Peter Mangalore era un compagno di classe di Bukowski alla scuola media Mt. Justin. Aveva l’uccello lungo trenta centimetri, a riposo. Questa sua peculiarità viene citata più volte tra le pagine di “Panino Al Prosciutto”, amaro romanzo di formazione sui primi vent’anni di vita dell’alcolizzato di Andernach. Peter Mangalore era anche il più indisciplinato di tutto l’istituto: aveva collezionato 500 demeriti quando, se se ne avevano più di dieci e non li si scontava, non ci si poteva diplomare. Un giorno la compagna di classe Lilly Fischman (una che a undici anni era stata sverginata dal proprio padre), decide di provare il mostruoso uccello di Peter Mangalore, che misura trenta centimetri, a riposo. Si danno appuntamento dietro la scuola, dentro una macchina sfasciata a cui Pop Farnsworth, l’insegnante di applicazioni tecniche, aveva fatto togliere il motore; ma Peter è teso, ha paura che qualcuno li scopra, e non riesce a farlo rizzare completamente… I californiani Peter Mangalore devono aver pensato a questo episodio quando si trattò di decidere la scelta del monicker e del titolo da dare al loro primo e unico cinque pollici, “Decay of the Iron Man“, stampato in mille copie nel 1998 dalla conterranea Deep Six e andato ben presto esaurito. Non bastasse, il primo pezzo si intitola Disqualified as a Human Being, tanto per rincarare la dose. Il cortocircuito, per chiunque si ricordi chi fosse e cosa facesse quel Peter Mangalore, è devastante. Per tutti gli altri, rimane comunque una bella gragnuola di schegge implacabili di sano e robusto powerviolence come si faceva una volta, con gli Spazz come numi tutelari e la durata massima di un pezzo che non raggiunge il minuto (cinquantacinque secondi, per la precisione: è la seconda traccia, Eternal Life In Return of Obediance, non lo diresti mai, una furente disamina sui dispiaceri del Cristianesimo). Il disco è introvabile da anni, ma col tempo ha guadagnato una minuscola aura di culto e ogni tanto qualche scervellato con un senso dell’umorismo da potenziale serial killer rispolvera la sua copia, esegue un bel vinyl rip e lo sbatte su Internet. Questa cosa accade ciclicamente. Nota per i completisti: esiste anche un Peter Mangalore dj – base a Manchester, predilezione per le sonorità acid-techno da rave illegali stile Inghilterra primi anni novanta – segno evidente che il culto di Mangalore (e della sua nerchia asinina) è ben lungi dall’estinguersi.