WHORES – CLEAN (RECENSIONE IN STAMPATELLO)

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OSSERVANTI ALLO SPIRITO DEL GRUPPO E DEL DISCO IN OGGETTO, SCRIVEREMO IL SEGUENTE ARTICOLO-RECENSIONE IN STAMPATELLO. CI PERDONERETE, E NON SAPPIAMO PERCHÉ ABBIAMO SCRITTO QUESTA BREVE INTRO IN PRIMA PERSONA PLURALE. LA SMETTO SUBITO.

SONO ARRIVATO UN DOPO, MA SE FOSSI STATO UN FANATICO DEGLI HELMET EPOCA STRAP IT ON NON CREDO CHE AVREI PRESO BENISSIMO MEANTIME. SIA CHIARO CHE MEANTIME È UNO DEI DISCHI PIÙ BELLI DEGLI ANNI NOVANTA, E CHI LO CRITICA VERRÀ ACCOLTELLATO DA QUELLI DELLA NOSTRA BALLOTTA, MA STRAP IT ON È MEGLIO E CREDO CHE L’AVREI PRESA MOLTO MALE. QUANTE VOLTE È SUCCESSO? NON RIESCO PIÙ A CONTARLE: IL GRUPPO FA QUALCHE DISCO BELLO E POI ARRIVA IL DISCO MESSO INSIEME PER FARE I SOLDI. LA COLPA È DA IMPUTARSI ALL’EGO DEI MUSICISTI, A PRODUTTORI SBAGLIATI, ALLE PRESSIONI DELL’ETICHETTA E TUTTO IL RESTO. È UNA FORMA MENTIS MOLTO ANNI NOVANTA, QUELLA ALLA BASE DEL DISCO PER FARE I SOLDI. MUSICA CHE DUE ANNI PRIMA ERA MATTA SPIGOLOSA E INCAZZATISSIMA E POI DIVENTA QUADRATISSIMA E SÌ, SPESSO ANCORA BELLA MA IN UN MODO MOLTO MENO PERSONALE. GENTE COLPITA DA QUESTA SINDROME: METALLICA, NIRVANA, SOUL ASYLUM, SUICIDAL TENDENCIES, KORN, FEAR FACTORY, LIFE OF AGONY, MACHINE HEAD, APPUNTO HELMET, ORANGE9MM, SHELTER, SNAPCASE, POWERMAN 5000, VISION OF DISORDER, EARTH CRISIS, OK GLI EARTH CRISIS ERANO DELLE MERDE ANCHE PRIMA, MA INSOMMA AI TEMPI NON SEMBRAVA, E INSOMMA POTREI CONTINUARE PER UN’ALTRA MEZZA GIORNATA E DIMENTICHEREI COMUNQUE UNA DOZZINA DI NOMI CHE NON POTEVO DIMENTICARE.

NON È LA PRIMA VOLTA CHE SUCCEDE, INSOMMA, MA STAVOLTA BRUCIA PARECCHIO. GLI WHORES NON LI ABBIAMO VISTI ARRIVARE, COME QUANDO ATTRAVERSI LA STRADA E VIENI COLPITO DA UN AUTOTRENO, PRESENTE? RUINER È STATO COSÌ. TE LO PASSA UN AMICO E DICE “L’HO TROVATO SU BANDCAMP”, GUARDI LA COPERTINA E TI SEI GIÀ MESSO A PIANGERE. IL RESTO È TELEFONATO, UN EP DI 5 BRANI VIOLENTISSIMI E SANGUINOLENTI E DROGATI. ERA GIÀ OBBLIGATORIO PARLARE DI RITORNO AL NOISE, NATURALMENTE (UN OBBLIGO CHE SENTO SEMPRE MIO PERCHÉ IL NOISE MI MANCA MOLTO), E INSOMMA CLEAN È ARRIVATO IN UN MOMENTO IN CUI TENEVAMO LE ORECCHIE APERTE IN DIREZIONE WHORES.

CLEAN, A SUO TEMPO (E NON DEL TUTTO A CASO) USCITO IN ANTEPRIMA SU PITCHFORK ADVANCE, È UN LAVORO PODEROSO DI CUI NON AVREI PROBLEMI A DIRE DISCO DELL’ANNO. COSÌ PER VOLARE BASSE: CHITARRE TESISSIME E PEZZI STRUTTURATI, MUSICA RIDOTTA ALL’ESSENZIALE E UNA PRODUZIONE CHE LA MANDA. PARAFRASANDO NIKKI, GLI WHORES SONO UN GRUPPO DI QUELLI CHE FANNO IL ROCK NORMALE. E ALLORA FESTA? NON PROPRIO. CLEAN STA AL PRECEDENTE RUINER PIÙ O MENO COME MEANTIME STA A STRAP IT ON, SI MERITA TUTTI I COMPLIMENTI MA IO ME LA STO VIVENDO UN PO’ DI MERDA. HO I CAZZI MIEI, VA BENE? CLEAN È LA DECLINAZIONE AGGRO-SLUDGE DEL DISCO PRECEDENTE, COSTRUITA SEMPRE INTORNO ALLE MAZZATE E AI CHITARRONI MA CON QUESTO FASTIDIOSISSIMO BISOGNO DI, SAI, PRECISIONE. O DI PIACERE AI FAN DEI TOMAHAWK. NON CHE PIACERE AI FAN DEI TOMAHAWK SIA UN DIFETTO DI PER SÉ, A PATTO DI NON ESSERE I TOMAHAWK, MA LA COMPONENTE EMOTIVA DEGLI WHORES È ANDATA A FINIRE SOTTO LITIO. QUESTA COSA PROBABILMENTE È SOGGETTIVA E PROBABILMENTE NO, STA DI FATTO CHE GLI WHORES NON URLANO PIÙ. PRENDETE DIECI FAN DI MUSICA PESA E FATEGLI ASCOLTARE CLEAN  DIETRO A RUINER: CINQUE DIRANNO CHE NON C’È PARAGONE E GLI ALTRI CINQUE NON CAPISCONO UN CAZZO DI MUSICA. FOSSE USCITO NEGLI ANNI NOVANTA L’AVREMMO DEFINITO IL DISCO PER FARE I SOLDI DEGLI WHORES. IL FATTO CHE I SOLDI NON CI SIANO PIÙ RENDE QUESTO CONCETTO MERAVIGLIOSAMENTE VINTAGE, E AIUTA GLI ANNI NOVANTA A TORNARE UN ALTRO PO’ (SOTTO L’INEDITA FORMA DI MODELLO DI CARRIERA ARTISTICA O DINAMICA DELLE ESTETICHE, COME SE FARE UN DISCO-SVACCO SIA DI PER SÉ CONDIZIONE NECESSARIA ALL’ESISTERE). MA LA REALTÀ DEI FATTI È CHE NEL SUO ESSERE PAPABILE A “DISCO DELL’ANNO”, CLEAN DENUNCIA IMPLICITAMENTE UN’ANNATA MUSICALE DEL CAZZO.

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L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 31 ottobre-6 novembre 2011

 

Dice bene Kekko: la notte del 31 ottobre non è sempre stata Halloween. Per me, il 31 ottobre è soprattutto il giorno in cui è nato uno degli esseri umani che più mi hanno migliorato la vita. John Candy. Oggi avrebbe compiuto 61 anni.
Ma è anche Halloween, certo. Dunque: Halloween party devastante all’XM24 con body performance, concerti, esposizioni, proiezioni e gran dj set tekno, il tutto dalle 22 a oltranza; oppure HELL che torna sul luogo del delitto; o i Calibro35 con annesso festone anni 90 al Bronson (anche se forse contestualmente sarebbe stato meglio un bel 70 revival con tanto di posaceneri di plasticaccia grossi come mattoni con su il logo dell’acqua Pejo e il bar che serve soltanto Chinamartini, whisky J&B e minerale Fiuggi, il tutto in bottiglioni di vetro); o i Messer Chups al Velvet (bella storia…). Comunque meglio non ridursi peggio di un cencio sull’autostrada, che poi martedì c’è l’unica data italiana dei Krum Bums; al Voodoo Club di Comacchio, aprono Be-Ones e Atti Osceni, dalle 22, sette sporchi euracci più tessera ARCI. Altrimenti, per i busoni Egokid al Teatrino degli Illusi (all’interno di Gender Bender Festival), per i raffinati Yann Tiersen al Vox. Mercoledì MeryXM riposa; sarà un mercoledì di merda, comunque per i rockettari stilosi segnalo The Experimental Tropic Blues Band al Sidro di Savignano. Giovedì in compenso è LA serata: Sightings al Bronson (dalle 21.30, dieci euro), ovvero nuove declinazioni dello sfondarsi i timpani, prima e dopo Bastonate djset analogico e mentale. N O I S E . E venerdì si replica con tripletta paura: Guitar Wolf al Millennium (prezzo e orari ad oggi ignoti, sarà di sera e a volume alto, chi non viene è un povero fesso!!!), Snakes of Christ festival all’XM24 con Dead Elephant e altri amici che gli amplificatori li fanno soffrì, last but not least i Necks all’AreaSismica a Forlì (dalle 22.30). Sabato Kode9 + altra gente al Bronson, non sarà l’illbient preso male alla vecchia di una volta ma che cazzo, ci va parecchio vicino; oppure Steel Fest 2011 all’Estragon, una colata di metallo che invece il concetto stesso di alla vecchia lo ridefinisce per davvero, a sommare le età dei componenti dei gruppi si arriverà a sfondare il tetto del milione di secoli… vietato l’ingresso a chi ha meno di 75 anni. Sabato e domenica c’è pure la fiera del disco…



STREAMO: Prurient – Bermuda Drain (HydraHead)

"...il notevole artwork minimalista..."

C’è stato un periodo, nemmeno tanto tempo fa, in cui la branca harsh e/o fricchettona del noise americano andava di moda tra la stampa specializzata. Successe più o meno a buffo, nel senso che qualcuno iniziò a parlare di questi gruppi di campagnoli americani che si facevano dischi e concerti in cantina, suonavano durissimo e tutto il resto. In quell’epoca passare dal forum di OndaNoise a due parole di Thurston Moore alla copertina di Wire era un attimo e ci siamo ritrovati la casa tappezzata di edizioni limitate di Wolf Eyes, Hair Police, Dead Machines et similia. Edizioni limitate significa dischi normalissimi tirati in 40 pezzi (perché QUELLE eran le copie che vendevano) in vinile color vomito e messi dentro a cose tipo cartoni della pizza, scatole per i neon, bustine della spesa e cose così –quando andava bene, altrimenti gatefold in carta velina dipinto a mano col feltro di un pennarello scarico. Album che nella maggior parte dei casi sono stati ascoltati una volta (stima ottimistica) per puro principio, anche se fino a due o tre anni fa li si poteva agevolmente trovare citati come CAPITALI da gente che non aveva mai visto un negozio di dischi in vita sua. Era un periodo matto: l’ascolto forsennato di robe del genere e una contemporanea infarinatura di zen e John Cage ad opera di dubbi amici mi faceva trovare interessante TUTTO, specie se i CD non erano masterizzati bene e generavano loop casuali in un paio di punti o venivano ascoltati in auto durante una grandinata. In quel periodo i Wolf Eyes di Nate Young (senza dubbio quello del giro con la miglior visione) si beccarono perfino un contratto Sub Pop e fecero uscire un disco con Anthony Braxton: probabilmente la cosa che avevo atteso di più in quell’anno, anche se di Anthony Braxton da solo avevo sì e no la coscienza che esistesse e il disco finito si fosse rivelato poi una mezza ciofeca non all’altezza degli uni nè dell’altro. Nel frattempo quasi tutti quelli che potevano mettersi a fare cose le hanno fatte, improvvisandosi noiser da cantina e buttandola in caciara per quanto possibile -tra l’altro a livello puramente attitudinale è molto meglio essere inascoltabili in quanto estremi e senza compromessi che essere inascoltabili in quanto inascoltabili- e generando una sottocultura ex-novo nella quale questo approccio harsh/freak si è mischiato all’elettonica avant e ha generato legioni di capolavori del pop, giustamente stampati in sedici o diciassette copie l’uno, o microscene stile Palustre o Borgata Boredom o che so io, di cui non abbiamo mai parlato ma fate pure conto di sì. Alcuni dei più dotati e lungimiranti, d’altra parte, hanno saputo vendere la loro militanza pre-esplosione a tutti gli enti che trattano musica d’avanguardia al mondo. Ad essere sinceri dubitiamo ci fosse il dolo, ma alcuni sono passati senza sforzo dal No Fun Fest ai posti alti nelle kermesse di musica contemporanea più sciccose del vecchio continente, a cui potenzialmente possono presentarsi ubriachi e sanguinanti e fare venti minuti di caciara casuale beccandosi uno scroscio infinito di applausi dagli stessi intellettuali ad ogni costo che manco due anni prima se ne andavano via incazzati come delle pantere se durante il set di Niblock usciva un feedback impercettibile.

Il prinicipe incontrastato di questa fase è Dominick Fernow. Inizia a lavorare a nome Prurient alla fine degli anni novanta, tipo in Wisconsin, per poi spostarsi a New York con la sua distro ed aprire un negozio di dischi specializzato in roba noise che diventa la mecca del genere. Da metà anni 2000 in avanti Prurient diventa una specie di necessary evil della musica contemporanea: ancora oggi non ho la percezione di lui come di un artista che seguo o conosco, ma mi sarò ascoltato una decina di suoi dischi (un paio li ho pure in casa originali, non so nemmeno bene a che titolo). Nell’ultima parte della sua carriera c’è stata una svolta melodica, oggi esce un disco su (già già) HydraHead che potete ascoltare in streaming e dimenticare di comprare senza problemi grazie al soundcloud di AVClub. Leggo su che qualcuno l’ha definito il disco più romantico del 2011, e potrebbe essere perfino vero a patto che per voi il top del romanticismo sia una cosa tipo Jean Michel Jarrè meets certi dischi Kranky che non ricordate di aver ascoltato meets gamelan casuale but worse (il che lascia ovviamente grossa libertà di manovra ai fanatici ad ogni costo che sentiranno imprevedibili echi carpenteriani e cose simili, peraltro ben più che ipotetici in una Myth of Sex). Io da parte mia sono convinto, ASSOLUTAMENTE CONVINTO, che la colpa di un disco come Bermuda Drain sia almeno in parte colpa mia, e se non vi dispiace vado a comprarmi un cilicio.

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FOTTA: Hella (ancora nessun titolo, sorry)

Giuro su quel che volete, non sapevo che gli Hella fossero ancora un gruppo. Fino a qualche tempo fa, stando a Wiki, nemmeno Zach Hill ne sembrava troppo convinto. Il motivo principale per cui tutta la questione Hella se ne andò a puttane è il tempo fisiologico: il gruppo partiva da una base chitarra/batteria non troppo diversa dal modello Crom-Tech (il primo gruppo di Mick Barr, un disco poderoso su Gravity) ma più avventurosa e proggheggiante. Il disco d’esordio su 5 Rue Christine e tutte le cose pubblicate fino a The Devil Isn’t Red (compreso, oggi vogliamo rovinarci) sono opere di pregio che dovrebbero essere insegnate a scuola. Una versione magra e agile dei Flying Luttenbachers senza black metal, death metal e odio per la razza umana, tre giorni prima che la formazione a due inizi ad andare di moda a furia di Lightning Bolt e gente simile. Dopo un paio di giorni Zach Hill s’aggancia al giro grosso: suona nell’album dei Team Sleep (un terribile side project di Chino Moreno il cui disco, annunciato e rimandato per qualcosa come cinque anni, si è rivelato essere una delle più pretenziose ciofeche dell’ultimo decennio), inizia a lavorare da solista, presta la batteria più o meno a CHIUNQUE. Nello stesso periodo la band decide di pubblicare come terza uscita un album intitolato Church Gone Wild/Chirpin’ Hard, una roba tipo Speakerboxxx/The Love Below del math-noise ignorante (due CD, ognuno dei quali realizzato da un membro senza intrusioni dell’altro). Il disco è un mezzo disastro, una sega mentale di proporzioni bibliche senza manco la componente free-cialtrona dei primi passi del gruppo (molto più presenti, comunque, nella parte di Spencer Seim). Il passo successivo è quello di rendere Hella un gruppo vero e proprio, cioè sostanzialmente buttando nel cestino l’unica vera peculiarità del gruppo, presentandosi con formazione a cinque in occasione dell’ultima uscita, che esce nel 2007 e si chiama There is no 666 in Outer Space (me lo ricordo come una specie di deriva indierock senza pezzi di un disco degli ultimi Primus, ma non sento il disco da ANNI e potrei sbagliarmi). Da lì in poi la band smette di fare cose, Seim scompare quasi del tutto dalla circolazione, Zach Hill pubblica un disco al mese tra side-projects, uscite soliste e collaborazioni con musicisti di ogni estrazione (i dischi in cui pesa qualcosa tendono ad essere terribili menate da riccardoni). Oggi su Stereogum esce l’anteprima di un pezzo dal prossimo disco: la band è tornata a comporsi dei soli Spencer Seim e Zach Hill, ha buttato fuori un pezzo che sembra uscire dalle session di The Devil Isn’t Red e annuncia l’imminente uscita di un nuovo album. Suppongo come mea culpa sia un po’ tardi, ma sempre meglio che un altro 666. In allegato mettiamo la traduzione google del pezzo di Stereogum, una storia piuttosto buffa di una stroncatura dell’ultimo disco che finisce su una maglietta del gruppo.

Nel 2007 ho scritto una breve recensione tutt’altro che positivi di Hella There’s No 666 In Outer Space, il record in cui il duo noise-rock di Sacramento ampliato per un quintetto e ha iniziato a suonare come un roots Mars Volta. È apparso in SPIN. I ragazzi hanno coraggiosamente girato il midollo in una t-shirt. Il mio problema con There’s No 666 è (come quello che ho visto) la mancanza di scopo creata da quei membri extra – cioè lo spostamento non è sembrato necessario. Dunque, quattro anni più tardi, è bello essere in grado di annunciare che Hella hanno un nuovo album all’orizzonte che trova il nucleo del chitarrista Spencer Seim e lo straordinario batterista Zach Hill indietro come un flusso di coppia ben oliata. Ad oggi l’album di 10 canzone non ha alcun titolo. Idem questa canzone. Ma si può ancora ascoltare bene. E brandelli.

MATTONI issue #7: Kevin Drumm

l'arma del delitto.

 
All’epoca possedevo un organo e mi piaceva suonarlo con un ampli Marshall, tenevo due o tre accordi per una mezzora, così tanto per divertirmi. Un giorno che lo suonavo c’era Jim O’Rourke da me e mi chiese se volevo registrare un disco così; naturalmente dissi di sì. Suonai due accordi per un’ora e poi stop. Poi un mucchio di gente iniziò a chiedermi di questa registrazione per organo che avevo fatto per Jim O’Rourke e che si supponeva fosse eccellente; tutti ascoltavano molto quel che Jim diceva all’epoca… Accadde tutto poco dopo che avevo preso il mio primo indirizzo e-mail e non riuscivo a credere a quanta gente mi stesse scrivendo su questa cosa… Uno mi disse che aveva sentito dire che si trattava di un nuovo capolavoro minimalista tipo Tony Conrad o Phill Niblock… E io: “Ma no, sono solo due accordi, nulla di interessante che abbia a che fare con ipertoni o che…” Un altro mi chiese di suonare l’organo nella sua band perché aveva sentito che avevo fatto questa grande registrazione ed ero una sorta di virtuoso dello strumento (ah ah ah…). Altri mi chiesero di pubblicarla senza neanche averla sentita… e per me non era stato che una specie di gioco.
(Kevin Drumm)

Questo è quanto il ritroso e geniale chitarrista chicagoano ha raccontato a Stefano I. Bianchi in un’intervista apparsa su Blow Up #124 a proposito del brano-fantasma più famoso della sua discografia. Registrato nel 1996 e intitolato, bisogna dire con assai scarso sforzo di fantasia, Organ (per l’appunto), è stato poi reinciso e incluso – separato in due tranches distinte, Organ e Organ Returns – all’interno del disco in assoluto più scostante e respingente a cui l’uomo abbia mai messo mano: l’enigmatico, semiautistico e noiosissimo Comedy (2000, probabilmente un j’accuse verso la scena elettrominimalista di quegli anni, purtroppo realizzato in modo rudimentale e motivato da un senso dell’umorismo comprensibile probabilmente al solo autore). Della versione originale, fino ad oggi, erano a conoscenza i soli Drumm & O’Rourke e forse pochissimi altri, uh, “fortunati”.
La recente emissione del box quintuplo Necro Acoustic per la Pica Disk di Lasse Marhaug (non nuova a mastodontiche pubblicazioni archivistiche del genere, si vedano i quadrupli di Government Alpha e dello stesso Marhaug, e soprattutto il mostruoso Box Is Stupid degli Incapacitants – dieci CD – di cui probabilmente parleremo in futuro), dove la ‘vera’ Organ occupa per intero il quinto CD, offre finalmente l’occasione per ascoltare con le proprie orecchie una composizione di cui, probabilmente, troppo si è favoleggiato e troppo si è scritto. Perché la descrizione di Drumm corrisponde a verità: due accordi, due variazioni tonali che somigliano rispettivamente al roteare delle pale di un elicottero in avaria e a una scoreggia amplificata da un microfono guasto, il tutto portato avanti per cinquantacinque minuti senza alcuna variazione (a parte qualche scarichetta elettronica praticamente inudibile di tanto in tanto, e un paio di crepitii in più sul finale, giusto per gradire). Organ è questo. Come sfottò minimalista ha anche un suo perché, ma subirlo per tutti e cinquantacinque minuti è tutt’altro paio di maniche. Perché non esiste qualcosa di peggiore al mondo di un interminabile drone noioso; a quel punto, tanto varrebbe spegnere lo stereo e limitarsi a fissare il soffitto nel silenzio, le probabilità di uscire da sé sarebbero in qualsiasi caso maggiori. In compenso, il resto del materiale contenuto in Necro Acoustic è bellissimo e vale fino all’ultimo dei cinquantadue dollari che costa (questo il prezzo del cofanetto, ordinabile direttamente dal sito della Pica Disk), con punte di eccellenza riscontrabili nel primo CD (tutto a base di microfrequenze spappolatimpani fastidiosissime) e nei trentaquattro minuti di No Edit 2, terminale tour de force kevindrummesco alla vecchia tra sibili, strappi, graffi, abrasioni e più o meno qualsiasi altro non-suono si possa ricavare da una chitarra elettrica collegata a un amplificatore, con in mezzo arbitrariamente una serie di pause improvvise che aumentano il clima di tensione. Potevamo mettere quest’ultimo come MATTONE, ma la verità è che ne volevamo uno stupido.