100 canzoni italiane #11: LUPIN

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Prima che tutto cominciasse qualcuno metteva un disco nell’impianto e le coppie aspettavano pazienti al bordo della pista. Finivano il bicchiere di vino e le patatine fritte e mangiavano la ciambella e si fumavano una sigaretta. La ciambella in Romagna è un dolce a forma di lingua, zucchero uovo e poco altro, si squaglia appena la metti in bocca, una cosa divina. Poi sarebbe arrivata l’orchestra e si sarebbe cominciato a ballare. La pista era un quadrato di grandi dimensioni, spesso fatto di lastre metalliche che suonavano un po’ sotto i passi, a volte assi di legno una accanto all’altra, un bel lavoro quasi sempre. Mentre il disco suonava c’era un ragazzo down che occupava tutta la pista. Ballava come un pazzo, fingendo di avere una ballerina, e andava avanti per mezz’ora buona da solo. C’è sempre stato questo legame non scritto tra ballo e scarsa lucidità mentale: ballano molti matti del paese, ballano i ragazzi con problemi, la gente faceva ballare gli storpi nel medioevo, le donne possedute da Satana ballavano al chiaro di luna, o quel che è. Anche adesso la gente balla solo nei locali pieni e trova giustificazioni per farlo –ubriachezza, politica e cose così. Personalmente mi piace ballare, mi piace che la musica mi scuota il corpo, è una bella sensazione. Non lo faccio per non dare troppo nell’occhio, ma mi dispiace. Non ho mai preso lezioni.

Penso nemmeno mio padre e mia madre, autodidatti del walzer all’epoca dei fatti che andiamo narrando. Il ballo organizzato è tutta un’altra storia: accettato come rituale di accoppiamento a patto di rispettare una serie di regole. Nella Romagna del novecento, per ballare, dovevi prima avere imparato i passi. Il prof di fisica del liceo ci raccontò una storia su Enrico Fermi. Una sera, ai tempi del Progetto Manhattan, qualcuna lo invitò a ballare. Lui non sapeva farlo e declinò: si sedette a un lato della pista e osservò gli altri scienziati ballare con le ragazze, segnò su un taccuino i passi e la sera successiva potè accettare l’invito. Legnoso ma performante, secondo la descrizione del mio prof di fisica (non ho trovato l’aneddoto online ma lui lo raccontava come fosse stato lì). Il ragazzo down invece pareva volare sulla pista: passi cortissimi e perfetti, la mano destra sul cuore, la sinistra ad accompagnare una ballerina che non c’era. Quasi tutti lo compativano e sussurravano poverino, ma in questo paese la maggioranza è stata quasi sempre un problema.

Se ce l’aveva fatta un impostatissimo fisico scacciafiga come Fermi, comunque, figuriamoci mio babbo e mia mamma. Non succedeva spesso, ma di tanto in tanto mi prendevano su e dicevano che si andava a ballare. Succedeva d’estate, quando la Romagna diventava un parco dei divertimenti con feste organizzate in ogni paesino. Per la maggior parte erano feste dell’unità, roba a cui i miei genitori partecipavano senza troppa convinzione, ma negli anni belli anche il Partito Repubblicano organizzava dei party di tutto rispetto. La formula era sempre la stessa: orchestra e stand gastronomico. L’orchestra partiva e suonava i pezzi, la gente in pista roteava come se non ci fosse un domani (e comunque si iniziava sulle nove, il domani non era un vero e proprio problema). Sul palco c’erano un basso, una batteria, una chitarra, la fisarmonica, il clarinetto, spesso una tastiera. C’era una ragazza non più di primo pelo e cantava pezzi tradizionali con un trucco pesantissimo che mi spaventava un po’. Prima di fare partire un pezzo lo annunciavano, ma non tanto il titolo quanto che genere sarebbe stato –valzer, mazurka, polka e tutte quelle cose. Io non ho mai capito le differenze.

Magari per la generazione di mio babbo e mia mamma era facile. La musica che ascoltavano era quella, i pezzi erano perlopiù degli standard e venivano interpretati da quasi tutte le orchestre; per chi era nato negli anni quaranta c’era ancora possibilità di praticare il rito collettivo dell’orchestra, poi è arrivata la modernità. Per la mia generazione, nata alla fine degli anni settanta, c’è stato UN SOLO valzer importante, ed è la sigla di un cartone animato.

Franco Migliacci è un autore teatrale convinto da Modugno a scrivergli il testo di una canzone, che verrà presentata a Sanremo col titolo Nel blu dipinto di blu (poi ribattezzata Volare). Da lì in poi diventa uno dei parolieri italiani più importanti di sempre: Tintarella di luna, Il cuore è uno zingaro, tutta la roba migliore di Morandi, l’elenco è infinito. Nei primissimi anni ottanta inizia a scrivere testi per le sigle dei cartoni animati. Franco Micalizzi invece è un compositore, e scrive colonne sonore: quello che ha fatto lo score di Lo chiamavano Trinità, per capirci. Insieme vengono scritturati per la sigla de Le nuove avventure di Lupin III; Micalizzi ci tira fuori un valzer. C’è anche un’altra sigla composta dai Cavalieri del Re, ma per il cartone animato verrà usata quella di Migliacci e Micalizzi: l’esecuzione è affidata all’orchestra Castellina-Pasi e come titolo viene scelto un laconico Lupin.

Un immaginario fatto di valzer, polke e mazurke, anzitutto, e poi di balere di provincia, dancing rivieraschi, clarinetti in do, ridenti panorami da cartolina anni ’60, casolari bucolici, belle “burdele fresche e campagnole”, galli da rimorchio, imprese erotiche tra i filari delle vigne e vernacolare nostalgia di casa. Il segreto, probabilmente, è che il liscio – per chi lo guarda da fuori – è prima di tutto un immaginario, conservatore e in parte anche falsato, ma poi divenuto realmente carne e sangue di un popolo.” Gennaio 2014: nel numero di Blow Up in edicola, Manuel Gottsching in copertina, c’è un focus di sedici pagine sul liscio romagnolo. È scritto da un tizio di Russi (RA) che avrà più o meno la mia età, si chiama Federico Savini e fa il giornalista per alcune pubblicazioni locali. Da quando è uscito, per quanto mi riguarda, è il miglior approfondimento di cui si sia potuto godere nella stampa musicale italiana. Racconta una storia di intuizioni, successi, sconfitte, continue prevaricazioni, giochi di potere; un racconto alla Ellroy di personaggi minori le cui azioni sono destinate ad influire nel grande insieme degli eventi. Tutto affogato nelle paludi di una terra, la Romagna, fatta di ex-sudditi del papa in perenne rivolta, indefessi lavoratori di campi fissati con la figa e le feste di paese. Il Partito Comunista inizia a macinare numeri fuori da ogni logica, il Partito Repubblicano con percentuali dieci-venti volte più grandi rispetto al resto d’Italia, un po’ di Fellini qua, un po’ di Tonino Guerra là. Una terra dove tutto viaggia con il suo passo: fino ai primi anni ottanta la Romagna è soprattutto il racconto di se stessa, il vino che si beve e la musica che si suona entro i suoi confini. Ama dipingersi allo stesso modo fuori di qui: la poesia dialettale, Amarcord, le caricature degli imprenditori rampanti con la esse piallata. Se sei cresciuto dentro questa terra hai ciucciato la tetta di quell’immaginario, e ci torni regolarmente. Non è nemmeno tanto possibile nasconderlo quando sei in giro per l’Italia, anche oltre la pronuncia devastante che ti montano addosso in età prescolare: ospitalità, ragazze, guardare ai soldi, fare attenzione a quel che penserà la gente.

Roberto Giraldi era un fisarmonicista. Era nato nel 1920 in una frazioncina del comune di Brisighella (una ventina di Km sopra Faenza: è famosa per le feste medievali e i ristoranti) che si chiamava Castellina, da cui il suo nome d’arte. Prende in mano la fisarmonica da bambino e inizia prestissimo a suonare alle feste di paese. Fonda l’orchestra Castellina-Pasi (Pasi è un clarinetto) a metà degli anni sessanta e arriva al successo planetario. Lupin è soprattutto il suo riff di fisarmonica. Non so niente di teoria musicale ma credo che la fisarmonica sia uno strumento difficile, estremamente musicale, su cui quelli bravi costruiscono progressioni melodiche inafferrabili così fitte di note che canticchiarle è impossibile. (Uno dei personaggi chiave di Ellroy suona la fisarmonica, Dick Contino) Castellina è uno bravo, ha un tocco nervoso, precisissimo e disarmante. La sigla del cartone animato viene rimane in carica dal 1981 al 1987, per venire rimpiazzata da un’altra canzone, Lupin l’incorreggibile Lupin (neanche bruttissima), probabilmente per dare un vento di modernità. L’originale è comunque imbattibile. Viene accompagnato da immagini di colori caldi e tramonti in spiaggia (Tramonto, di Secondo Casadei, è forse lo strumentale romagnolo più famoso di sempre), come un film di Sergio Leone, o come all’inizio di Trinità. A riguardarlo oggi è una cosa fuori dal tempo che stringe la gola a mani nude. Il testo è un po’ fasullo (“ruba i soldi solo a chi ce ne ha di più per darli a chi non ne ha”, suppongo fosse difficile giustificare un ladro ai tempi), ma la voce di Irene Vioni è liscio istantaneo.

Era comunque inevitabile che la Romagna diventasse anonima come il resto d’Italia. Abbiamo accolto a braccia aperte il vento del berlusconismo, come del resto tutti gli altri: eravamo già pronti a cambiare, ad uniformarci, forse persino a raggiungere in questo una coscienza nazionale posticcia. Volevamo tutti le stesse cose: benessere, automobile, vestiti, feste giganti, mal di testa del giorno successivo, musica dance, epica alla Miami Vice: per un certo periodo nella Romagna del sud ne è arrivata persino un po’, di quella roba, e ha fatto scuola -Baia degli Angeli, Cocoricò etcetera- ma erano sbocchi imprenditoriali. Si basavano sull’importazione, un po’ rivista, di un modello che non era nostro ma funzionava molto di più e molto meglio, e su un’oculata politica di investimenti a pioggia che hanno trasformato le spiagge in una bolgia dantesca improvvisata. Da lì in poi ognuno ha camminato con le proprie gambe sotto la bandiera di una diversificazione (latino, afro, rock, punk etcetera) che era di fatto uniformazione. Oggi vieni in Romagna e a parte pranzo e cena non è che sia tanto diverso da Milano o Roma. Nel cambio ci abbiamo guadagnato molto, ma a riascoltare Lupin viene da chiedersi se non sia più quello che abbiamo perso.

Il liscio veniva dalle piazze di paese. Le donne facevan da mangiare, qualcuno portava una fisarmonica, il babbo agguantava la mamma e zoppicava una mazurka alla meno peggio. Nove mesi dopo nasceva il settimo figlio, le piazze erano più piene, qualcuno organizzava una festa vera e propria. Il liscio ha creato la domanda e ha accolto la domanda, fino a diventare un modello imprenditoriale stratificato con nomi di riferimento che facevano girare montagne di soldi. Le cose erano già squallide, ma quando il liscio è andato in pensione era comunque una versione con più lustrini di quel che era quando è nato: gli stessi ritmi, la stessa musica, qualche concessione al cattivo gusto, la gente vestita più informale.

Le feste della Voce Repubblicana a un certo punto smisero di venire organizzate, per ovvi motivi. Le orchestre di liscio continuarono ad esistere a voltaggio sempre più ridotto. I programmi delle feste dell’unità e delle sagre di paese mantennero lo stand gastronomico e sostituirono le orchestre con le cover band e certi cantanti italiani caduti un po’ in disgrazia. Di quello che è rimasto ha scritto lo stesso Federico Savini, e su queste stesse pagine. Qualcuno nel giro indie ha provato a ricreare in vitro la musica delle orchestrine di liscio, il solito vizio di cacare sopra ad una cosa di cui semplicemente non ci sono più gli strumenti cognitivi per darne una versione decente, giusto per il gusto di mungere una vacca e farne un’altra delle nostre. Mia mamma e mio babbo smisero di andare a ballare un po’ prima che finisse tutto: non era passata del tutto la voglia, ma si odiavano cordialmente. Si separarono nel 2000, lo stesso anno si spense Castellina. Le sigle dei cartoni animati anni ottanta diventarono un oggetto di culto della prima retromania su internet, poi arrivarono il cosplay e tutto il resto. Quit The Doner, tornato da Lucca, scriveva:

(…) non credo che Holly e Benji potrà influenzare l’immaginario delle prossime generazioni come ha influenzato la mia, ma al tempo stesso ha rappresentato per le persone della mia età un substrato condiviso e immediatamente riconoscibile, provvisto di una trasversalità tale da essere assimilabile per molti aspetti alle tradizioni propriamente dette.

Questo immaginario è il patrimonio condiviso che ci ha cresciuto, la balia collettiva delle ultime generazioni di italiani, molto più della religione, della politica e degli sceneggiati televisivi nostrani troppo piegati alle esigenze politiche per entrare in risonanza con il mondo reale.

È strano avere la testimonianza registrata di un momento in cui due immaginari così pesanti per la mia esistenza, liscio romagnolo e cartoni giapponesi, siano confluiti in un unico formato e ne abbiano dato una versione ibrida che tutto sommato sulle orecchie di un 37enne di Cesena, nel 2015, ha un effetto devastante. Il primo CD di canzoni dei cartoni animati lo masterizzai nel giugno del 2013, per una serata-djset a Milano. Ascoltai le canzoni nel viaggio d’andata, finii su Lupin all’altezza di Modena. La fisarmonica di Castellina mi sfasciò all’istante: ha il sapore della piadina e delle cantarelle con la saba sotto carnevale, la leggerezza dei passi del ragazzo che ballava sotto gli occhi pietosi delle coppie in attesa dell’orchestra alla festa dei Repubblicani a Sant’Egidio, il nervosismo violento dei discorsi sulla figa al bar Sport di Calisese. Continuavo a riascoltarla e la facevo ripartire dall’inizio. Pensavo ad altre cose. Tengo sempre il CD nei paraggi, sia mai che mi serva di fare una lacrima.

cercasugoogle: SERATA CON BOCELLI (brainstorming)

Il seguente brainstorming riguarda chiavi di ricerca con cui la gente è entrata su Bastonate nelle ultime settimane. Grazie a tutti per il contributo. Grazie ad alcuni più che ad altri.

COCAINA PRIMA DEI CONCERTI
Non di recente. In effetti sono talmente povero che spesso e volentieri passo le settimane prima ad elemosinare accrediti a destra e a manca, in genere senza successo. Altro che cocaina. Però venerdì sera a Shellac accanto a me in prima fila c’era un fuorisede palesemente sotto cocaina che rompeva il cazzo.

JUSTIN BIEBER DA PICCOLO
Già è difficile pensare al J.Biebz sedicenne, mollami un secondo

QUANTO MANCA?
Diciassette minuti, quattro dei quali potrei impiegarli per una rece.

NON TI RICORDI DI KEN SIRO
Certo che mi ricordo, l’ultimo discendente della scuola nigeriana di Hokuto.

BASTONATE KEKKO E’ FROCIO?
Non è propriamente una domanda da minestra, ma continua ad apparire nelle statistiche, evidentemente per farmici fare un CSG all’uopo. Grazie. Allora, diciamo che a me piacciono molti maschi, alcuni dei quali proprio me li farei e per i quali non escludo di aprirmi anche alla passività, prima o poi. Perlopiù sono musicisti, economisti e tuttologi di quarta categoria, ma anche certi amici stretti me li farei senza forchetta. Per ora comunque sono un omosessuale non praticante.

VOCE DI JOHN FRUSCIANTE COME AVERLA
Diciamo che il risultato non varrebbe il sacrificio.

COME FARE PER CONTATTARE LA SUB POP PER
Non saprei, mandagli una mail.

MI BASTEREBBE PENSARE KEKKO 2010
Sì, beh, questa è un’autoanalisi brutale.

ENRICO GHEZZI COLPA DEL SOLE
Molto francamente non credo che Ghezzi abbia mai visto il sole in vita sua –tipo io l’ho incrociato due volte verso mezzanotte (trivia: una delle due volte era all’XM24 a vedere i Wolf Eyes. Eroe.) quindi probabilmente è colpa della madre o dei troppi film.

SIGNIFICATO DI DRONES
In inglese drone è il maschio dell’ape.

SERATA CON BOCELLI
Bocelli Andrea? Lo staff consiglia di non indulgere troppo in conversazioni sull’arte, perché di musica sembra non capirne molto e insomma, il cinema non è propriamente il suo campo.

IN ITALIA NON SI SCOPA PIÙ
Questo è un equivoco piuttosto comune. In realtà il coito è stato semplicemente privatizzato in seguito alla stretta dei conti pubblici durante la gestione Padoa-Schioppa. Esiste tuttavia una serie di esenzioni in merito alle quali ti puoi informare presso gli sportelli ASL.

CHE COS E’ UN ESTREMO
può essere un parassita distruttivo delle colonie dell’ape mellifera, esso infatti causa il danneggiamento dei favi cbandosi del miele immagazzinato e del polline. Se l’infestazione diventa sufficiente pesante, le api possono essere indotte ad abbandonare il loro alveare.

CHIUSURA DEI MANICOMI IN ITALIA
Fu un grave errore. Sarebbe stato meglio aprirli al pubblico come scuole di vita. (cit.)

IL CRACK SI FUMA
Ma anche no.

SHELLAC ESTRAGON SOLD OUT PERSONE
Non erano persone. Erano SCOIATTOLI! VERI SCOIATTOLI! Ed erano migliaia. Questa non è una qualche metafora o che. Cristo di un dio, questo è VERO.

LA BASTONATA ROMAGNOLA
Non esiste una traduzione letterale, e comunque il dialetto romagnolo non è una cosa scritta. Io tradurrei con slèpa.