianastri a doppia piastra di plastica argentata con sopra un lettore CD a scatto. Avevo una collezione di centinaia o migliaia di nastri e nessun CD, ci volle un bel po’ ad abituarmi al fatto che in realtà i Bad Religion suonavano più lenti di così. Poi il lettore CD si ruppe e lo portai in assistenza al Media World, dove rimase tipo UN ANNO e per non farmi mancare la musica spesi un altro centinaio di mila lire per un lettore CD portatile che facevo suonare in casa con i pezzi riciclati del mio impianto audio da 14enne. I nastri che non erano stati buttati suonavano solo in  auto: alcuni tipo Zen Arcade o Nevermind erano consumati al punto da sembrare musica crustcore registrata a sbafo in Indonesia e mi piacevano di più dei CD originali, che comunque non possedetti fino al 2008 (Zen Arcade, Nevermind non l’ho mai avuto originale, a parte il nastro).

Il primo lettore non si riparava ed era uscito fuori commercio: me ne diedero uno simile, per la stessa fascia prezzo, con una piastra per le cassette invece che due. Smisi di doppiare i nastri e passai a una rigida dieta di CD. Fu più o meno in quel periodo che iniziai con i computer, una torre grandissima assemblata da un mio vicino di casa che mi aveva messo dentro una scheda audio “della madonna” che usavano “per fare i dischi veri” e che avrei dovuto attaccare allo stereo per avere piena potenza. Avercelo.

Mio babbo smise il negozio di pentole quando facevo la seconda superiore, questo per dire che quando mia madre ebbe bisogno di pentole riuscii ad approfittare della promo scegliendo come regalo un impianto stereo invece che un set di lenzuola. L’impianto stereo in realtà era uno di quei modelli compatti grandi più o meno come un forno a microonde, tutti caricati a mille con un design spaziale, le casse a torre separate e il display con l’equalizzatore a luce blu che se rimaneva acceso la notte ti abbronzavi. Oltre a questo il mio impianto stereo montava l’invenzione più radicalmente STUPIDA del progresso umano applicato all’audio, vale a dire la tripla piastra CD rotante. Caricavi tre CD e ne sceglievi uno, ma se volevi ascoltare ogni volta il CD che avevi caricato dovevi impararti una sequenza di tasti che non facesse inavvertitamente entrare un altro CD della piastra rotante o (peggio ancora) una piastra vuota che ti mandava il lettore in stallo costringendo l’attrezzo a un reboot automatico che impiegava diversi minuti, il tutto magari per suonare un pezzo dei Descendents che durava un decimo dello sbattimento.

Lo stereo aveva la doppia piastra e –dopo un annetto- il lettore CD malfunzionante. Pompava un bel po’, ma mia mamma aveva buttato via la maggior parte dei miei nastri per una questione di zelo suo. Mio babbo passava il tempo a doppiarsi dei nastri con gli stessi pezzi (mischiava una quindicina di canzoni in modo diverso, ha fatto 20 o 30 nastri con le stesse 15 canzoni più o meno) sul mio vecchio mangianastri, quello che andava più veloce e che in quello stesso periodo  iniziò a dare problemi. La fortuna fu che non riuscì a trovare un mangianastri a piastra doppia al Marco Polo: gli offrii il mio stereo spaziale in cambio di un compatto a poco prezzo con lettore CD a piastra singola. Scelsi un Sony con la fronte bianca e uno schermo rosso, abbastanza elegante per gli standard dell’epoca. Aveva un suono piuttosto figo. Costava pochi soldi perché era rimasto solo il modello in esposizione. È quello su cui ascolto musica ancor oggi.

Quando cambiai auto decisi che l’autoradio della casa costava troppi soldi, così ne andai a prendere una qualsiasi al Marco Polo. Per qualche tempo fu una goduria: musica a manetta in giro per la strada. poi progressivamente iniziò a smettere di leggere certi CD masterizzati, poi la radio smise di funzionare, poi i CD masterizzati che leggeva si ridussero a due marche, poi iniziò a smettere di leggere anche certi originali. D’estate l’auto si scaldava troppo e l’autoradio reagiva male: qualche disco rimaneva incastrato all’interno e per un’oretta poteva girare solo quello. Imparai qualche trucchetto: pulire i dischi, staccare il frontalino, provare a passare alla traccia 6, robe simili.

Con la consulenza di un amico comprai su Ebay il mio primo giradischi, che è l’unico acquisto che ho mai fatto su Ebay. Saranno ormai dieci anni. È un modello Roadstar molto tamarro che attacco al compatto attraverso un orribile mixer a tre canali che ho utilizzato per imparare a mixare: il compatto Sony non ha l’amplificatore per il giradischi. Non conosco bene i dettagli. Questa cosa del giradischi e del mixer fa incazzare enormemente la mia fidanzata, la quale amerebbe MOOOLTO di più una soluzione più smart e diretta e priva di tutti quei fili e di quel metallo polveroso, ma per ora va così.

Non avete idea di quante cuffie ho comprato in vita mia. Almeno 5 paia solo per mettere dischi in giro, forse un paio di auricolari all’anno per 15 anni, più le cuffie con la spugna che dio solo sa. Il mio preferito, una cosa un po’ affettiva, è un paio di AKG vecchia maniera con la copertura di spugna che il mio amico Diego scoprì di riuscire a spuntare a un prezzo bassissimo.

La settimana scorsa ho comprato la terza autoradio della mia vita. Costa cento euro e risponde al mio bisogno di smettere di tenere CD in auto. Ha una connessione USB a cui posso attaccare le chiavette o l’iphone, la radio funziona e se piglia malissimo c’è pure l’ingresso AUX –copio quello che ho letto. Pensavo l’ingresso USB fosse un optional, ma ce l’hanno tutte. Quello che non tutte le autoradio hanno è il lettore CD: è un optional montato sulla metà dei modelli, se ti serve, e/o sei un rincoglionito che ancora s’ostina a comprare musica originale, tocca pagare un extra.

Tixi

Continua il nostro piccolo viaggio verso il Pulitzer nell’analisi del magico mondo del ruock + il magico mondo dei soldi.
Oggi intervistiamo per voi Federico Tixi.
Perché Federico Tixi e non Walter Veltroni?
Scoprilo qua sotto.
Annoiamoci insieme.

(di Capra)

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Tixi è il Walter Matthau del punk
(Jacopo Lietti, serigrafaro + Fine Before You Came/Verme)

1. Capra: partiamo senza fronzoli. Quanti soldi al mese spendi in musica?
1 bis. Dove compri la musica?

Tixi: Graditissima domanda, proprio, che mi fa tornare su, per l’ennesima volta solo oggi, il tipico senso di colpa (di chiaro retaggio cattolico) causato dalla consapevolezza di quanti soldi ogni mese butti via in dischi. Tanti, troppi. Da quando ho un lavoro fisso (più o meno dal 2005) mi sono imposto circa 200 euri di spesa al mese, ma da un paio di anni sforo regolarmente, al punto che inconsciamente la soglia è salita a 300, se non di più (ma se tocca i 400 mi sento davvero in colpa, tipo che smetto di dormire). Poi sto mese capiti male, tra una fiera del libro con banchetti di lp assurdi pressoché regalati, una fiera del disco (ma sono stato bravo, ho speso meno di quanto avessi prelevato) e la tredicesima in saccoccia, oltre qualche carenza affettiva da compensare (il cioccolato non basta più da un po’, ma abuso anche di quello), beh, penso di aver sforato, e di tanto.
Poi è natale, ci sono i regali che mi devo fare, no? Da bambino volevi la polistil e i parenti ti regalavano la polistil, adesso io vorrei il cofanetto di Jakob Ullmann ma i miei non mi regaleranno MAI qualcosa che assecondi quella che per loro (non sbagliando del tutto) è una dipendenza, quindi me lo comprerò io. E via. Mi rendo conto di essere estremamente privilegiato dal poter contare su tot euri a fine mese regolarmente versati sul mio conto, sono convinto che se dovessi stare più attento o ponderare di più i miei acquisti compulsivi probabilmente non sbarellerei così di brutto, e sicuramente sarebbe un bene per l’estratto conto (operazione bancaria che detesto e cerco di fare il meno possibile), visto che, ora come ora, pur lavorando da un po’, non sono riuscito a mettermi via praticamente nulla. La volta che mi dovrò comprare un rene o anche solo la vespa nuova sarò fritto,  ma ci penserò in quell’evenienza. Quello che mi stupisce sempre è che quando manifesto quanto io sia fondamentalmente a disagio nel realizzare che, comunque, io lavori nove ore al giorno quasi esclusivamente per comprarmi dischi, mi sento spessissimo rispondere “vabé, dai, se è per la musica è per una bella cosa, non c’è nulla di male”. Davvero, per me è talmente sbagliato che non capisco come gli altri possano legittimarlo. Poi il fatto che da 6 anni conduca solo soletto una trasmissione radio dove mi lasciano passare quello che voglio è un ulteriore scusa per lasciarmi andare in acquisti compulsivi.
Ovviamente, oltre ai soldi spesi per i dischi, ci sono anche quelli andati per i concerti: fortunatamente io e i miei amici stiamo invecchiando, e tra tutti ci sta passando la voglia di metterci in macchina, magari di giorno infrasettimanale, per andare a vedere l’ennesimo concerto che chissà se ci soddisferà. Chi ha figli, chi l’indomani si sveglia alle 6, non ce la sentiamo più di tanto. Poi magari è solo un periodo così, eh. Anzi, devo dire che l’unico che ogni tot manda un sms per proporre di andare a vedere qualcosa in giro, sono io (tendenzialmente mi rispondono picche, ma non me ne faccio un cruccio più di tanto). In fondo, negli ultimi anni, andare ai concerti non è stato altro che un pretesto per salutare amici. Del resto di concerti memorabili ne ho visti talmente tanti in passato che, ora come ora, non sento la necessità di ascoltare *solo* della buona musica dal vivo. Poi, da quando amici hanno preso in gestione lo Spazio Targa, qui a Genova, che propone la musica che piace a me in questa città di “troppo poco e troppo tardi” (per citare Mall Rats) – e per di più mi lasciano dare una mano nella programmazione – quello che mi piace cerco di vederlo a casa mia. E se non lo vedo amen, lo vedrò, o lo ho già visto (mi sono perso gli Swans, immensi quando li vidi a Barcellona e sento dire immensi anche a Bologna, ma vabé, quest’anno mi premeva solo vedere Rangda e Demdike Stare e li ho visti rispettivamente a La Spezia e a Torino, quindi mission accomplished).

In tempi recenti ho scoperto una cosa terribile che accomuna me e Tixi,
una malattia grave, una di quelle che lasciano il segno (sui c/c).
Siamo entrambi compulsive buyer di musica.
Se anche tu sei un compulsive buyer di musica,
esci allo scoperto, fondiamo un partito.
(Onga, impiegato e boss di Boring Machines)

Dove compro la musica? Ovunque vendano la musica. Fisicamente compro sin da quando sono ragazzino da Disco Club (ogni sabato mattina metto la sveglia per andare lì prima di pranzo e vedere le solite facce, sentire i soliti discorsi, spendere i soliti euri, un rito, praticamente). Ho comprato tutto quello che mi ha formato musicalmente lì dentro, da A love supreme un giorno in cui avevo preso 7 di Inglese in terza liceo (ma quell’anno venni bocciato ugualmente, ma per questioni di cuore, non perché ero una capra) a, chessò, l’ep dei Corrosion of Conformity che aveva una cover degli MC5 sul lato B che mi ha aperto gli occhi verso un certo mondo. Da qualche anno sul retro c’è un gran bel negozio dell’usato, una limatina sui prezzi non farebbe male, ma regolarmente trovo qualcosa che mi interessa e che non avrei mai detto di trovare (giusto un paio di giorni fa mi sono preso la ristampa di Jacula che era in wishlist da secoli)
Altrimenti ogni volta che riesco a passare cerco di comprare qualcosa da Taxi Driver (purtroppo lavoro dalla parte opposta della città), altro orgoglio cittadino, più specializzato in un genere che non è 100% la mia cup of tea (stoner-post metal, ecc) ma comunque fornitissimo (anche delle cose che piacciono a me) e da preservare, fosse solo per il coraggio e la dedizione con cui Maso e Sara tengono aperto un negozio “di genere” in un momento come questo, in una città come questa, dove soldout lo fa solo Giuliano Palma e forse neanche più lui.
Poi ho anche un paio di secret spots in giro, ma col cazzo che ve ne parlo qui sopra (e comunque sono stati più che saccheggiati).
Per ultimo c’è internet, che è un po’ (giustamente) il nemico di tutti i negozianti. O compro direttamente dalle etichette (ho preso un paio di giorni fa il disco di Bowles su Soft Abuse, consigliatomi da Collepiccolo, caro amico che non manca mai di alimentare i miei acquisti compulsivi, specialmente quando andiamo in vacanza a Barcellona col pretesto del Primavera Sound ma, alla fine, è palese che andiamo solo per fare un salto da Wah Wah e da Revolver), o da qualche distributore alla Boomkat (che è caro, infatti saccheggio solo le offerte). Poi c’è Amazon, che è stata la mia rovina, da quando ha aperto in Italia. Trovi quasi-tutto-a-meno. Per mesi, quando il sito era strutturato in modo diverso, passavo le mie pause pranzo a scovare con un trick le offerte speciali (e ce n’erano, di incredibili, vedi il cofano dei NEU che abbiamo comprato tutti), ora sto a sentire le dritte di questo o quello, e soprattutto compro più mirato e meno “è in offerta, costa come una birra, prendiamolo”. Tra l’altro se avessi speso in birre tutto quello che ho speso facendo quel ragionamento da quando ha aperto amazon sarei già morto di cirrosi, come minimo. Ah, poi c’è Soundohm, un catalogo sterminato della musica più bella del mondo (o, meglio, tutta quella che al momento desta il mio interesse), difficilmente recuperabile altrove. Negli ultimi tempi ho cercato di piazzare almeno un ordinino al mese, giusto dell’importo per evitare di pagare le spese di spedizione. Fortunatamente Fabio è svampito e casinista di suo, e la cosa mi trattiene dall’ordinare giornalmente, se fosse affidabile come amazon sarebbe la mia rovina.
Lascio per ultimo Discogs, perché è l’unico posto dove chi compra dischi dovrebbe andare, soprattutto se, come me, non vuole delle ristampine in economica col punto esclamativo. C’è tutto, a volte overpriced (basta stare lontani dagli italiani, di solito) a volte trovi l’affare della vita. C’è la wishlist che ti segnala con un’email che quell’lp della Far East Family Band è finalmente disponibile NM/NM da un venditore tedesco (dio benedica le poste tedesche e maledica quelle italiane) a soli 10 euri (contro i 25 a cui lo hai sempre visto in giro) e puff, eccoti con un buco in meno nella collezione.
Ultimamente ho anche cominciato a comprare su bandcamp, in .flac direttamente dagli artisti. Anche perché, come nel caso di Kemper Norton o del live di Congos e Sun Araw, è l’unico modo per ascoltare la loro musica. Non è così male, in effetti, se è l’artista stesso che ti permette di ascoltare la sua musica *solo* masterizzandotela su un cd.
Per il resto, scarico poco, pochissimo. Giusto quello che capisco che potrebbe piacermi o che mi incuriosisce (sono abbonato a The Wire e sto imparando a fidarmi con moderazione dei nomi che escono, che è tutta salute), in uno o due ascolti decido se vale la pena, quindi lo metto in wishlist mentale e lascio che il rush compulsivo si calmi. Se si calma ho risparmiato 10-20 euri, se non si calma dopo qualche giorno clicco e via col senso di colpa.

  1. 2.    Capra: come ascolti la musica? quanto costa la roba che usi?

Tixi:

<geek>
Argomento scottante. Per forza di cose essendo 10h al giorno lontano da casa convivo con il mio iPod 5.5 da 30GB. Letteralmente, da quando esco la mattina e mi metto in vespa a quando torno a casa ho sempre gli auricolari in-ear (la cosa mi è costata 159€ di multa e 5 punti della patente – e mentre scrivo mi chiedo se una dichiarazione pubblica di infrazione del codice della strada sia perseguibile, quindi, se qualche vigile sta leggendo, sappia che è tutto frutto della mia fantasia). Riesco a concentrarmi (quindi a lavorare) praticamente solo isolandomi ascoltando musica, come riuscivo a studiare solo con lo stereo acceso. Il problema è che sono piuttosto esigente. Uso quel particolare modello di iPod (e quando mi lascerà sarà dura) perché fu l’ultimo prodotto con il DAC della Wolfson. Dalla generazione successiva Apple ha cominciato a montare un convertitore pessimo che suonava malissimo, e non se ne parla proprio. Per le cuffie sono altrettanto menoso: mi durano pochi mesi e ogni volta passo delle giornate intere a ponderare su forum e siti vari quale modello comprare, senza spendere troppo. Ritengo di aver provato quasi tutto sotto i 30€, giusto ieri mi sono arrivate delle Creative EP830 pagate 15e su amazon che suonano molto meglio di quanto mi aspettassi, quindi sono soddisfattissimo. Mp3 rigorosamente rippati dai 224kbs vbr in su, ça va sans dire.
L’impianto di casa, invece, è la mia delizia. Ho avuto cose ben suonanti ma economiche per anni (e non mi lamentavo, per carità, solo che dopo un po’ mi veniva voglia di cambiare). Sono incappato in un collega che mi ha fatto sentire componenti di ben altra caratura e senza svenarmi mi ha procurato quello che probabilmente sarà il mio impianto definitivo (in un anno non mi ha ancora stancato, ed è quasi un miracolo che per un ossessivo-compulsivo che ci sia qualcosa che dopo un anno lo soddisfa ancora): un QUAD 33/303 (pre e finale inglesi a transistor in produzione dagli anni 60 agli 80, storici, se cercate su google vedete anche quanto sono belli esteticamente), da lui upgradato in modo eccelso e segretissimo, due casse Tannoy T115 con un tweeter che lévati (modificate anche quelle, erano degli ottimi monitor da studio nei 70’s), appoggiate su degli stand che devo farmi venire voglia di riempire di sabbia per renderli un po’ meno risonanti (risuonano, si sente, non prendetemi per coglione). Entrambe le cose credo mi siano costate 800 euro, se non ricordo male. Se pensate che alla stessa cifra comprate un impianto indegno di quelli con tante lucine, beh, sono sicuro di averli spesi bene, del resto non vedo perché spendere in cose inutili come le tasse della rumenta e non per qualcosa che mi godo tutti i giorni (mentre scrivo di là stanno girando i Flamin’ Groovies). Ho un buon giradischi Systemdek IIX degli 80s che ho pagato pochissimo in condizioni un po’ così da un venditore ebay inglese che è stato anch’esso modificato e rimesso in bolla. Il braccio, un buon AT che era già sul giradischi monta una testina Stanton 681 che forse è l’unica cosa che cambierei nel mio impianto (ed è comunque una testina con i controcazzi, ‘na roba da 200 euri, che ho pagato la metà), appena capisco che è giunta la sua ora mi butto su una Ortofon Red, o qualcosa di analogo. Come lettore cd ho un Marantz CD63 che mi fa godere, e prima o poi vorrei farmelo modificare. Visto che un sacco di roba è cominciata ad uscire solo in cassetta sono andato alla ricerca di una piastra decente, alla fine ho recuperato a costo zero una TEAC che fa il suo dovere e ho pensionato quella che usavo prima, ma alla quale dovevo cambiare la cinghia e non ne avevo proprio voglia.

</geek>

Mi rendo conto che quello che avete letto sia molto poco figa friendly, ma del resto spero che le ragazze abbiano smesso di leggere quando ho scritto la parola “DAC”, non vorrei mai che si pensasse che sono un nerd che si fa le pippe sulle sfumature di questo o quello strumento sul proprio impianto hifi. In fondo su quell’impianto ci ascolto i Bad Brains, quindi sticazzi, sia chiaro, mi piace solo spendere i miei soldi nel modo più sensato possibile. “Elongatio Penis”, l’avrebbe definita qualcuno, magari. Boh. Batto il belino.

“Tixi è bono tipo Winni the Pooh”. Non è farina del mio sacco, ma ci farei una torta.
(Jukka Reverberi, operatore socioculturale e Giardini di Mirò)

  1. 3.    Capra: nella piramide di spese della tua vita le 3 cose per cui spendi di più.

Tixi: Beh. L’affitto mi mangia un bel po’ di soldi, abito da solo perché non riuscirei ad avere un coinquilino (ovvero un semiestraneo che gira per casa), e  per ora non ho una famiglia da mantenere. Poi vengono i dischi. Poi la spesa al Carrefour (ma mi accontento di poco, dal punto di vista alimentare sono davvero uno zero e ho l’alimentazione meno corretta tra tutte le persone che conosco, ma ho fatto le analisi e vanno più che bene, meglio così). Quindi la benzina della vespa (faccio 40km al dì per andare e tornare dal lavoro), e tutto quello in cui spende mediamente un 35enne (considerando che mi vesto nello stesso modo più o meno dalla quinta superiore, come mi fa notare Alice). Non ho vizi particolari (social drinker e neanche troppo, non mi ubriaco da almeno tre anni – ero ad un concerto dei Clinic e quindi al Buridda – e l’ho patito come un dannato per le 72h successive, non ho più 20 anni, in più temo l’etilometro come poche cose al mondo), non fumo, non sono un fanatico dell’andare a cena fuori (tranne quando vado nel mio ristorante preferito, il pesto migliore del mondo, per fortuna è anche molto economico), odio andare al cinema a vedere film stuprati dal doppiaggio e dal pubblico che commenta prima/durante/dopo e ride anche quando ci sono battute che non fanno così ridere (chissà perché lo fanno). Vado in vacanza giusto quelle due tre volte l’anno, ma non nego che mi piacerebbe viaggiare molto di più, anche se temo che finirei in giro per negozi di dischi all’estero. Che da una parte è anche piacevole, e ci sta, dall’altra non sono sicuro che sia del tutto sano (ma si, perché no).
Qualche soldo va via anche in giocattoli musicali che suonicchio in casa, registro per gioco e chissà che un giorno mi venga voglia di far sentire a qualcuno. Niente di serio, comunque, anche se tra un giocattolo e l’altro mi sono messo in casa delle belle cosine. A parte la mia stupendissima Telecaster JV dalla quale non mi staccherò mai, mi sto divertendo con pedalini e synth vari, cosine autoscostruite (mi sono assemblato un Big Muff che è na bomba) e spippolo a cazzo. La morte sua.

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4. Capra: i 10 dischi più belli usciti quest’anno e quali di questi hai comprato.

Tixi: Giusto qualche giorno fa ho tirato giù na lista, visto che la stavano facendo tutti in tutti i social network possibili, e non mi andava giù che The Wire avesse messo come disco dell’anno quella robetta che è Laurel Halo.
Quindi:
1. Pelt – Effigy
2. Scott Walker – Bish Bosh
3. IX TAB – Spindle & The Bregnut Tree
4. Kemper Norton – Carn (1)
5. Sun Araw, M. Geddes Gengras & The Congos – Icon Give Thank
6. Demdike Stare – Elemental
7. Mark Feehan – MF
8. Neneh Cherry & The Thing – The Cherry Thing
9. Cut Hands – Black Mamba
10. Taylor Deupree – Faint

Li ho comprati tutti, quasi tutt a scatola chiusa (Neneh Cherry e Scott Walker addirittura preordinati, credo di non averlo mai fatto prima di quest anno), tranne Taylor Deupree che è appena uscito ed è un doppio cd che costicchia e spero di trovare un po’ a meno tra qualche mese/anno.

  1. 5.    Capra: i 3 gruppi italiani che se un amico ti dicesse che gli piace uno i questi tre gruppi smetti di essergli amico.

Tixi: Ma dai, non è che smetto di essere amico di qualcuno perché ascolta della musica di merda (menzogna, N.d.C.) Al massimo posso dire che non so cosa potrei avere da condividere con un fan della triade Agnelli/Capovilla/Canali. Del resto se non ci fossero coprofagi non avremmo fenomeni inspiegabili come I Cani o gli Zen Circus. Cazzi loro dai. Faccio molta più fatica ad essere amico di un elettore del pdl, magari pure sandoriano o lettore del Mucchio, che del fan di un gruppo inutile.

Al massimo quelli con cui non voglio proprio avere a che fare sono i fans dei Radiohead, per non parlare di quelli di Capossela.

 

 

  1. 6.    Capra: il tuo ultimo giovedì sera

 

Tixi: Giovedì sera nevicava, qui a Genova, e pure forte. Sono tornato dal lavoro stravolto e di sicuro non ho trovato le forze per spingermi in centro, anche se suonava Gipsy Rufina e non mi sarebbe dispiaciuto rivederlo. In più martedì avevo preso una bella sberla sull’asfalto cadendo dalla vespa ed ero anche pieno di dolori. Mi sono messo sul divano con un bel libro (“Abbiamo sempre vissuto nel castello” di Jackson Shirley, stupendo) sul kindle (che invenzione, ragazzi) e  qualche disco sul piatto. E’ andata meglio di altre sere, in cui esco perché c’è qualcosa da fare e alla fine quel qualcosa si rivela di una noia mortale e mi fa rimpiangere di non essere rimasto a casa.

  1. 7.    Capra: Meglio una pessima cena con ottima musica o viceversa?

Tixi: Che cazzo di domanda marzulliana, Capra…

                Capra: Rispetta l’arte

Tixi: Come dicevo prima, non sono una buona forchetta. Quindi direi meglio la buona musica, mica per altro, a me di mangiare strabene interessa relativamente. Casomai meglio una buona compagnia, quella sempre e comunque. Che poi nel mio ristorante preferito (non vi dico qual è a meno che il proprietario non mi dia l’endorsment a base di testaroli) l’ultima volta avevano messo Waltz For Debbie di Bill Evans (ho un’ossessione per Bill Evans) e ho pensato che quello fosse il posto perfetto.

            8. Capra: se tuo zio ricchissimo che vive in Lussemburgo ti chiedesse
“Tixi (tuo zio ti chiama per cognome) cosa vuoi per Natale?”

Tixi: Eh. Mio papà ha cinque fratelli, e di conseguenza ho un sacco di cugini. Per la famiglia Tixi ogni natale era un salasso, a suon di regali inutili. Ad un certo punto, in modo molto genovese, giunsero ad un accordo di fare regali solo ai figli dei figli. Io avevo appena compiuto 15 anni e fui il primo a subire questa normativa anticostituzionale, un vero e proprio abuso nei confronti del Tixi adolescente che una volta andava dai parenti il giorno di natale per pigliarsi due regali inutili, poi neanche più quello. Ho solo una zia materna che, regolarmente, ogni anno mi chiede “che vuoi per natale? qualsiasi cosa che non riguardi la musica”. E con “musica” intende neanche libri o cofanetti di DVD. In pratica vorrebbe regalarmi solo maglioni, ma io uso pochissimi maglioni, solo felpe col cappuccio e tshirt stilose. Quest’anno le ho chiesto di regalarmi delle serigrafie di 108 che in realtà avevo già comprato, mi farò dare i soldi che ho speso per quelle serigrafie e li investirò nel triplo di Ullmann di cui parlavo prima o, ancora meglio, nel cofanetto PRIX ITALIA che è appena uscito su Die Schachtel, cazzo quanto lo voglio.

              9. Capra: che cosa stai ascoltando in questo momento?

Tixi: Ho cominciato a rispondere a queste domande ascoltando i Tindersticks, il disco col cowboy., poi ho messo su i Flaming Groovies mentre aspettavo che bollisse l’acqua per buttare la pasta, e continuavo a rispondere. Adesso che è quasi mezzanotte e mi si stanno incrociando gli occhi c’è Arturo Stalteri che ho preso qualche mese fa ed ascoltato pochissimo. È figo.

MANCARONE (dal mondo della moda) – Struggente appello per JOHN GALLIANO libero!

"Mm, io farei la maglia celeste e i calzoncini bianchi" - John Galliano all'epoca della sua consulenza per la Lazio (courtesy of Fotomontaggi Fatti Male - fotomontaggifattimale.wordpress.com)

D’accordo, questa volta parliamo di musica. No, non è vero: guarda tu se l’insopportabile esponente di una genia malvagia e arrogante, vestito in un modo che renderebbe intollerante Cristo e ragionevole uno studente universitario (non so se l’abito faccia il monaco, ma di certo fa il pirla, e anche voialtri gaypride e ballerini alla fine della fiera – “fiera” nel senso di “animale feroce” – preferireste essere tratti in salvo dal Generale Stanley McChrystal in alta uniforme che da Morgan. Almeno questo è ciò che penso e spero, nella mia mente reazionaria e consapevole di essere nel giusto), guarda tu – dicevo – se questo pagliaccione, diciamo le cose come stanno, debba muoverci a compassione.

Cosa è successo? E’ successo che il gran pirla, vestito come il pirata Mazzucco, ha pensato bene di dare della “maledetta ebrea” a una tizia dell’establishment in un elegante caffè dell’establishment parigino, e non pago ha aggiunto (dopo essersi accertato di essere ripreso. Perché, se non fosse stato ripreso la cosa sarebbe stata meno grave? Bè, Cristo (tollerante), no, cari tifosi delle intercettazioni, ma porco cazzo. Sì, la frase finisce così, ed è proprio quanto volevo esprimere) di amare Hitler e di detestare anche quel cinese bastardo che si accompagnava alla tizia in questione. Che poi me la immagino la scena. Lei elegante e raffinata, forte e fiera. Il suo compagno elegante e raffinato, colto e fragile. Galliano fuori di sé, ubriaco e drogato. La urta, le rovescia addosso il mojito. Lei dice ma insomma. Lui non se la incula. Lei dice almeno si scusi. Lui dice ma vaffanculo. Lei dice lei è un cafone. Lui dice ma muori ebrea di merda. Lei fa IIIIHHH tirando il fiato. Il suo compagno le dice vieni andiamo. Lei è forte e fiera e femmina, fuori controllo, urla al compagno ma non hai sentito che ha detto. Il compagno dice dai calmati è solo ubriaco. Galliano intanto sale su un tavolo, rovescia altro mojito, canta Hitler has only got one ball. Lei urla scenda, Galliano ride. Lei urla al compagno fai qualcosa, E che devo fa’?, lei urla ancora di più, si impone sul compagno. E’ una donna cazzo. “E una donna EBREA”, interviene Galliano, ridendo. Il compagno allora cerca di fare l’uomo – come faremmo noi quando sosteniamo le insostenibili e irragionevoli cause delle nostre donne contro altri poveracci come noi dagli occhi buoni, stanchi, che ci mandano affanculo solo per mostrarsi protettivi al cospetto da quella tigre dagli occhi di fuoco che hanno a fianco e che ci odia, ODIA – solo le donne sono davvero capaci di odiare -, mentre loro preferirebbero dirci, ahò e daje, e noi ahò, ma sì, e poi faremmo pace e giocheremmo a calcio, ecco la palla, facciamo ebrei contro nazisti, ahhaah me fai tajà, porco due. Il compagno cerca di fare l’uomo e dice tipo SCUSI a Galliano, ma non si disturba mai un attore sul palcoscenico, o lui sarà obbligato a seguire il copione e, inevitabilmente, a dirti: ma vaffanculo, CINESE. La fine.

Scusate la paratassi delle righe precedenti, ma la trovavo adatta (e poi tutti sanno la mia derivazione McCarthiana) (Ma vaffanculo EBREO). Bè, insomma. Galliano è cacciato con ignominia da Dior, dall’atelier, dalle piccole mani e dalle grandi aziende della moda che, com’è normale, non possono accollarsi la responsabilità di un pirla la cui pirlata gli costerà miliardi. Galliano non ha più un cazzo da fare, è distrutto, piangono le Veneri e i Cupidi che vivono nel suo appartamento. Non è un modo di dire veterolatinista, è proprio così: paperelle gonfiabili alate, gnomi, amorini e fanciulle rinascimentali adesso si riuniscono in triste silenzio attorno al baldacchino crisoelefantino di John, a cui è rimasta amica solo Kate “Respect” Moss, pare, e che, senza un lavoro, si è ridotto a tagliare tutte le spese extra (pane, condominio, un completo di Valentino per carnevale) e con quanto ha sul conto non riesce a permettersi altro che il milione di euro mensile in cocaina, i settecentotrentamila euro settimanali di tigre bianca acrobatica in giardino, i quotidiani 60.000,00 euro in perle, di cui si nutre sciogliendole in poco aceto ogni mattina e quel poco di irrinunciabile benzina (per i rifornimenti al mangiafuoco che abita le cucine di casa sua, ovviamente. John non ha una macchina ma quarantasette unicorni nutriti a rose nere e gigli, che da mesi ormai devono accontentarsi di banali peonie).

Il mio non è, brutti malpensanti, l’invidioso e crudele sdegno del poveraccio con le pezze al culo che si gode la rovina di uno che ha miliardi di soldi e strafantastiliardi di talento più di lui. Il mio è solo il sentimento di tenerezza che mi ha suscitato l’immagine di Galliano, pentito e forse ancor più spaventato, che si è presentato l’altro giorno in tribunale vestito serio per una volta, cioè con un elegante, assurdo cravattone a pois allentato sul colletto perché John avrebbe stile anche durante l’Armageddon; ed è il sentimento di tenerezza che accomuna il sentire di John, uomo di successo e perciò ragazzino di tredici anni per sempre (affanculo, la crescita la lasciamo a voialtri stronzi privi di capacità che per questo vi riducete a fare gli account manager, John, Elton e io non vogliamo manco sapé che significa), perciò capace di atroci stronzate, e incapace suo malgrado di avere il perdono e la compassione di una (ricca) Erinni offesa.

Liberate il soldato Galliano! E, per favore, giudici, se anche voi siete maschi e prima di vincere il concorso avreste voluto fare gli astronauti, abbiate per stavolta, solo per stavolta, un po’ di compassione per il diavolo.

P.S.: A proposito di “gente famosa che ama Hitler”. Lars von Trier, che ha dichiarato più o meno lo stesso ma per fare il fico, e per fare il fico ci ammannisce la sua depressione in tremendi orrendi scabrosi osceni film, per girare uno dei quali ha avuto coraggio di uccidere un asinello indifeso (è successo per Dogville), può andare a farsi fottere e morire, ma morire sul serio, acciocché il realismo filmico non abbia di che patirne.

Marnero – Naufragio Universale (pipponi)

Se voleste tirare una parentela heavy metal più o meno a caso tra il quarto disco dei Bachi da Pietra che sta per arrivare nei negozi e il revival peso e preso male del ritorno di Massimo Volume con un nuovo disco che tutti hanno ascoltato prima che uscisse, un tutti da cui ideologicamente ci vorremo distanziare diventando gli unici patetici sciovinisti del niente che non se l’ascolteranno manco dopo, o anche sì (non mettiamo limiti alla provvidenza), c’è il nuovo disco di Marnero, la vera Bologna violenta. Il disco è in vinile, ma volendo ve lo scaricate gratis su Bandcamp. Il principio di mercato su cui si fonda è il solito: DIY, DIY, DIY. Si chiama Naufragio universale, ha un bellissimo packaging a cura di Robert Rebotti, contiene canzoni con testi che potreste voler leggere prima di ascoltarlo, o dopo, o nessuna delle due. È difficile parlare di qualcosa che hanno già provveduto a mettere in giro gratis loro stessi, e non vorremmo mai che la nostra idea si scontrasse con la vostra (voglio essere l’unico a pensarla, cit.). È piuttosto chiaro invece che John D. Raudo, più o meno anche stavolta il protagonista della vicenda –come fu per Laghetto, non ci scorderemo mai di citarli- sembri arrivare addosso alla gente dritto dritto dal decennio prima. Da dieci anni a questa parte arriva sempre con dieci anni di ritardo. Che se in un mondo pre-revival avrebbero avuto un effetto di noia e sgomento, oggi sono semplicemente DEVASTANTI. Ti ritrovi a guardare a dieci anni di scarti mascherati da ipotesi post, mentre Zoster cita involontariamente Worms (Bloodlet) e ti scarica addosso una camionata di clichè appena appena rivisti che a vederli scritti sembra la peggior cosa mai scritta e invece, non so, ti mangiano. Solo il dolore conta, perché la malattia che hai è la vita. C’è un sacco di gente che si fa di poesia a cuor leggero per mesi e mesi, s’adagia, prende le ferie da se stessa e si ripresenta qualche mese dopo con una crisi d’astinenza da grevità posticcia e/o metal apocalittico esistenziale. Marnero è vecchia scuola, il suo suonare dissociato esprime il rifiuto di associarsi e il suo suonare altrimenti denuncia il bisogno di rifondare se stesso partendo da zero, cercando di annullarsi ad ogni minuto che passa ed arrivando alla fine del disco con un niente di fatto che ti fa sentire più nudo e vulnerabile di quanto ricordi di essere mai stato di fronte a un disco di metal corazzato (ibidem). Donnabavosa/Sanguedischi, Escape from Today, Trips Und Traume, In Limine, No Joy.