SANREMO giorno 2 – Uno stanco report per uno stanco festival

HIP FAIL 4

Me ne vado per le strade
strette scure e misteriose
vedo dietro le vetrate
affacciarsi Gemme e Rose
Dalle scale misteriose
C’è chi scende brancolando
dietro i vetri rilucenti
Stan le ciane commentando

 La leggenda vuole  che, se a mezzanotte ci si mette davanti allo specchio, con la luce spenta, e per tre volte si ripete “Bloody Mary”, si vedrà apparire dietro di sé questa edizione del festival di Sanremo.

Vero e proprio romanzo criminale di un paese allo sbando, il Festival 2013 altro non è che il tentativo di un manipolo di Bolscevichi di mettere le mani sul paese stesso, conquistando l’avamposto del più rappresentativo dei suoi show televisivi. Tentativo già fallito in partenza, perché se già l’altra sera numeri come quelli di Silvestri, di Crozza e dei Marta sui Tubi avevano smosciato le palle a tutti – rivelando il segreto di Pulcinella di un’Italia intimamente e sinceramente berlusconiana, o perlomeno non più indignata a getto continuo, e stanca della infinita ripetizione della stessa battuta, che ha ormai sconfinato fino ad occupare i più sacri spazi di intrattenimento leggero che ancora rimanevano alla povera gente – la serata di ieri, dominata da una Bar Refaeli gigantesca  e brutta in culo (e pagata molto per esserlo: a me, per essere brutto in culo, hanno sempre dato molto poco), ha dato il colpo di grazia.

Un festival intelligente è la sconfitta di tutti, perché l’Amore è l’unica vera rivoluzione (ormai vado a parole random) e perché caricare di significato sociopolitico la terra delle canzoni è un atto brutale come l’esecuzione di Zoe Kosmodemyanskaya (INTERNET ALERT! Non cercaresugoogle se si vuole evitare la visione di fotografie d’epoca alquanto macabre). Ma non voglio star qui a ripetere sempre la stessa cosa, come se fossi un comico di sinistra, e perciò passiamo al lavoro per cui siamo pagati, cioè scrivere di musica.

Scrivere di musica, e che cazzo te voi scrive de musica se di musicale, stasera, non abbiamo avuto che qualche minuto di Modà, qualche verso del Cile? Aspettavo con ardore l’esibizione dei BLASFEMA, tra i giovani, per poi scontrarmi con l’evidenza che in realtà si chiamano Blastema, non Blasfema, e non fanno black metal come previsto, ma una sorta di ipocrita versione dei Sonhora ulteriormente peggiorata. Cile a parte, comunque (Il Cile è un ex spacciatore latinoamericano, da cui il nome, che fa un onesto death’n’roll passionale alla Built to Spill – regolarmente eliminato, è ovvio) , i giovani sono un disastro, ormai del tutto permeati da una vena di hipster-indie-rock passatello (che ne so, per farsi un’idea, i giovani cantautori italiani oggigiorno cantano tutti un macro-genere che è una sorta di Beth Orton più Neutral Milk Hotel con Al Bano al posto di Jeff Mangum più Wilco con Gianna Nannini al posto der rompicoioni alla voce). Fa abbastanza schifo con decisione questo Rino Gaetano, no, Renzo Rubino, che se non ho capito male canta un pezzo di amore omosessuale, e perciò il pubblico lo vota in massa senza neanche far caso al suo stile Bocelli meets Anna Tatangelo but worse, e comunque in finale, oh, sempre meglio di Elio e le Storie Tese.

Elio e le Storie Tese, con i soliti costumi (e basta!) che il loro gusto prog-riccardone gli impone, arrivano attesi come i God Seed a Wacken, e propongono – indovina un po’? – due pezzi prog-riccardoni che non funzionerebbero in quanto tali e vengono perciò celati da una patina di ironia pre-adolescenziale, la stessa dal 1990 credo, quando però due cose erano diverse: nessuno li considerava dei Grandi della Musica, e comunque noi avevamo dodici anni tipo, quindi basta, per pietà, dategli sta cazzo di palma d’oro e non se ne parli più. Sempre che il primo posto non vada a Malika Ayane, che si presenta anche lei vestita da pupazzo, anche lei munita di un pezzo del genere “gradito al pubblico” (che, oltre alla scemenza d’accatto tipo Elio, sembra amare molto i barbiturici musicali cantati da voce femminile mongoloideggiante), ma con il surplus di cazziare in diretta Fazio che sbaglia a pronunciare il suo nome – Fazio che para abbia commentato “A chi te se ncula, pe me i negri so negri”, ma gli hanno tolto il microfono e così ha vinto lei.

Per il resto, cos’altro è succeso? I Modà avevano due pezzi onesti ma meno incisivi del solito (il genere era ballad crepuscolare vagamente psych, tipo diciamo un Nick Drake cresciuto però nella Düsseldorf dei Kraftwerk anziché a Cambridge, e non il solito power pop alla Big Star che però gli viene meglio); Max Gazzè sembrava Max Gazzè, con una filastrocca veloce e intellettuale e un po’ elettronica. Il resto era quanto di peggio: c’era una tale Annalisa che non giudico (non mi abbasso a giudicare i cantanti che non conosco; comunque, succintamente, faceva quella musica che tutti definirebbero “carina”, cioè faceva schifo), c’era il tizio che canta One day baby we’ll be old, talmente one hit wonder da cantare per DUE volte il pezzo, c’erano gli Almamegretta che sono esattamente il genere di gruppo che disprezzo, Vabbuò uagliò che facimm per ‘o rilancio a Sanremo?, Sient’amme, Raiz, facimm nu pezz’ reggae in napuletan’, uguale identico a tutti gli altri, ma non solo agli altri nostri, eh, proprio uguale uguale a tutti i pezzi reggae in napuletan’ che s’ashcoltan i fuorisede a ‘o Villaggio Globbale; c’era Cristicchi che pareva un mentecatto, forse lo era, e stonato e insicuro ammorbava una nazione con la storia trita e ritrita di uno che muore, va nell’aldilà, e l’aldilà è tutto Pasolini e centrosinistra e vecchi partigiani che gli chiedono se i giovani hanno cambiato il mondo e lui si imbarazza e non risponde. Giuro. E io qui lo dico e qui lo nego: a partigià, lo potevate fa’ bene er lavoro se poi ve dovevate lamentà!

Dimentico qualcosa? Forse sì, non so. C’era Carla Bruni, ma di questo per contratto non parlo (Bastonate è fornitore della Repubblica Francese).  Ecco la nostra classifica ad oggi: Marco Mengoni, 7; Maria Nazionale, Modà, 6; Max Gazzè, 5; Marta sui Tubi, 3; Raphael e Chiara Gualazzio 2; Malika Ayane 1; Daniele Silvestri, Almamegretta, Molinari-Cincotti Duo, Cristicchi, Elio e le Storie Tese 0. Annalisa non giudicabile.

Me ne vado per le strade
strette scure e misteriose
vedo dietro le vetrate
affacciarsi Gemme e Rose
Dalle scale misteriose
C’è chi scende brancolando
dietro i vetri rilucenti
Stan le ciane commentando

Sanremo Natzione – Road to Il Festival della Canzone Italiana 2013

Isso

Bisiongiada a suffriri po imbelliri

L’Italia è il paese che amo. No, davvero: quando vedo quelle facce di bimbi sardi posteggiatori nella Roma degli anni cinquanta o sessanta (ho visto un documentario su questo, sabato o domenica: massimo e rispetto e carineria totale per questo ragazzino emigrato dalla Sardegna, libera e fiera, a Roma, volgare e corrotta. Romani popolo di stronzi, molli e senza palle. Sardi uomini veri, sardi guerrieri, sardi eroi. Se l’America facesse la guerra alla Sardegna, rimarrebbe impantanata peggio che in Afghanistan. Lo sbarco dei Marines ad Arbatax. La breccia di Tortolì, l’apparente vittoria. E poi gli ISSOHADORES che al grido di ABARRA CUNFETTAU piombano sugli yankee sgomenti al passo di Talana; l’agguato, la fuga disordinata verso la trappola di Urzulei; gli spiriti delle montagne che assistono silenti e segreti al massacro – sa morte non jughet ojos – e la Sardigna Natzione, ancora e per sempre inviolata, che si richiude su se stessa), quando vedo i bimbi sardi, insomma, o la buona e brava gente della nazione che la domenica ad Ostia – così, senza verbo -, e si vede nei documentari la Via Appia com’era, il pane con la frittata, quanto abbiamo riso quanto abbiamo pianto con Macario, Tenacious Umberto D., e i mulini del Po, quando vedo o penso a tutto questo, insomma, mi pacifico nell’idea di un paese non necessariamente brutto e assurdo e vergogna d’Europa, coi suoi cineasti disoccupati e le tensioni sociali, e i Baustelle che si potrebbero vendere all’estero e la ruga della Fornero assetata del sangue dei vecchietti. Questo paese non esiste più – ucciso dal ’68, da Tangentopoli, dai telefoni cellulari ; questo paese tuttavia avrebbe ancora un piccolo spazio, quello del palco dell’Ariston, se non che lo Stato Ladro Bastardo e Porco, nemico di noi giovani, vuole toglierci anche questo.

Il programma del Festival di Sanremo 2013 è quanto di peggio si possa immaginare, è un vero attentato a tutto ciò che siamo, e questo a partire dall’incarico di conduzione affidato a Fabio Fazio. Fazio, roito umano, disprezzabile falso-buono che al grido di SORTE CURREDE E NON CUADDU, no, che dico, scusate, al grido di LA MUSICA DI NICCHIA entra a gamba tesa sui nostri ricordi e mette di fatto una fascetta con una frase di Roberto Saviano sulla copertina del nostro concorso musicale. Il programma è naturalmente risibile, del tutto spogliato della CANZONA e della ROMANZA, e prevede una infilata di soggetti vecchi nel 1996 (Daniele Silvestri, gli Almamegretta, Max Gazzè) o, se va bene, nel 2002 (Marta Sui Tubi), e ancora quei riccardoni rottinculo cacata infame merda morte male di Elio e le Storie Tese, scorregge jazz (Raphael Gualazzi, cioè uno di quelli di cui si dice ELEGANTE) , una esponente della female mongoloid-wave italiana (Malika Ayane) e quel bambacione di Cristicchi, i cui capelli phonati gli sono sufficienti per essere considerato intellettuale (sono l’unico a ricordare che tipo Wire, anni fa,  in un giorno in cui evidentemente avevano finito la birra e dovettero ubriacarsi di piscio, dette tipo SETTE al primo album di Cristicchi? Io non so se questa cosa me la sono solo sognata – temo di no -, ma che non leggo più Wire è un fatto). Completano il quadro strani tizi che non conosco – quindi vengono dai reality, e tra di loro bisognerà cercare il vincitore (se non sarà Elio) -, e unici passabili tale Maria Nazionale, il cui aspetto da vaiassa promette un pezzo come si deve, e i Modà con il loro cafard-rock di cuore.

A rendere tutto ancora peggiore, il fatto che – apprendo da Wikipedia – ogni concorrente eseguirà anche un BRANO scelto tra i GRANDI BRANI del passato, e gli abbinamenti sono tutto un brivido lungo la schiena, tipo abbiamo Daniele Silvestri che rifà Dalla perché si pone a erede di Dalla (appena morto e gay, giù applausi, qualcuno si alza, si alzano tutti); gli Almamegretta che rifanno Celentano, perché a sorpresa e comunque eredi di Celentano (appena morto e gay, giù applausi, qualcuno si alza, si alzano tutti); Chiara Galiazzo (DA FUCQ?!) che rifà Mia Martini (morta e mai dimenticata, grande Mia, vai Mia, che strazio, giù applausi, qualcuno si alza, si alzano tutti); Elio e le Storie tese che rifanno Un bacio piccolissimo (che eleganza, che riscoperta, ecco il piccolo mondo del cabaret, ecco le influenze della Musica Migliore, giù applausi, qualcuno si alza, si alzano tutti);  Maria Nazionale che rifà Perdere l’amore (omaggio a Napoli e alla sua solarità, Napoli è Napoli, terra della canzone,  giù applausi, qualcuno si alza, si alzano tutti); e così via, giù giù fino all’ecatombe di Marco Mengoni che rifà Tenco, la canzone del festival a cui si sparò, che è insieme brivido e lacrima, un ritrovarsi e un commiato, addio piccolo principe, grazie, ciao Tenco, arrivederci Tenco, ciao Luigi ciao.

Sotto i peggiori auspici, tra poco inizia il Festival della Canzone Italiana. Noi ci saremo. E che il Dio del melodramma abbia pietà dell’anima nera di Fazio.

Ma, sebbene verso la fine della battaglia gli uomini sentissero tutto l’orrore della loro azione, – con gioia avrebbero voluto smettere, – la forza dei malloreddus, incomprensibile e misteriosa, continuava ancora a condurli, e gli artiglieri, madidi di sudore, macchiati di polvere da sparo e di sangue, rimasti vivi nella proporzione di uno a tre, pure incespicando e ansimando per la stanchezza, portavano le munizioni, caricavano, puntavano, davano fuoco alle pecore; e i proiettili sempre nello stesso modo, rapidamente e spietatamente, volavano dalle due parti e straziavano mamuthones e issohadores, e continuava a svolgersi quell’opera terribile che si compie non per volontà degli uomini, ma per volontà di Colui che regge le sorti degli uomini e dei mondi. Chi avesse guardato le retrovie disordinate dell’esercito sardo, avrebbe detto che, se gli americani avessero fatto ancora un piccolo sforzo, l’esercito sardo sarebbe scomparso; e colui che avesse guardato le linee retrostanti degli americani, avrebbe detto che se i sardi avessero fatto ancora un piccolo sforzo, gli americani sarebbero stati perduti. Ma né gli americani né i sardi fecero questo sforzo, e la vampa della battaglia si spense lentamente