In caso ve lo foste chiesti (io sì), Sandro Codazzi non è uno pseudonimo ma il suo vero nome. Ticinese, la stessa età di Cristo quando venne messo in croce, esteticamente si presenta come un perverso incrocio tra Michel Vaillant e il tizio dei Daft Punk col casco più appariscente dei due; musicalmente è un clash impazzito tra Jean-Michel Jarre, i Pet Shop Boys più arroganti e strafatti di popper, i Dopplereffekt del fondamentale Gesamtkunstwerk e naturalmente Giorgio Moroder, badilate di Giorgio Moroder come se non ci fosse un domani. L’esordio omonimo su Musica di un Certo Livello è uno stupefacente, coloratissimo florilegio di struggimenti tutti italo e allucinanti visioni cocainiche da scenografia di un programma Fininvest a caso però virato spaziale, tipo dentro l’astronave di Alien: meraviglie analogiche e glaciali soundscapes digitali, luci abbaglianti e oscurità insondabile. Tastiere plasticose evocano flash di raggi laser nell’aria satura di sudore di dancefloor fuori dal tempo, voci deumanizzate recitano con pathos da automa filastrocche apparentemente senza costrutto stile Glamourama di Photek ma ancora più spietatamente nonsense, su tutto un senso di spleen disperato e disperatamente carnale che emerge in maniera anche insostenibile. Se Alexander Robotnick avesse sofferto di depressione bipolare, probabilmente invece di Problèmes D’Amour avrebbe scritto pezzi come Aftermath o Martesan; se casanova Sebastien Tellier alla svolta pornesco-faustopapettiana dell’ineffabile Sexuality avesse aggiunto come ulteriore elemento un’insana passione per le automobili di classe medio-bassa, il risultato sarebbe stato molto simile invece a Sex in the Kadett, Uno Turbo I.E. o Android Ritmo Abarth, mentre The Performer è nientemeno che l’unico upgrade possibile dell’irraggiungibile – e altrimenti inimitato – dittico Pornoactress/Pornoviewer del temibile negro pazzo Gerald Donald, e già questo da solo basterebbe a proiettare istantaneamente Codazzi nell’Olimpo dei grandi visionari. Il mixaggio ad opera di Cristiano Disciplinatha Santini e un artwork a dir poco sinistro (grafica e font da titoli di testa di Driven alternati ad austeri ritratti del pilota gentiluomo Elio De Angelis, morto nel 1986 in seguito a un incidente tra i più gravi mai occorsi su un circuito di Formula 1) completano uno dei dischi più ipnotici e perturbanti intercettati negli ultimi anni.