“Il pubblico del club è cambiato: adesso, vi sono più punk e rockettari, più negri, meno gente di Wall Street, più ragazze ricche e annoiate che vagolano qua e là. Anche la musica è cambiata: non più Belinda Carlisle che canta I Feel Free, bensì un negro che latra, se odo correttamente, una roba intitolata Her Shit on His Dick.” Avete mai ascoltato i dischi di Neffa dopo il rap? Io sì, i motivi sono due. Il primo motivo è che Neffa fino a Chicopisco ha dato semplicemente troppo alla musica pop italiana: potremmo fare una sommaria stima e concludere che, eccezion fatta per le chitarre e la gente che ha collaborato con lui fino al 2000, la somma del valore artistico di ogni artista italiano in attività non arriva al valore artistico della discografia di Neffa. Più o meno. Il secondo motivo è che lessi qualche recensione di Arrivi e partenze all’uscita del disco e sembravano tutte abbastanza d’accordo sul fatto che si trattasse del disco più cool che fosse dato ascoltare al momento tra quelli cantati in italiano. La discografia anni duemila di Neffa non è una gran cosa, comunque: Arrivi e partenze è un disco decente ma nulla di più in cui qualche buon momento affoga in mezzo a mezza dozzina di figure arenbì all’italiana, costruite su skill inesistenti e alle spalle di una fanbase che forse non si meritava tanto odio. Il successivo I molteplici mondi di Giovanni forse l’unico momento in cui Neffa dice qualcosa di interessante, anche se non abbastanza da diventare una pietra miliare: bei singoli, bella tenuta d’insieme, una bella sensazione di lungo periodo che assegna ad Arrivi e partenze un meritatissimo sentore di disco-prova. Alla fine della notte è pura accademia e pane per i denti di qualcun altro, possibile macchina da singoli e motore per una carriera ad inerzia. Parliamo già di qualcosa come sette anni fa: da lì in poi Neffa esiste come una specie di dogma a cui non prestiamo troppa attenzione per non incazzarci, cosa francamente inevitabile ai tempi dello scivolone Due Di Picche; tra l’altro va anche messo agli atti il nostro, nel senso di mio, dissociarsi dall’attuale rivalutazione critica di J-Ax e degli Articolo 31 in generale (rivalutati dopo quindici anni di giustissimi sfottò perché avevano una mezza dozzina di pezzi hardcore sparsi in giro per diversi dischi e/o avevano anticipato l’andazzo attuale, come se questa non sia la peggior colpa degli Articolo 31 e come se J-Ax abbia realizzato qualcosa di rilevante dallo split a oggi). L’unica volta che ho visto Neffa dal vivo è stato in piazza a Ravenna nel 2007: cantò solo pezzi da Arrivi e Partenze in poi, più Aspettando il Sole nel bis ma senza la parte rappata.
Non dico che sia bello quando una storia come quella tra Neffa e il rap si chiude, ma è difficile negare il fascino malato di un artista affermato che ricomincia da zero e parte per una guerra non sua, senza manco assicurarsi di avere le armi. È stato difficile, insomma, non tifare per l’artista Neffa anche dopo Arrivi e Partenze. Il che non toglie che a nessuno verrà mai in mente un contributo di Neffa alla musica pop italiana che non sia quello di aver preso il rap da piccolo e averlo fatto diventare grande. Non proprio da solo ma quasi: assieme a lui una legione di sociopatici di cui ai tempi del primo disco solista diventò alfiere, più qualche gruppo sparso in giro per l’Italia.
Poi non lo sapevamo cosa sarebbe successo al rap in Italia dopo quella storia, e uno ha pure il diritto di dissociarsi. L’avevo letto, o più probabilmente scritto, da qualche parte: negli anni ottanta l’immagine era diventata immaginario. Il rap in italia gli anni ottanta se li è persi quasi in blocco, quindi si è dato una conformazione anni novanta. Negli anni novanta è l’immaginario a diventare immagine, così si viveva in un periodo in cui tutto era street e sdrucito e oversize e il rap ha avuto modo/tempo di essere hardcore prima che tutto andasse in vacca. Poi l’hip hop ha questa sua natura omnicomprensiva che si mangia tutto e diventa altro rimanendo se stesso e bla bla bla, in sostanza qualsiasi cosa preveda o abbia previsto hip hop diventa hip hop. Più quello che l’hip hop si mangia per conto suo. Tra i risultati più evidenti c’è pure il fatto che uno può fare rap, vincere un reality show ed avere i featuring di Clementino e Fibra nel disco. Non è nemmeno chiaro, a questo punto, se Moreno sia un bene o un male per l’hip hop italiano (voglio dire, in ogni caso a questo punto il pubblico s’è mangiato talmente tanta merda che il prossimo disco di Guè Pequeno potrebbe essere scritto da Morandi e nessuno noterebbe le differenze). A capo senza motivo.
Un altro risultato evidente è che per quanto mi riguarda, e non credo di essere l’unico, Neffa in qualche modo non ha mai smesso di essere un artista hip hop. In qualche modo, quindi, non ho nulla da dire sul fatto che la bonus-track a fine corsa nel suo ultimo CD sia un pezzo di due minuti che contiene il primo rap di Neffa dalla fine di Chicopisco ad oggi. Piuttosto divertente, tra l’altro, che la cosa non sia stata pubblicizzata più di tanto, della serie che la traccia è presente solo sul disco fisico e quindi se n’è avuta notizia solo due/tre giorni dopo l’uscita (per i tempi di internet è un’era geologica). La gente è semplicemente uscita di testa e si è divisa abbastanza equamente tra colpevolisti e innocentisti. I primi lamentano la tempistica e il principio: in fin dei conti Chicopisco è stato venduto come addio al rap, l’ha detto lui, mica io, e proprio ora che il rap è diventato LA COSA, insomma è quantomeno sospetto. I secondi sono dei cazzoni nostalgici che hanno ascoltato due volte e deciso che Jeff Pellino è ancora un guaglione e la manda, o anche più o meno testualmente “dà ancora la merda a chiunque”. È ovvio che un minuto e mezzo di (quel) rap in fondo a un disco non-rap è un argomento invalido sia per chi accusa l’Uomo di essersi svenduto (non si sa a cosa, e come se poi fosse la prima volta) sia per chi si precipita a confrontarlo con i nuovi e con le nuove incarnazioni dei vecchi; quel che non è ovvio è se dobbiamo augurarci o meno altro rap di Neffa, un EP o qualcosa del genere, che ci dia modo di schierarci pro o contro.
Personalmente, in ogni caso, il mio tuffo al cuore l’ho avuto. Il disco intero si chiama Molto Calmo, non l’ho ancora ascoltato ma qualcuno di cui mi fido mi ha detto che non è malaccio.