Dischi stupidi: Beyond Cops, Beyond God

Arte.

 

I Waking the Cadaver dal New Jersey sono un tristo gruppo brutal deathcore con qualche infamia e pochissime lodi; il loro primo CD Perverse Recollections of a Necromangler (2007) è immediatamente diventato la barzelletta preferita dei deathsters di mezzo mondo, e il pezzo Chased Through the Woods by a Rapist l’emblema perfetto per riassumere il loro stile: decine di breakdown sparpagliati completamente a random (quando, se proprio se ne avverte l’urgenza, uno solo basta e avanza), linee di basso del tutto inudibili, batteria triggerata oltre l’umanamente tollerabile, testi da ritardato mentale col Big Mac in mano che sogna maldestramente di emulare i Cannibal Corpse, il tutto condito dalle squealing vocals più brutte del mondo (ascoltare per credere). A salvarli l’autoironia (non è da tutti piazzare a metà del disco un pezzo come Interlude, cinquanta secondi in cui si sente solo la band stessa che tira allegramente da un bong, tossendo e sparando cazzate senza senso), una copertina francamente spettacolare e un’etica del lavoro da cui i muli dovrebbero imparare: in tre anni un tour dopo l’altro nonostante l’eco delle risate alle loro spalle risuonasse praticamente ovunque, basso profilo e perseveranza e soprattutto umiltà e sincero desiderio di mettersi in gioco e imparare dai propri errori. A sentire il nuovo album fresco di stampa quasi non sembra di trovarsi di fronte alla stessa band: quasi, perché rimangono le miriadi di breakdown a cazzo, il basso inesistente e il fervore monomaniacale dei testi (sempre e solo sbudellamenti di troie e/o elenchi di torture inferte a pezzi di merda di cui ignoriamo l’identità); ma in compenso la voce è migliorata di molto, il pig squealing grazie a Dio è solo un imbarazzante ricordo, e i pezzi di tanto in tanto rivelano perfino qualche riff vagamente interessante. Probabilmente nel giro di una cinquantina d’anni i Waking the Cadaver riusciranno a diventare una band quasi accettabile. Nel frattempo, a uscirsene con un CD dalla copertina che è un incrocio tra i deliri guerrafondai dei Bolt Thrower e quel misconosciuto capolavoro di ignoranza che è Provoke degli Altar, e chiamarlo per giunta “Al di sopra degli sbirri, al di sopra di Dio“, hanno già vinto comunque e a mani basse (ed è poi in fondo il solo motivo per cui ne parliamo: non so voi, ma per quanto mi riguarda il solo leggerne il titolo mi ha procurato seri problemi respiratori). A novembre saranno in tour assieme a Napalm Death, Immolation e Macabre: c’è speranza per tutti.

bello il logo

Gruppi con nomi stupidi: FUCK YOUR SHADOW FROM BEHIND

 
Nonostante il nome veramente ignorante (in italiano si potrebbe tradurre come Fotti la tua ombra a pecorina) questi purtroppo non valgono un cazzo. Ci avevo sperato, con un moniker così… ma pur con tutta la simpatia e l’indulgenza di questo mondo non sono riuscito ad andare oltre la terza traccia di Freigeist (che se la memoria non falla dovrebbe essere l’esordio a lunga durata dopo un EP giusto un pelo meno inaffrontabile datato 2007). Il motivo? Presto detto: con il loro tristo death-core trito e ritrito tutto breaks di un secondo, riff diversi ogni minuto, produzione catacombale e screaming irritante da bulletto problematico di periferia, i Fuck Your Shadow from Behind mettono in scena qualcosa di molto vicino al nulla assoluto. Non bastava il metalcore, evidentemente ci voleva anche la sua degenerazione “estrema” che ripesca, infangandolo senza vergogna, misura o pudore, il death metal di vent’anni fa (comunque risuonato da ragazzini con gli occhiali e pettinature orrende). Tipo versione ancora più ingrugnata degli Unearth (come se già non bastassero gli originali) ma senza la pacca. Risultato: un’insopportabile melma strasentita che incorpora alla cazzo death svedese, epic metal e hardcore metallante tipo clone mongoloide degli Integrity – ovviamente senza un milligrammo della personalità degli originali, va da sé. A metà di un pezzo c’è pure l’assolino liquido e nitido mezzo fusion che fa un po’ Dillinger Escape Plan da tinello. Però cantano in tedesco, il che potrebbe far salire di un pelo di cazzo le quotazioni nella categoria del so bad it’s good spinto; peccato che degli scomposti latrati dei ben due cantanti (il preadolescente Adi e l’occhialuto e camiciaquadrettato Bär) non si capisca una parola in ogni modo. In compenso l’artwork è molto aaronturneriano e il logo sufficientemente inintellegibile e paciugato da poter ingannare qualche gonzo in età da asilo in cerca di forti emozioni. Fino a poco tempo fa l’album era disponibile in streaming integrale sul loro myspace, ma ora scopro che hanno lasciato soltanto tre pezzi. Non una gran perdita, comunque.