Davvero bello il featuring di Britney Spears su Scream & Shout di will.i.am dei Black Eyed Peas. Il prossimo passo è un featuring di Britney Spears su un brano a caso cantato da Eugene Robinson degli Oxbow – con Britney strafatta di crack che urla “Britney bitch” ed Eugene Robinson che filma con la videocamera (due cose non troppo lontane dalla realtà, tra l’altro – soprattutto la prima).
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Tanto se ribeccamo: QUICKSAND
Da un certo punto di vista si tende a limitare l’hardcore newyorkese ad una specie di visione alternativa (e irragionevole) del genere nel quale tutto è violento, basilare, creativamente statico e criptofascista. Non dà molto aiuto una classe dirigente che conta tra i suoi membri personaggi tipo Harley Flanagan o Roger Miret, e tutto sommato è su quel campo da gioco che si è continuata a giocare la partita. Per un certo periodo di tempo, tuttavia, l’accacì newyorkese sembrava doversi trasformare in una nuova forma di rock indipendente, in maniera tutto sommato non diversa da quello che era già successo a Washington. In entrambi i casi la mutazione fu spinta avanti da gente che s’era semplicemente rotta il cazzo di picchiarsi a sangue e urlare a squarciagola nel microfono. A Washington furono Ian MacKaye e la sua Dischord, a New York il personaggio chiave fu Walter Schreifels: quasi-unico autore dei Gorilla Biscuits e membro della miglior formazione degli Youth of Today, timbra il cartellino all’uscita nei primi anni novanta e mette in piedi un gruppo nuovo, partendo da un side project di cui si son perse le tracce. Si chiamano Quicksand: completano la formazione Tom Capone dei Bold, Alan Cage dei Burn e un bassista di nome Sergio Vega. I Quicksand durano un EP su Revelation e due dischi lunghi che si chiamano Slip e Manic Compression (valgono tutti, ma l’ultimo è tipo uno dei dieci dischi più belli della storia della musica). C’è pochissima roba che suona simile a questa: erano chiaramente musiche che non venivano dal nulla (si trova tracce dello stesso genere musicale nell’altra evoluzione dei Burn, un fenomenale gruppo di nome Orange 9mm, e in cose sempre newyorkesi tipo UNSANE ed Helmet, cose tipo GVSB e simili). I Quicksand hanno qualcosa in più, in ogni caso. Sono un’evoluzione melodica dell’accacì paragonabile agli Huskers di Zen Arcade o Metal Circus, una cosa che non è proprio compiuta ma ci sta provando e magari per strada ci mettiamo pure una dozzina di pezzi melodici-aspri che non ha scritto tipo NESSUNO, e vediamo come va.
Non va benissimissimo, nel senso che i Quicksand vengono assoldati da una major (Polydor, e poi subentrerà Island) in tempi utili per diventare dei possibili nuovi Nirvana, ma non riescono a sfondare per ovvi limiti strutturali (è musica asprissima) se non nel mercato alternative. Prima di poterne vedere l’evoluzione, il gruppo si scioglie per scazzi all’interno. I progetti successivi tirano più o meno tutti dalla stessa parte: Tom Capone, assieme a Peter Mengede degli Helmet, sarà un nome caldo per qualche mese in seguito all’annunciatissimo ed effimerissimo progetto Handsome. Walter Schreifels menerà il torrone per qualche tempo: ai tempi dello scioglimento ha le mani in pasta con una reunion dei Gorilla Biscuits di cui non fa parte ma a cui scrive e produce interamente il primo disco (il gruppo si chiama Civ e il disco Set Your Goals, una delle robe più ispirate del punk-hardcore negli anni del boom di Offspring e compagnia). E dopo un paio di cosette non andate a buon fine lo ritroviamo nel suo ultimo gruppo importante, già a cavallo degli anni 2000, che si chiama Rival Schools e tira sostanzialmente dalla parte di un emocore da botta che tutto sommato non è poi così diverso da quello che facevano gli Handsome (o gli Orange9mm di Tragic, o gli Helmet da Betty ad Aftertaste). Se i Quicksand erano gli Husker Du di Zen Arcade, i Rival Schools sono gli Sugar: una forma musicale più compiuta ma meno interessante, e la testimonianza del fatto che certe alchimie son fatte per spaccare molto e durare poco (United by Fate rimane comunque un disco della stramadonna). Degli altri membri si sa poco, eccezion fatta per Sergio Vega che da qualche anno è il sostituto di Chi Cheng nei Deftones.
Nel giugno di quest’anno i Quicksand hanno suonato qualche pezzo in occasione del venticinquesimo anniversario di Revelation. Quella che poteva essere una buttata a cazzo tipo la reunion dei Big Black è andata a finire in una specie di gita delle medie fuori tempo massimo: stamattina salta fuori il video di una loro esibizione da Jimmy Fallon, c’è qualche data annunciata a settembre e non sia mai che ci neghiamo un reunion tour intero e magari un disco a nome Quicksand la cui qualità non sarà più alta di quella dell’ultimo patetico Rival Schools (ma a giudicare dalla performance televisiva di cui sopra stiamo parlando comunque di un gruppo in forma smagliante). Più che per vederseli dal vivo, la reunion dei Quicksand è l’occasione per ritirare fuori quei dischi incredibili che a metà anni novanta disegnavano un mondo possibile che era emotivamente compromesso e musicalmente violento ed è stato spazzato via da ipotesi che all’epoca sembravano più ragionevoli (il crossover melodico alla Deftones e il postrock di Chicago e simili, cose unite da nient’altro che non fosse una fiera del citazionismo e della de contestualizzazione ad ogni costo che s’è mangiata in un boccone qualsiasi altra ipotesi critica di fine secolo scorso e ci ha dato in cambio gli Hoobastank e gli Explosions in the Sky, tanto per dire in che mondo abbiamo vissuto), e che se fosse stato per loro, insomma, magari oggi là fuori ci sarebbero ragazzi di venticinque anni, buona fama underground e due dischi aspri-potentissimi-ispiratissimi in catalogo.
Fenomenologia della Reunion (un post idealmente dedicato a chi crede che gli Stone Roses siano un genere musicale)

L’esperto identifica le seguenti fasi.
1 reunion SPETTACOLO. In un mondo di gruppi nuovi e freschi che fanno i loro dischi nuovi e freschi ma che non accontentano i nostalgici, un gruppo ex-grossissimo si riunisce per ricominciare a fare la sua cosa, più o meno per soldi o più o meno per spettacolo, o più o meno per motivi che hanno a che fare con la volontà di un dio colpevole, non so. Alla Sex Pistols, metà anni novanta, botte in faccia, concertoni-festival con tutti i gruppi della terra a supporto.
2 reunion dei malcagati. Agli albori degli anni zero si capisce che il pop e il rock e quelle robe lì non avranno amplissimo margine di manovra/rinnovamento e che quasi tutti i gruppi che beccano soldi riciclano la musica di altri gruppi che ai loro tempi (forse giustamente) avevano fatto su cinquemila copie di dischi-capolavoro dell’autocoscienza. Così capita che gente sotto formaldeide si rimetta in giro da mattina a sera e possa tranquillamente riempire sette anni di festival. Tipo Gang of Four o chi per loro.
3 reunion “in realtà non ci siamo mai sciolti”. A un certo punto il gruppo torna a girare per i posti dopo sedici anni di inattività con quel fare tranquillo e rilassato tipo “sì boh in realtà non è che abbiamo mai fatto il comunicato stampa”, un po’ stile Devo. Aiuta molto in questo la formula indefinite hiatus dei Fugazi, che nel loro solito momento di genialità rompono le regole e dicono “sì boh adesso non è che abbiam voglia di fare le cose insieme, domani si vedrà”. Peraltro i Fugazi non si sono mai (ancora) riformati. Un caso laterale è quello dei gruppi lenti, cioè gente che fa le cose con calma tipo Wrens o SOD e che appunto può stare ferma quindici anni e tornare con un disco come se fosse normale.
4 reunion normale. Questo genere ha iniziato ad avere luogo verso il 2004 o 2005 ed è probabilmente il più grande traguardo del pop della nostra epoca: dopo un po’ che i gruppi si riformavano era diventato pratica comune rimettersi in giro per tour e festival e dio non voglia dischi nuovi, senza farsi accompagnare da una motivazione contingente che fosse la pura e semplice volontà di incassare con sei concerti il triplo della somma di dieci anni di tour delle nuove band di tutti i membri del gruppo. Faith No More, RATM, Soundgarden eccetera. È un’evoluzione del punto 1, però arriva in un momento in cui i gruppi a riunirsi sono dieci al mese invece che uno ogni sei anni.
5 reunion performing the album. Questa è un’evoluzione e/o uno scarto laterale e a volte messa in piedi da gruppi in attività da sempre, tipo Public Enemy o Melvins o Flaming Lips, ma il cuore pulsante della questione spesso è la giustificazione di un tour l’anno successivo alla reunion della band. Il primo anno suoni pezzi a caso, il secondo anno vai in giro suonando il tuo disco più famoso.
6 reunion su base carismatica. Il membro più in vista della formazione storica rimette insieme un gruppo del tutto nuovo o quasi e gira sotto lo stesso nome, tipo Don Cab o Helmet o che so, Smashing Pumpkins. La gente abbozza, va al concerto, a volte compra il disco e lo butta nel cestino dopo mezzo ascolto.
7 reunion con la toppa, cioè più o meno il contrario del punto 6: il gruppo si riforma con tutti i membri originari tranne il più carismatico o determinante. Questo succede sia in caso di membri defunti, tipo i Doors con Ian Astbury o gli Alice in Chains con il tipo che mima Layne Staley, sia in caso di membri vivi e vegeti ma con cui non è stato possibile risolvere gli scazzi, stile Dead Kennedys senza Biafra. Naturalmente per essere definita “reunion con la toppa” ha bisogno di un certo periodo di inattività, tipo gli Anthrax con Bush sono un gruppo vero e proprio (oddio gli Anthrax con Bush li preferisco proprio, io).
8 reunion in “formazione originale”. Cioè tipo ti riprendi il bassista e il batterista che avevi alla fine degli anni ottanta e fai un giro accontenta-stronzi. Il caso più macroscopico è quello dei Dinosaur Jr, che comunque vengono squalificati perché dopo la reunion hanno fatto uscire due dischi uno più bello dell’altro e quindi ora contano come gruppo vero e proprio. Gli stessi Anthrax che cambiano il cantante della reunion ad ogni tour sono un esempio più calzante.
9 reunion senza senso. È una categoria-ombrello che mette dentro tutti coloro che si riformano in seguito ad una pessima idea, stile COC in formazione pre-Pepper Keenan. Lo stato dell’arte è quello del gruppo si riforma in un mondo che ha completamente dimenticato la sua esistenza, riscuote un (prevedibile) bassissimo successo e continua imperterrito ad esistere come se avesse una missione, tipo 16 o Earth Crisis o che so, Coalesce. L’idea di base è che la reunion di un gruppo che faceva un genere che tutti ora si vergognano di suonare dev’essere motivata da reale interesse dei membri, quindi possa dare frutti di qualche tipo. Nel caso dei 16 è perfino successo. In generale ciao ciao. Aggiunta dell’ultimo momento: gli Everything But the Girl si sono riuniti per registrare una cover degli XX. Nella categoria rischiano di sbancare.
10 reunion-sveltina. Un gruppo che non ha la minima intenzione di riformarsi lo fa comunque in occasione di un evento specifico o per fare un piacere ad un amico, tipo i Big Black al venticinquennale di Touch and Go o Bob Mould e Grant Hart che si ritrovano a suonare sullo stesso palco per un benefit a Minneapolis e il giorno dopo tornano a ignorarsi bellamente a vicenda. Nessuno si accorge della cosa. Il tutto ha un che di eroico.
Insomma, si sono riformati gli Stone Roses (punto 4). La cosa più interessante degli Stone Roses è che non esiste un’opinione dominante sul secondo disco della band: puoi trovare gente che lo considera la peggior cagata mai partorita dalla mente umana o un disco di poco inferiore al primo. Nel mio caso le due cose quasi coincidono, peraltro: ogni tanto rimetto su l’esordio perché mi sono scordato che musica fanno gli Stone Roses, vado avanti per tre o quattro pezzi, lo rimetto nella colonna dei CD che non cago e non ci ripenso per altri due anni. La seconda cosa più interessante degli Stone Roses è che quando ancora non li avevo ascoltati pensavo facessero glam rock scemo solo per il nome che avevano.
NAVIGARELLA #1

(rubrica semi-fissa a cadenza semi-rigida di cose che succedono a stare su internet)
IL MIO FEEDREADER
Sono in corso le votazioni per i Sylvester 2011, vale a dire gli Oscar dei 400 Calci -in effetti sono gli Oscar ad essere i Sylvester di Hollywood.
Tra poco debutta una sitcom scritta e interpretata da Carrie Brownstein. Lo scrive Polaroid, il quale non si pone troppi problemi legati al fatto che se la serie avrà successo avremo ancora meno possibilità di vedersi riunire le Sleater Kinney. Oddio, non che una reunion delle SK abbia tutto ‘sto senso, specie dopo il disco di Corin Tucker. Ma se abbiam visto riformarsi gli Earth Crisis tanto vale aspettare anche loro. Tra l’altro avete visto che bolso è diventato Karl Buechner? Ma avete sentito il disco post-reunion? (Chiosa: che poi in realtà tutta ‘sta cosa degli Earth Crisis era patetica già dai tempi di All Out War, mi sono riascoltato tutti i dischi la settimana scorsa, roba su cui ho speso dei bei soldi, e fanno tutti indiscutibilmente CAGARE a parte tipo sei canzoni in tutto, paradossalmente uguali a tutte le altre. Se ci ripenso.)
A proposito di reunion per stronzi, il tour dell’anno colpisce gli Stati Uniti a primavera e consta di Helmet performing Meantime con di spalla Crowbar e St Vitus. Dicono che nel prezzo del biglietto è compreso un pacco di fazzolettini per pulire quando hai finito.
Per gli amici di m.c., Andrea Pomini ha parlato del libro sui Massimo Volume a RadioDue –qua c’è il podcast. via Vitaminic.
Sempre via Vitaminic scopro che Flying Lotus premia chi si fa vedere via webcam con la sua copia di Cosmogramma mettendo in download roba extra. Non so come funzioni esattamente, ma tanto non l’ho comprato. #negrophuturo
Ho letto su Brooklynvegan “Eyehategod hits Europa on February 18th along with Misery Index, Magrudergrind, Strong Intention & Mutilation Rites” e ho sborrato sul monitor prima di rendermi conto che Europa è il nome di un locale di New York.
IL MORTO DELLA SETTIMANA
Gerry Rafferty (Stealers Wheel), l’autore di Stuck In The Middle With You. Quella che passa alla radio mentre mr.Blonde tortura il poliziotto. Mancarone.
IL QUOTE DELLA SETTIMANA
“Mogwai’s seventh album Hardcore Will Never Die, But You Will sounds like something Ray Cappo would say.” (Stereogum)
IL LEAK DELLA SETTIMANA
Il nuovo Social Distortion. Ho paura. Aspetto.
LA/LE FOTO DELLA SETTIMANA
Un set uscito fuori su Metalsucks, tra cui quella che vedete sopra e che raffigura Keith Caputo all’apice della forma. Il che è bizzarro, considerato che sono state scattate tipo IN SETTIMANA. Biohazard e Life Of Agony a casa loro. Anche i Biohazard sono impressionanti, sembra li abbian messi dentro una teca. Giunge voce tra l’altro che in apertura ci fossero i Vision of Disorder, i quali sono belli, giovani, riformati e in procinto di registrare roba. FOTTA.
PER IL LOAL
Ci state già passando le giornate tutti quanti: James Van Der Memes. Internet è la cosa più bella che mi sia mai capitata.
Tanto se ribeccamo: EARTHTONE9
Gli Earthtone9 si sono riformati. Non è che sia ‘sto notizione, soprattutto in mezzo a mesi di reunion roventi -di gruppi che magari ha pure senso che si riuniscano, tipo i Ratt. Comunque gli Earthtone9 erano un gruppo inglese che fece abbastanza parlare di sè verso la fine degli anni novanta, in mezzo a una specie di ondata postmetal inglese che diede abbastanza materiale alle riviste. Perlopiù era un branco di cagnacci assoluti, di cui con molta vergogna conservo qualche disco ammassato negli scaffali alla voce col cazzo che li riascolto (qualcuno è persino griffato Earache, ricordi di un’epoca di crisi assoluta): Kill II This, One Minute Silence, Pulkas, Stampin’ Ground, Miocene et similia. Giri diversi ma manco troppo. Tutta roba da innaffiare di benzina e incendiare con urgenza (il lemma preferito dei giornalisti italiani che si occupavano di crossover e accacì), eccezion fatta per Raging Speedhorn e ovviamente Iron Monkey, che erano un altro pianeta ma stavano comunque abbastanza dentro al giro da infilarsi in un paio di gruppetti del genere dopo la morte del cantante. E altrettanto ovviamente la fase nu-metal dei Pitchshifter, che per motivi del tutto casuali ho ripescato martedì scorso e consta di almeno un paio di dischi di una classe che tutti gli altri gruppi techno-metal che Dio ha avuto la sadica malvagità di mandarci in terra se la potevano giusto immaginare mentre si schiantavano una pippa, ivi compresi certi blasonati sacchi di merda tipo Filter o Fear Factory post-Demanufacture (figurarsi Static X e PM5K, cristo del dio di cui sopra). E se ci ho buttato i Clayden tocca menzionare pure i Misery Loves Co, e vabbè. Last but not least, o anche sì, ‘sti benedetti Earthtone9. Che erano un po’ il gruppo con cui si iniziò a parlare di questa sorta di rinascita inglese. Il principale merito che avevano era quello di essere l’unico gruppo MAI ESISTITO ad ispirarsi pesantemente ai Tool senza suonare come un crimine di guerra. Il motivo principale era che avevano un certo stile nel buttarla sull’effettaccio: intro di trenta secondi con arpeggi di chitarra orientaleggiante e voce melodica, poi un gran casino di chitarre e batterie con una voce bruciatissima (il cantante Karl Middleton era l’unico musicista nu-metal attivo tra il ’96 e il 2004 a vestirsi come una persona normale, camicia e pantaloni; il fatto che fosse un tamarro palestrato annullava l’effetto-shock, ma apprezzavo comunque l’intenzione) che potrebbe ricordare alla lontana una versione nu-metal di Mike Williams prodotta da Dave Chang -il quale, spero l’abbiate rimosso, ai suoi tempi era quotato come una specie di Ross Robinson inglese. Hanno mollato fuori tre dischi, più eventuali altre cose di cui non sono a conoscenza: il migliore è senza dubbio il secondo, che si chiama Off Kilter Enhancement. Funzionava benissimo. Funziona benissimo anche la reunion: per venire incontro a possibili sedicenti fans di lunga data con le braghe calate dopo l’oscuramento di Pirate Bay, la band mette un best of in download gratuito dal suo sito ufficiale. Buttala via. Lo sto scaricando ora: non miro alla beatificazione, quindi non ricordo i titoli delle loro canzoni e non so dirvi se il best rispecchi veramente il MEGLIO della band, ma per quello che vi costa potreste pure dimostrarvi solidali. Li vidi persino dal vivo, una volta, al Rock Planet. Fu un concerto terribile, ma il cantante usava un microfono anni cinquanta molto cool.