STREAMO: Mick Barr – Coiled Malescence (Safety Meeting)

(un articolo di Decibel sul nuovo Mick Barr tradotto con google)

Mick Barr è uno dei pochi personaggi chiave dell’accacì e del metal dalla seconda metà degli anni novanta ad oggi. Dalla fondazione del progetto Crom Tech, l’ossatura di quasi tutti i gruppi chitarra-batteria stile Hella*, l’uomo ha portato avanti da solo e con incrollabile fermezza la sua visione, dando vita ad una mezza dozzina di gruppi indistinguibili l’uno dall’altro e raggiungendo un meritatissimo status di culto sotterraneo, in gran parte dovuto al fatto che il gruppo più valido in cui ha militato dal 2000 in poi è uscito su Ipecac: si chiama(va)no Orthrelm e la loro massima espressione è il disco mono-traccia OV, sfiancante MATTONE di un’ora filata composto da una dozzina di furiosissimi pattern chitarra/batteria mandati avanti per tre-quattro minuti ciascuno. OV, probabilmente uno dei dischi più estremi mai realizzati, è uno di quei pochissimi dischi per i quali la prova di forza dell’ascoltatore pareggia e forse supera quella (comunque poderosa) dell’artista, rendendo l’intera esperienza una delle poche vere manifestazioni di rock indipendente degli anni duemila. Da lì in poi, tuttavia, seguire Mick Barr diventa una questione d’affetto e nient’altro, ricompensato dal musicista con un’uscita ogni quattro mesi con una mezza dozzina di denominazioni diverse (Octilis, gruppi col nome dei musicisti coinvolti, Krallice e quant’altro) e musica sempre e solo identica a se stessa: mezz’ora di tapping furioso con un batterista di area postrock a decontestualizzare il tutto. Oggi esce il primo disco firmato semplicemente Mick Barr, un’altra mezz’ora di tapping incessante con i soliti toni grotteschi ma nessun batterista a decontestualizzare, che in prospettiva potrebbe essere visto come il primo deciso tuffo di testa in un mare di autismo prog-metal dopo dieci anni di bagnare il piedino nell’acqua. Anche a questo giro naturalmente l’incrollabile visione di Mick Barr troverà la sua parte di fan tra i setacciatori di m-blog a tempo pieno, ma il disco è comunque una panzana senza costrutto. Meno male che l’ha messo in streaming.

*recensione del nuovo Hella, a cura dello staff di Bastonate:

Decoroso. 6.3

FOTTA: Hella (ancora nessun titolo, sorry)

Giuro su quel che volete, non sapevo che gli Hella fossero ancora un gruppo. Fino a qualche tempo fa, stando a Wiki, nemmeno Zach Hill ne sembrava troppo convinto. Il motivo principale per cui tutta la questione Hella se ne andò a puttane è il tempo fisiologico: il gruppo partiva da una base chitarra/batteria non troppo diversa dal modello Crom-Tech (il primo gruppo di Mick Barr, un disco poderoso su Gravity) ma più avventurosa e proggheggiante. Il disco d’esordio su 5 Rue Christine e tutte le cose pubblicate fino a The Devil Isn’t Red (compreso, oggi vogliamo rovinarci) sono opere di pregio che dovrebbero essere insegnate a scuola. Una versione magra e agile dei Flying Luttenbachers senza black metal, death metal e odio per la razza umana, tre giorni prima che la formazione a due inizi ad andare di moda a furia di Lightning Bolt e gente simile. Dopo un paio di giorni Zach Hill s’aggancia al giro grosso: suona nell’album dei Team Sleep (un terribile side project di Chino Moreno il cui disco, annunciato e rimandato per qualcosa come cinque anni, si è rivelato essere una delle più pretenziose ciofeche dell’ultimo decennio), inizia a lavorare da solista, presta la batteria più o meno a CHIUNQUE. Nello stesso periodo la band decide di pubblicare come terza uscita un album intitolato Church Gone Wild/Chirpin’ Hard, una roba tipo Speakerboxxx/The Love Below del math-noise ignorante (due CD, ognuno dei quali realizzato da un membro senza intrusioni dell’altro). Il disco è un mezzo disastro, una sega mentale di proporzioni bibliche senza manco la componente free-cialtrona dei primi passi del gruppo (molto più presenti, comunque, nella parte di Spencer Seim). Il passo successivo è quello di rendere Hella un gruppo vero e proprio, cioè sostanzialmente buttando nel cestino l’unica vera peculiarità del gruppo, presentandosi con formazione a cinque in occasione dell’ultima uscita, che esce nel 2007 e si chiama There is no 666 in Outer Space (me lo ricordo come una specie di deriva indierock senza pezzi di un disco degli ultimi Primus, ma non sento il disco da ANNI e potrei sbagliarmi). Da lì in poi la band smette di fare cose, Seim scompare quasi del tutto dalla circolazione, Zach Hill pubblica un disco al mese tra side-projects, uscite soliste e collaborazioni con musicisti di ogni estrazione (i dischi in cui pesa qualcosa tendono ad essere terribili menate da riccardoni). Oggi su Stereogum esce l’anteprima di un pezzo dal prossimo disco: la band è tornata a comporsi dei soli Spencer Seim e Zach Hill, ha buttato fuori un pezzo che sembra uscire dalle session di The Devil Isn’t Red e annuncia l’imminente uscita di un nuovo album. Suppongo come mea culpa sia un po’ tardi, ma sempre meglio che un altro 666. In allegato mettiamo la traduzione google del pezzo di Stereogum, una storia piuttosto buffa di una stroncatura dell’ultimo disco che finisce su una maglietta del gruppo.

Nel 2007 ho scritto una breve recensione tutt’altro che positivi di Hella There’s No 666 In Outer Space, il record in cui il duo noise-rock di Sacramento ampliato per un quintetto e ha iniziato a suonare come un roots Mars Volta. È apparso in SPIN. I ragazzi hanno coraggiosamente girato il midollo in una t-shirt. Il mio problema con There’s No 666 è (come quello che ho visto) la mancanza di scopo creata da quei membri extra – cioè lo spostamento non è sembrato necessario. Dunque, quattro anni più tardi, è bello essere in grado di annunciare che Hella hanno un nuovo album all’orizzonte che trova il nucleo del chitarrista Spencer Seim e lo straordinario batterista Zach Hill indietro come un flusso di coppia ben oliata. Ad oggi l’album di 10 canzone non ha alcun titolo. Idem questa canzone. Ma si può ancora ascoltare bene. E brandelli.