*Questo è un diario di appunti sparsi presi nel corso dei primi sei mesi di Stregoni
Da quasi sei mesi sono uno Stregone. Mi alzo la mattina prestissimo, controllo la posta e al posto dei miei tradizionali contatti trovo mail in arrivo da “Suor Rita” o dai referenti di qualche associazione umanitaria.
Che cosa facciamo con Stregoni. Suoniamo con gli ospiti dei centri migranti girando tutta la Penisola. Abbiamo scelto da subito di non avere una band stabile, gli unici membri fissi siamo io e Marco (Above the Tree). In ogni città in cui suoniamo cambiano i ragazzi, cambia la loro nazionalità e cambia anche radicalmente il sound. Tutti i concerti a loro modo sono unici e irripetibili.
Da quando il progetto è partito abbiamo suonato già con circa 200 persone diverse, tutti Richiedenti Asilo.
L’idea da subito è stata quella di andare a vedere come vivono queste persone una volta arrivati nelle nostre città. Tutti quanti conosciamo bene cosa succede in mare o le difficoltà che ci sono ad attraversare i confini. Ma cosa fanno tutti questi ragazzi a pochi metri da casa nostra?
La risposta è sempre la stessa: vivono in una specie di bolla, in attesa che la commissione esamini la richiesta di asilo, trascinandosi tutto il giorno in cerca di wi-fi. Quello che facciamo è cercare un contatto, creando un terreno di scambio vero attraverso la musica, partendo da quella che ascoltano.
Quello che succede sul palco è indescrivibile: ci sono dei momenti in cui le cose girano a mille, in cui hai la sensazione di essere in mezzo a qualcosa di più Grande con i tuoi fratelli di sempre.
Altre volte invece è durissima, si fatica, il suono zoppica, i ritmi si sfasciano e il palco diventa un posto enorme e desolato. Poi però tutte le volte scatta sempre qualcosa e la musica arriva a travolgere tutto.

Le difficoltà, la fatica a capirsi e a trovare sintonia non solo sono fondamentali, ma necessarie per questo progetto . Non sei venuto a sentire l’ennesimo cantautore che scrive il pezzo impegnato sui migranti sepolti in mare.
Tutto quello che facciamo con Stregoni, ogni aspetto strutturale e di forma del progetto è il messaggio.
La difficoltà, rappresentata sul palco, assume un significato più profondo: stai vedendo con i tuoi occhi gente diversa con storie diverse che fatica a venirsi incontro. È dura, dev’essere dura, ma quando poi la porta si spalanca, la stregoneria diventa un’esperienza travolgente.
La chiave dell’intero progetto sono i telefoni. I famigerati smartphone, strumentalizzati da quelli che noi chiamiamo gli Ultras dell’ignoranza.
Arrivare dall’Africa o dall’Asia in Europa senza un telefono cellulare è impossibile. Sugli smartphone c’è il Gps, in Africa effettuano addirittura i pagamenti con le ricariche telefoniche, aggirando le banche. Sui telefoni ci sono le fotografie, i video dei villaggi delle città che queste persone hanno attraversato e c’è anche tantissima musica.
Da quella musica, da quegli mp3 noi partiamo ogni volta, invitando i ragazzi sul palco col telefono a mettere una canzone. Io poi ne faccio un loop e da quella porzione di pezzo partiamo con la stregoneria. È un viaggio lungo e faticoso, che culminerà alla fine dell’estate con un tour-documentario nei centri migranti di tutta Europa.

Nell’arco di questi mesi il nostro punto di vista si è arricchito: ho conosciuto gente con storie potentissime alle spalle. Come Muassin (spero si scriva così).
Muassin viene dall’Afghanistan, è arrivato a piedi in Italia dalla Turchia, mettendoci due mesi. È una cosa a cui ancora fatico a credere.
Mi ha fatto vedere sul braccio i segni delle torture che ha subito. A Kabul era attivista di un partito ribelle, ma ha dovuto lasciare il paese per evitare la persecuzione. Nonostante sia arrivato in Italia da poco più di sei mesi conosce già la lingua meglio di tanti altri richiedenti asilo. T-shirt con scritta “Italia”, la faccia e lo sguardo di uno che ce la farà a trovare il suo posto qui da noi. Forza Muassin.
Gilbert invece in Nigeria ha lavorato come saldatore, faceva il pugile e arrotondava portando in giro gente con la sua motocicletta-taxi. Qualcosa è andato storto con uno di Boko Haram e ha dovuto lasciare di corsa il paese. Otto mesi di Libia e poi in Italia: è un po’ che non mi risponde al telefono, chissà dov’è finito, credo che sia arrabbiato con me. Ieri ho anche scoperto che sono tantissimi i gambiani che devono fingersi gay per ottenere il visto. Le storie sono migliaia, e sono tutte lì, sul palco a spassarsela con noi.

Stregoni è una battaglia continua, qualcosa che non riusciremo mai a controllare fino in fondo. La musica alcune volte è scadente, disordinata, caciarona ma è molto più viva e vera di tanta roba che sento in giro. Siamo lontanissimi sia dalle mappe della musica “impegnata” fuorisede e tavernello, sia dalle geografie indie-elettronica. Eppure è questo il suono dell’Europa di oggi: rap r’n’b nigeriano col vocoder, highlife, afrobeat electro con Johnny Mox e Above the Tree sullo sfondo che drogano, sfocano il tutto ed alzano il livello dello scontro ritmico. È una sfida, ma è anche un modo per costringerci ad aprire gli occhi sulla realtà. Stanotte sono tornato a casa spossato ma contento dopo aver sudato tra i niggaz smadonnando con gli afghani, i loro balli di gruppo, le difficoltà che ci sono a dare spazio a culture diverse. Preferisco questa fatica, queste difficoltà al clima di sconfitta che regna un po’ ovunque tra band e concerti.
La Trappola
L’accoglienza dei richiedenti asilo, così come è organizzata, è una trappola: i tempi sono lunghissimi e per chi è fuggito dalla povertà e non da una guerra, le speranze sono ridotte a zero.
Dobbiamo capirlo in fretta, prima che la frustrazione di questa gente vada a sommarsi alla frustrazione degli italiani, dei disoccupati, degli immigrati arrivati nei primi anni zero che pagano le tasse. In giro ci sono situazioni che con il protrarsi dell’esasperazione possono trasformarsi in una polveriera. “Sono in Italia da due anni, voglio lavorare, sono stanco di stare senza far niente ma devo aspettare quello che dice la commissione“. Da quando siamo partiti con il progetto di Stregoni questa è la frase che ho sentito più spesso. Sono parole che lasciano trapelare tutta la frustrazione, il senso di impotenza e mancanza di futuro che avvolge la vita di queste persone, che non sono messe in condizione di agire per trovare la propria strada.
Abbiamo tutti bisogno delle stesse cose: lavoro e futuro. Eppure i dati parlano chiaro: in Europa c’è bisogno di forza lavoro giovane, il calo demografico non minaccia solo l’Italia ma anche paesi come Germania e Olanda. Servirebbe al più presto far partire un new deal europeo, per dare una risposta a tutti questi arrivi. Tanta gente che raggiunge l’Europa significa anche aumento della domanda, nuovi consumi. Occorre mettere in condizione queste persone, arrivate per sfuggire ad una guerra o semplicemente alla ricerca di una vita migliore, di avere la possibilità di vivere meglio.

Dimentichiamoci l’integrazione, che è una parola ambigua. Come dice Žižek “Il mio ideale di convivenza è un grande palazzo in cui gente di ogni razza e religione si ignora, ma lo fa gentilmente, in modo molto tollerante. Poi magari nasceranno delle amicizie, degli amori, ma non può accadere in maniera forzata“.
Prendi il kebabbaro o il pakistano con l’internet point: mica sono diventati imprenditori per spirito di avventura: hanno aperto un’attività che fonda il suo sostentamento sulla presenza di una comunità di riferimento. Non avevano altra scelta. Non sono di certo le birrette che compero io alle due di notte a dare da vivere al pakistano, il paki vive grazie alla sua gente, alla sua comunità. Il paki però a fine mese paga le tasse, l’affitto e un pezzo di pensione dei tuoi genitori.

Don’t take my kindness for weakness
L’Europa sta commettendo un crimine senza precedenti a non concedere una possibilità concreta a queste persone. E molti europei stanno sbagliando lotta politica.
Prendi le manifestazioni al Brennero, con le cariche di routine, come fosse uno sceneggiato. Dov’erano i richiedenti asilo? Perchè non sono stati coinvolti? E’ vero, quelli che hanno manifestato al Brennero facendo a botte coi celerini sono europei e hanno il diritto di dire la loro sulla chiusura dei confini, ma è evidente come tutta l’operazione sia risultata debole. Che battaglia stai combattendo? Che messaggio stai lanciando?
Accoglierli tutti, creando un sistema sostenibile, con condizioni anche dure, ma condivise. Noi ci arrabbiamo tantissimo perchè molti ragazzi in Italia già da mesi non hanno ancora imparato l’italiano. Non va bene, dobbiamo tutti essere più esigenti. Certo il Ramadan è importante, andare in chiesa è importante, ma è altrettanto vitale imparare la lingua, prendere la patente, formarsi il più possibile.
Per l’autunno abbiamo in mente un progetto che speriamo riuscirà a mettere alcune risorse in circolo.
Stregoni è una fatica immensa, ma è anche l’esperienza musicale più potente della mia vita. Non è stato facile far partire tutta la macchina: In questi mesi senza i contatti di Seba dei Kuru, l’aiuto del Cinformi a Trento, i video di Joe Barba, Nicola Fontana, Constantin Capota, Vito Guglielmini, Paolo e Gian Luca di Pentagon Booking, I ragazzi del Locos, Sericraft che ci ha stampato le maglie, Chiara di Rockit, Il Betterdays Team, Marco Pecorari e Andrea Pomini di Rumore, Stefano Pifferi di Sentireascoltare, Arci Viterbo che ha subito creduto nel progetto, Intersos, Denis Longhi, Edo Grisogani, La Festa del Ringraziamento a Finale Emilia e il Mu Festival che quest’anno hanno deciso di destinare una parte dei ricavi del Festival al nostro progetto.
Stregoni va avanti anche grazie a queste persone.
Grazie davvero.
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