Penso spesso al fatto che non so quale musica piaccia a chi ha quindici anni in meno di me. Non ho cognizione di causa per quanto riguarda un sacco di generi (che so, il reggaeton); quella di cui so qualcosa, non la capisco. Quando dico che non la capisco sottintendo che il problema sia mio e non della musica, ovviamente: posso continuare a lamentarmi per decenni, cosa che tutto sommato non ho intenzione di fare, ma non la capisco comunque. Si applica a qualsiasi campo dello scibile musicale, in un modo abbastanza orizzontale e democratico: non capisco il rap italiano degli ultimi anni, a parte qualche sporadica eccezione costruita più o meno ad arte per quelli come me; non capisco l’IDM contemporanea a parte certi rimastoni di cui ho semplicemente passato troppo tempo ad ascoltare i dischi; non capisco l’indie-pop tra il catecumenale e l’inesistente dei vari Alt-J, non capisco il power metal anabolizzato dei gruppi alla Protest the Hero, non capisco questo sentore generale secondo il quale nel doom metal e nello sludge stia succedendo qualcosa di interessante, e via di questo passo. O meglio, in fondo credo di capirla, ma credo anche che sia musica di merda senza spina dorsale.
Un meccanismo c’è ma l’hanno messo ben nascosto (cit.)
Voglio dire, il mercato su cui la maggior parte di queste musiche si sviluppa è un mercato sostenuto dalla ricerca. Qual è la molla che ti spinge (ideo/logicamente)ad ascoltare la roba che non passa per la radio e la TV? Chi è che si sveglia un giorno alla ricerca di roba meno impegnativa di quella che passa su Virgin o su Radio2? Ci perdo la testa. I Royal Blood me li sono trovati dentro l’hard disk da qualche parte mentre ragionavo su tutto questo. I Royal Blood sono un duo di Worthing (Inghilterra meridionale), hanno probabilmente 25 anni e suonano IL ROCK. IL ROCK, maiuscolo e senza nessuna aggiunta dopo, è un genere molto preciso e puntuale di musica rock. È quello che viene suonato nelle discoteche rock in serate che si chiamano con nomi tipo “a tutto rock” o “rockarolla”, nelle birrerie riempite a cover band in cui tutti hanno il portafogli con la catena, sulla già citata Virgin Radio o luoghi culturali affini. IL ROCK è uno sconclusionato miscuglio di sottogeneri messo insieme da vent’anni di ricerca della canzone perfetta, una domanda che nessuna persona intelligente ha mai posto ma per la quale un sacco di persone perlopiù idiote hanno una risposta (Smells Like Teen Spirit, Fortunate Son, Blitzkrieg Bop, Stairway to Heaven, Boys Don’t Cry eccetera). Me compreso, ovviamente, ché IL ROCK forse non è il mio genere preferito ma è quello con cui siamo tutti partiti e quindi quantomeno un linguaggio comune. IL ROCK è una musica molto maschia ed egualitaria, nel senso che se guardiamo al consumo finale non c’è moltissima differenza tra Ligabue e i Depeche Mode (se invece guardiamo al valore artistico, all’interno del paradigma critico contemporaneo la differenza tra Ligabue e i Depeche Mode è davvero l’ultimo dei problemi). IL ROCK è quella cosa di cui su base semestrale si intona il funerale e si canta la rinascita, perché in fin dei conti basta il flop di un dinosauro per parlare di morte e un video con due milioni di hit per parlare di risurrezione. IL ROCK si nutre del sangue di milioni di fedeli, radunati perlopiù in arene stracolme, riconoscibili dal fatto che nelle prime file sventola una bandiera dei quattro mori, luoghi in cui la birra scorre copiosa ed annaffiata e per pisciare in un cesso chimico devi fare trentacinque minuti di fila. Come quel numero di Lazarus Ledd che forse si chiamava METALLICA e un artista di nome BELIAL invocava Satana facendo recitare una preghiera collettiva a settantamila persone in uno stadio. Ecco, la principale differenza tra BELIAL e i Royal Blood è che i Royal Blood alle primarie del PD avrebbero votato Matteo Renzi. Suonano basso e batteria come i Lightning Bolt, ma più che Load etichetta somigliano a Load disco dei Metallica, nella fattispecie il primo minuto della prima canzone di Load, quello SBRANG SBRANG anabolizzato, non so se avete presente. Il principale valore narrativo aggiunto è che souonano in due, scuola white stripes/minimalismo rock/essenzialità. Il pezzo tipico che viene scritto sui Royal Blood è “sono due ma sembrano cinque”. Si sottintende che nonostante una formazione che sulla carta è handicappata, il gruppo ha un suono più o meno completo.
(il fatto di essere in due e sembrare un gruppo completo è interessante fino al terzo gruppo che si presenta in formazione a due. Cinque per i fanatici del minimalismo, toh. Poi capisci che tutto sommato i gruppi di due elementi con un disco su un’etichetta di cui qualcuno ricorda il nome suonano tutti completi in qualche misura. Gruppi con un senso musicale preciso e un valore artistico variabile.)
I Royal Blood si inseriscono grossomodo su questa linea di pensiero: il loro senso musicale è sicuramente compiuto, il loro valore artistico è inesistente o, uhm, non colto da me. Alle mie orecchie suonano come il gruppo perfetto per chi si massacra il corpo di tatuaggi maori senza avere la minima idea di cosa significhi quel che ci si è tatuati. Non è un male assoluto, e non è un bene massacrarsi di tatuaggi maori sapendo cosa ci si è effettivamente tatuati (a pensarci l’unica risposta sensata che si può dare a uno che passa venti minuti a spiegarti cosa significa il suo tatuaggio è “ikr”); viene comunque da chiedersi quanto abbia senso perdere venticinque minuti dietro a musica che nella migliore delle ipotesi tra cinque anni avrà prodotto una hit minore stile Lonely Boy, e nella più ragionevole delle ipotesi nemmeno quella. Volendo essere ragionevole mi conviene liquidare il tutto sussurrando tra me e me che non la capisco e che è un bene che sia così. se avete diciott’anni, magari, scrivetemi una mail e spiegatemeli. Se ne avete trentacinque rimettete sul piatto gli Orthrelm e vaffanculo.