LAGWAGON, NO USE FOR A NAME @ Velvet (Rimini, 10/8/2010)

Per quelli della nostra generazione (diciamo “intorno ai trenta”…) un’accoppiata come Lagwagon + No Use For A Name, oggi, non è qualcosa da prendere alla leggera. Il rischio – che diventa certezza per chiunque in quegli anni abbia coltivato anche solo un lontano interesse per la musica – è quello di finire risucchiati in una spirale di ricordi, memorie e flashback devastanti di tempi che ora sembrano distanti ere geologiche, cartoline di un’adolescenza remota che avevamo quasi rimosso a costo di (innumerevoli) calci nei denti e (infiniti) rospi ingoiati senza troppe cerimonie. Andare a un concerto dei Lagwagon nel 2010 significa fare i conti con tutto quel che abbiamo perso (a cominciare dalla gioventù), guardare in faccia la vita che se ne va, misurare spietatamente quanto quello che volevamo essere sia sideralmente lontano da quel che  invece, nostro malgrado, siamo diventati. Roba pericolosa, in ogni caso. Roba per veri duri. E non è neanche una questione di gusti musicali: personalmente quando è uscito Hoss (il loro capolavoro, poi mai più ripetuto) ascoltavo tutt’altro, figurarsi per i dischi successivi. Il fatto è che quella musica mi appartiene (ci appartiene) comunque, era nell’aria ai tempi dei primi giorni del liceo, delle partite interminabili al campetto dei giardini e nei lunghi pomeriggi nelle sale giochi più malfamate del quartiere, potevi sentirla nei corridoi a scuola quando passava la tipa di quarta F sperimentale che l’anno prossimo sarebbe andata a studiare negli Stati Uniti per il gemellaggio (in cambio spedivano a noi uno yankee a caso) come per le strade del centro o in Montagnola o in qualsiasi altro posto dove andavi, calpestando l’asfalto con il passo di uno che ha capito qualc0sa, che si sente speciale; ti rimbombava in testa nelle serate delle troppe birre coi ragazzi e ti teneva compagnia nelle lunghe mattine in cui cercavi di ignorare la voce del professore di turno come si fa con un ronzio fastidioso, nascondendo i fumetti sotto il libro di storia e sognando di essere altrove. Perchè i Lagwagon (e i No Use For A Name, e in generale un certo tipo di hardcore melodico  che vedeva nella Fat Wreck Chords e in certa Epitaph i principali campi base), per quelli della nostra generazione, incarnano come pochi altri il ponte tra la prima e la seconda metà degli anni novanta, e di conseguenza gli anni nel pieno dell’adolescenza, gli anni formativi, quelli che contano; per questo riascoltare i loro dischi adesso, non so voi, ma a me fa lo stesso effetto di una madeleine proustiana intinta di veleno. Tanto più che il tempo non è stato galantuomo neppure con loro: qualcuno è morto, qualcun altro è finito sotto in storie di droga pese. Sarò vigliacco ma preferisco tenermi il ricordo dei miei Lagwagon. Che è cristallizzato da qualche parte a metà dei novanta e per quel che mi riguarda sta bene dove sta: Quel che viene venga e mi sta bene, quel che è stato è già passato e mò il passato se lo tiene.
Per fortuna la nostra fotoreporter Saori è stata meno pusillanime di noi e indomita ha sfidato le lame acuminate della nostalgia per consegnarci le foto che seguono: buona visione.
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