Pikkio Music Awards 2k14 (parte 2)

Titolo Dipinto_002

L’intro è nella prima parte leggetevelo se volete capire il 2k14 in musica!!! Di seguito le 18 categorie delle cose musicali 2k14, mentre per i veri e propri DISCHI DIO dovrete aspettare la terza parte !!!

 

PISELLO RIDDIMS (i ritmi dei piselli o i ritmi pisellabili)

Freddie Gibs & Madlib – Pinata (Concept vita gangsta hiphop, sozzo, dritto e sudato, nato dopo che il rapper Freddie Gibbs e il campione dei beats Madlib si sono spaccati una piñata di vodka e cocaina in testa. VIVA PINATA!)
Orlando Julius and the Heliocentrics – Jayede Afro / The Heliocentrics & Melvin Van Peebles – The Last Transmission (che facciano da umido e ipnotico supporto all’afrobeat dello storico sassofonista nigeriano Olrando Julius o che creino astratti asfalti funk per gli speech di Melvin, i discepoli dell’astroblack Heliocentrics vincono su qualsiasi altro tipo di recupero classico del riddim universale.)
Moodymann – Moodymann (Funkadelico ed eclettico sviaggio house attraverso la storia della black music americana. Contro ogni fasullo coltellino techno.)

Bonus: Shafiq Husayn – It’s Better For You (semplicemente la migliore funkadelia sviaggiona possibile, si meglio di qualsiasi altro omaggio moodmannyano. Purtroppo è un EP, ma è il migliore EP del 2k14)

PICCOLI ALCHIMISTI (dischi che ricercano il suono filosofale)

Afrikan Sciences – Circuitous (disco DIO negrophuturo sopraffino, e per questo intercambiabile a Flhostom. Va premiato però per il suo magiko motore alchemico che ci porta in giro nello spazio. Motore scoperto per la prima volta da Sun Ra, omaggiato nella copertina oro abstract arketipo, e usato tra gli altri anche dai Drexciya. Unione tra mi(s)tica-africa e autechrismi per un next level astroblack che non ci si crede.)
Sun Araw – Belomancie (La sofisticata ed imponente esperienza aurale di Belomancie è la colonna sonora astratta della ricerca alchemica di Sun Araw. Con questo disco Stallones vuole andare al cuore del segreto degli elementi dopo aver scandagliato lo stagno del proprio io nel precedente Inner Treaty.)
Aleksi Perala – Colundi Sequence Level 5/6/7 (Aleksi Perala  è stato braindancer finlandese Rephlex a nome Astrobotnia/Ovuca. A suo nome cura invece un progetto alchemico teso ad unire tutta la nostra conoscenza e il nostro mondo in una scala di frequenze da lui creata: la Colundi Sequence. I risultati migliori si ascoltano negli isolazionismi pan sonici del Level 5 e negli sfasoni cerebrali electro del 6 e del 7. Dopo averli ascoltati sarete absolutamente deprogrammati e pronti per il risukkio!!)

Bonus: Francis Harris – Dangerdream (How Che Guevara’s Death and Bob Dylan’s Life Militarized Brigate Rosse) [Terre Thaemlitz Remix] (Terre Thaemlitz trova un suono soprannaturale per dare schicchere alla gola, non scherzo ascoltate e poi tornate qua con la gola schiccherata)

SGRAKKIO (dischi con quel suono de sgrakkio alla gola)

SD Laika – That’s Harakiri (giovine elettronico americano che affronta in maniera skranna l’HDLIFE usando il potere dello sgrakkio. Obscuro e pikkiomaniako insieme, questo notevole SGRAKKIOHD con i suoi skrotoritmi dinoccolati e il suo suono disfunzionale vi farà riflettere male sui graffi dei vostri futili schermi.)
E.E.K. – Live At The Cairo High Cinema Institute (due mega jam di turbo-arab-blast in quel del Cairo. Islam Chipsy virtuoso della tastiera chiptunata + due batteristi LightingEgyptoBolt. Lo sgrakkio free di un cellulare impazzito e i tamburi di una strada piena di skatarri festosi)
Goto80 – Files in Space (come dice il comunicato stampa: megamix pop, turbo electro, FM swing, adventure funk, wonky beats. Tutto però suonato da un C64 e da un Amiga, garanti di sgrakkieria assoluta. Alle volte ci sono delle lente e stralunate acidate che faranno godere i fan del primo afux.)

Bonus: Madlib – Rock Konducta Part 1 & 2 (Madlib alle prese con dischi psych/kraut/rock ’70 ne ricava strumentali hiphop malatissimi e mai così sgrakkianti)

LE SERVE UNA BUSTA? (quei dischi che inizialmente ti sorprendono, poi però o si rompono o li usi per fare la spesa e il compostaggio, proprio come la busta del supermercato.)

Fennesz – Bécs (Fennesz dopo il suo grand-tour che lo portò pure a Venezia, torna nella sua Vienna, in ungherese Bécs, si prende il mal di gola e sgrakkia più del solito. Però poi tossisce troppo e rompe la busta da cui cadono varie palle di mozart. Per alcuni non è un male.)
Pontiak – Innocence (Lo SGRATTOARUSTY nella versione più overpowered e SKRANNODRITTA possibile. Così forti che lacerano la busta e si iniziano ad intravedere un po’ di acquisti sbagliati. Per alcuni non è un male.)
Sun Kil Moon – Benji (la busta più problematica: Benji di Kozelek è praticamente tutte le sue buste precedenti unite insieme una dentro l’altra per resistere al tempo. Molto utile, ma anche un po’ scomodo per via del problema delle maniglie multiple che non combaciano. Per alcuni non è un male.)

Bonus BUSTA DE PISCIO: l’ultimo degli Shellac, hanno fatto sto scherzo di mette del piscio nella busta del vinile della mia skrannoband preferita, succede.

SO HD IT HURTS (quei dischi così HD che ti fanno spaccare la faccia contro il muro dei 1440p)

PC Music x DISown Radio / SOPHIE – Hard (PC Music è la prima etichetta HD COJO del mondo: un ora di mix frulla cervello, distopia pop melassa/molesta tipo radio happy new world order. Fa il paio quel cretino di SOPHIE con il turboscivolo di Hard che sfrulla e rifrulla una mazzafionda di metallo su una folla che urla “Italia 1 !”: #divertente.)
Pinch b2b Mumdance (Il capoccia della dubstep/bass bristoliana Pinch si sincronizza perfettamente con il militante accelerazionista dell’#HDLIFE più obscura Mumdance. Mix che riassume e accelera tutta l’estetica HD più ritmica, atonale, gommo-basso-vetrosa. A corollario godetevi pure la compila Keysound e l’ep della nuova etichetta di Logos e Mumdance.)
Arca – Xen (Primo album HD di genere iper-emozionale torcibudella. Arca crea sti suoni che ti roteano attorno in 3D con delle melodie un po’ alla Oversteps, alla lunga può rompe arcazzo, ma coi video del suo ragazzo è un grande roteare attorno a fuochi d’artificio emozionali. Come diceva il poeta Samuel dei Subsò: “sento la voglia di un pino, di un cane e di un grande microchip emozionale.”)

Bonus: il manifesto #NORMCORE #HDLIFE The Lego Movie con uno dei singoli HD CORPORATE dell’anno // L’eroe proto-HD Prince con il suo concept sull’HDLIFE Art Official Age // Green Language dell’HDHERO Rustie: ha dei gran generi, ma i cantati smosciano, avrei goduto in 4k con un disco solo verdeo ambient aerox o solo cazzismo gratuito.

ESISTERE, UN GIORNO (quei dischi che ti ritrovi ad esistere un giorno in questo mal contemporaneo)

Mr Mitch – Parallel Memories (Un giorno ti svegli e ti ritrovi piccolo crash bandicoot, triste e spaesato, nella grande città grigia d’inverno. Mr Mitch esplora sentimenti e memorie parallele della playstationfruityloopshd generation, tramite il risukkio in uno stikkio di cristallo.)
Lorenzo Senni – Superimpositions (Un giorno ti svegli e ti ritrovi in tutti i momenti trancey della tua vita, svuotati di significato e con solo arpeggi iperrealisti sovrapposti sulla tua faccia.)
Fatima Al Quadiri – Asiatisch (Un giorno ti svegli e ti ritrovi in una megalopoli cinese dove però ci sono tutti americani coatti-intellettuali che parlano in cinese e ti deridono in inglese perché non sai il cinese. Che ansia oh.)

Bonus: Kode9 and the Spaceape – Killing Seasons EP (L’epopea radioattiva del fondamentale Black Sun era anche il metaviaggio di Spaceape nella sua lotta contro il cancro attraverso chemioterapie e trasformazioni. Spaceape tornò poi solista con il NATURALISMO afrofuturista di Xorcism EP. Un’essenzialità negrophuturo naturalista che Kode9 porta a nuovi livelli in questo instikkio ep Killing Seasons, con la voce di Spaceape mai così chiara nel dilaniarci e farci esistere un giorno. Purtroppo Spaceape è morto contro la radioattività poco prima dell’uscita di questo ep, e riascoltarlo fa ancora più male. SPACEAPE VIVE NEL NOSTRO PHUTURO.)

SNAZZICACHANNEL (dischi per snazzicare a casa, in giro o in auto)

CN – Nu (Lo sviaggio perfetto per snazzicare a casa perdendosi in analogiche meraviglie electro-ambient che ci trasporteranno in misteriosi altroquandi. CN è in realtà EOD: mago scandinavo dei morbidi e acidi synth cosmici.)
Teebs – E S T A R A (i riddims-chilloni di Teebs sono perfetto per quando snazzichi al sole con l’arietta primaverile pure se non è primavera. Sempre grazie a Brainfeeder.)
Soundcarriers – Entropicalia (sviaggi psych-tropicalisti chillos, per snazzicare in qualunque luogo come fossimo sott’acqua a nuotare con simpatici bobblers di mare)

Bonus: Blu – Good To Be Home (Hiphop feel good, da quel fenomeno di Blu. Polveroso il giusto per snazzicare in giro con le cuffiette nelle metro e tra i palazzi delle nostre città. La versione solare di Pinata.)

SKATTABOTTO (minkia muzik, kazzotti, fiskiofoni a vapore)

Perc – The Power and The Glory (‘na roba blottotechno AIUTO KAZZOTTI MI PIKKIA !!!!!)
Mr Oizo – The Church (già ne ho parlato qui. Il suo solito disco di “tirare ciabatte ai cani” dell’anno)
Dj Nigga Fox – O Meu Estilo (Lo stile di dj negro volpe da Lisbona è la sozzeria di fiskioni coatti su ottusi skattabotti afro con skuregge di basso ke skrotano di stramaledetto!!!)

Bonus: i due 12″ di Dj Vague, skattabotti fatte di sgommate techno #HDLIFE friendly.

DISCHI GAMING (dischi con cui ho giocato bene ai videogiochi)

Ekoplez – Unfidelity +  Four Track Mind (perso nelle isole tropicale drogate di Far Cry 3 ho tolto la sciapa ost hollywood del gioco e mi sono messo questi due album di Ekoplekz su Planet Mu. E finalmente mi sono ritrovato come in stato di ipnosi febbrile a far casino mentre tutto attorno era lento e drugapulco.)
(d) – Progression (autechrosa elettronica smagnata al servizio di maestose visioni cosmiche. La miglior colonna sonora possibile per i viaggi spaziali e interstikkiali di Elite: Dangerous.)
Vladislav Delay – Visa (muri di suono dedicati al concetto di passaporto, ho provato ad ascoltarli mentre giocavo al miglior videogioco di passaporti di sempre Papers, Please! e mi si è sfasato il cervello)

BLAST FROM THE PAST (le RISTAMPE i REMAKE i CAPOLAVORI NASCOSTI il PASSATO)

The Group – The Feed-Back (ovvero il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, cioè Evangelisti, Macchi, Morricone etc., che fa una roba psychtribalurbanskrot tipo On The Corner + Can, ma 2 anni prima. Finalmente ristampato per la gioia di tutti noi, ma sopratutto di DORO.)
Ariel Kalma – An Evolutionary Music (Original Recordings: 1972 – 1979) (raccolta NATURALISMO sviaggio panaccorbaleno del finora a me sconosciuto musicista francese Ariel Kalma.)
Sly’s Stone Flower 1969-70 (Le produzioni per la propria etichetta Stone Flower di quel genio di Sly Stone. Droga soulfunk vera.)

PHUTURO (i dischi che ti comunicano quella sensazione di fantascienza phuturo urbana, extra urbana o aliena. In rigoroso ordine verdeo!)

Lee Gamble – Koch (un incredibile viaggio dentro i cristalli liquidi che usiamo quotidianamente insieme ai LED. Lee Gamble mi ha detto in realtà che si tratta di una visione di come sarà il suono di Grosseto nel 2050.)
Objekt – Flatland (abstract-electro/techno/sbasso ci illustrano con precisione assoluta la phutura megapianura hi-tech europea!! Ma sopratutto un bel surfare sulle wi-fi dei nostri elettrodomestici preferiti.)
Jeff Mills – Emerging Crystal Universe (Jeff Mills perso nello spazio, vede emergere dal risukkio l’universo di cristallo in cui finiremo nel corso del nostro phuturo)

Bonus: Datassette – Cagney XOR Lacey EP (un phuturo voxel bucolico)

SMORFINAMENTO COMFY (i dischi che agevolano lo scivolo nel piumone, quella musica che ti coccola e anestetizza dolcemente piano piano.)

Bing & Ruth – Tomorrow Was The Golden Age (Il massimalismo/minimalismo sinfonico di questo ensemble new yorkese avvolge nelle luci bianche e smorfina a puntino la nostra giornata.)
Occult Oriented Crime – The Occult Oriented Crime Album (Legowelt sforna il suo capolavoro assoluto in questo imponente album di ambient psichedelia: quasi due ore in cui vecchi synth lasciati sotto un nordico abete prendono vita e risuonano per sciogliere la neve e rimirare l’immenso cielo stellato invernale. Noi scivoliamo nel nostro piumone cadendo in estatico letargo da Solstizio Invernale e ringraziamo.)
Maurizio Abate – A Way To Nowhere (Psychdroningfolk come copertina e caminetto per smorfinare in una sperduta baita in montagna e ritrovarsi nel vuoto a meditare.)

Bonus: Satori – Kaikou EP (bozzetti zen per sola casio cz-5000 che calmerebbero chiunque. Nella sala d’aspetto dei miei sogni risuonerebbe solo la musica dei giapponesi Satori e Wheelrock)

BIAGY SNACK (l’ora della merenda, quei dischi gustosi che ti fanno scivolare bene la giornata)

Luke Vibert – Ridmik (Luke Vibert, qui la sua monografia completa per bastonate, va al cuore del ritmo analacid*808/303 e ci dona la merenda più gommosa, elastica, gelatinosa e tichiliziosa che esista!)
Lone – Reality Testing (Lone smussa, rallenta e compatta i suoi classici green hill zone-beats e ci fornisce un ottimo skrokkio per una merenda da gustare fuori casa scivolando su morbidi shuffle colorati.)
Todd Terje – It’s Album Time (una merenda fatta di cocktail di scampi di fronte ad bar disco-stu sulla spiaggia. Oppure una merenda fatta di pane e nutella + pane sale e olio sul divano davanti alla tv con Europa7. Grande l’omaggio a Lesuire Suite Larry.)

Bonus: Young Marco – Biology (La merenda di quando studi o di quando dai da mangiare al cane.)

FIRE MUSIC (dischi di fuoco improvvisativo che vi scuotono dal torpore !!!)

Fire! Orchestra – Enter (il collettivo del fuoco dopo esser uscito con Exit! l’anno scorso, stavolta decide di instikkiarsi rientrando da dove erano usciti. FREE INSTIKKIO MUZIK 400%)
Pharoah & The Underground – Spiral Mercury (l’immenso Pharoah Sanders con gli illuminati Sao Paolo Underground di Mazurek in un viaggiomaggio aldilà)
Fabio Mancini – Mago Merlino (il maestro della fire music distopica italiana torna con le sue canzoni sempre più ispirate e dall’astrazione HD)

SKRANNO DELL’ANNO (la musica SKRANNA quella dei RUMERI)

NATURALISMO – Undici Anni (dopo il fantastico tweet del 2k13 “SO’ DIECI ANNI CHE SCOPO” ecco il seguito sotto forma di album: UNDICI ANNI. Un’avventura NATURALISMO fatta di mini SKRANNI TURBOBLASTI da mandare in random continuo, si esplora la concretezza SKRANNA di oggetti come Fettine Unghie Erezioni Stucco Erbacce Singhiozzi Concime Mattoni Dentisti Compensato Portiera Sabbia Sudore MOTORINO.)
Kevin Drumm/Jason Lescalleet – The Abyss (Il re del tutto Kevin Drumm e sto tizio fikissimo ke non konoscevo salgono sullo SKRANNO per regnare sull’abisso. Skranni anche quando diventa monofischio o drone del regno dei morti dei Rumeri.)
Earth – Primitive and Deadly (ogni disco Earth merita sempre di rientrare nello SKRANNO, se non altro perché Dylan Carlson tributa lo SKRANNO con sincerità e NATURALISMO ai più sconosciuta. Kui’ si confronta kon il klassik SKRANNO e kon il kantato.)

Bonus: DrCarlsonAlbion – GOLD (non propriamente SKRANNO ma sgrattoaterusty desertiche del nostro Dylan preferito. Sapevatelo!)

MINGHIIIEeeEE SWAG (turboblasti footwork 2k14)

DJ Rashad – We On 1 (ep allucinante e cattivissimo che lasciava presagire ulteriori squarci futuri per il fenomeno Dj Rashad che purtroppo ci ha lasciati nel corso del 2014. RIP)
Next Life (compilation su Hyperdub di vecchie e giovani leve della crew Teklife. L’eredità lasciata da Dj Rashad turbotributa Dj Rashad.)
I’m Tryna Tell Ya (fondamentale documentario su nascita ed evoluzione della footwork a Chicago)

DISKI ‘FAMMOKK (cioè i dischi VAFAMMOC)

Ben Frost – A M E R D A (OMFG SUONA CON DUE BATTERIE KON LA DOPPIA KASSA! MA SPARATI A SALVE IN KULO KOJONE!!!! non kapisko perké kuesto ripoff dell’ambient e dello skranno piaccia tanto a vari savi. FAMMOKK)
Sunn (O))) e Ulver – RATE / Have A Nice Life – The Sgoth World (un disco kosì di merda dai sunnulver non se l’aspettava nessuno manko gli haterz. Mentre i Muse del genere hipstersgoth sono riusciti a fare ancora peggio di quella monnezza di deathcsocisness. FAMMOKK)
Caribou – Nostro Rateism/Clark – Clark (giusto monetizzare, però insomma io ci rimango sempre un po’ male e a sto punto preferisco kantare APE ESCAPE e non le kanzoni di NOSTRO RATEISM, oppure preferisco NON vedermi Jon Hopkins dal vivo piuttosto che ascoltarlo nel disco di Clark. FAMMOKK)

Il disco più bello di sempre.

sh2

Il sistema economico in cui viviamo è basato sul desiderio. I bambini sognano la loro vita in termini di soldi o carriera, e questo è l’imprinting. Sognare di diventare veterinario o calciatore, possedere una porsche e i capelli lunghetti e un vestito elegante. Alcuni inseguono i loro sogni, i più ci vengono a patti e si trovano un lavoro qualunque che permetta loro di vivere decorosamente, metter su famiglia e pagarsi qualche svago. Alcuni svaghi ci salvano la vita. La musica, ad esempio, o gli sport: forse ci sono stati inculcati da un’industria multimilionaria, ma qualunque maschio italiano ha sognato prima o poi di giocare in attacco ai mondiali con la maglia azzurra; qualcuno ha anche fatto un provino per qualche squadra medio-grossa, a un certo punto. Altri hanno smesso di giocare appena hanno scoperto che tutto l’allenamento di questa terra non li avrebbe fatti diventare come Roberto Mancini. Poi ci sono quelli che scelgono la terza via. Giocano a pallone tutti i sabati pomeriggio, organizzandosi in squadre scalcinate che competono in tornei amatoriali, perché vogliono giocare a pallone. Si sbracciano per tenere in piedi un’economia delle briciole, fatta di sponsor che ti usano come sgravio fiscale e ti passano poche decine di euro l’anno con i quali eviti di metter mano alle tasche per pagare l’affitto di un campo in cui dieci anni fa cresceva ancora l’erba. Hanno le caviglie malmesse e la pelata dietro la testa, nessuno a vedere le partite e tutta la cattiveria di questo mondo. Quando scendi in campo e hai la maglietta della tua squadra, o giochi seriamente o vaffanculo.

A un certo punto pensavo che avrei fatto qualcosa di diverso nella mia vita. Mi ero laureato, avevo fatto un paio di contratti a progetto in una biblioteca ed ero tornato nella ditta in cui lavoravo da magazziniere per pagarmi l’università. Sei o sette mesi qui dentro, pensavo, metto insieme un gruzzoletto per starmene qualche mese a lavorare all’estero. Il capo in ditta era tale Sergio, ai tempi trentasettenne: mi convocò una sera nel suo ufficio dopo il lavoro e mi disse che gli serviva una persona, che aveva pensato a me perché conoscevo il magazzino ed ero esperto di computer. Mi disse che non gli andava di insegnare il mestiere a uno che stava per scappar via, e se avessi accettato sarei dovuto rimanere per almeno tre anni.

(nel 2004 venivi impiegato in ditte medio-piccole che ti supplicavano in ginocchio, a te senza competenze specifiche di alcun tipo, di mantenere il posto di lavoro per tre anni) (la fama di esperto di computer me l’ero fatto spegnendo e riaccendendo una macchina che stampava le etichette)

Steve Albini inizia a fare musica nei primissimi anni ottanta. è un fanatico di quelle cose che escono fuori dal punk e si stanno spostando verso qualcos’altro. Inizia a registrare cose in cameretta con una drum machine a nome Big Black: qualche tempo dopo riesce a trovare dei musicisti che suonino la sua roba dal vivo ed inizia una carriera nell’underground. Ha una rubrica sulla fanzine Matter nella quale parla (perlopiù male) di musica indipendente. Conosce Corey Rusk, il padrone di Touch&Go, mentre i Big Black si stanno avviando alla fine della loro esistenza. Fanno uscire Headache e Songs About Fucking. Lo scioglimento darà i natali a un gruppo di nome Rapeman, un’esperienza di un paio d’anni che riesce a fare uscire un buon disco. Dalla seconda metà degli anni ottanta Albini inizia a mettere le sue conoscenze tecniche da ingegnere del suono (che ha dovuto acquisire per registrare i dischi dei Big Black) al servizio di altri gruppi, registrando diversi dischi che diventeranno classici della musica rock. Bob Weston cresce in una cittadina del Massachussets con esperienze da trombettista in bande importanti (nel senso proprio delle bande, quelle che suonano alle parate). Si laurea in ingegneria e inizia a suonare il basso nei Volcano Suns, un gruppo fondato dal batterista dei Mission of Burma dopo lo scioglimento della band. Accetta un’offerta di Steve Albini, si sposta a Chicago e diventa suo assistente ingegnere del suono. Todd Trainer suona la batteria in gruppi tra Chicago e Minneapolis negli anni ottanta, ha un progetto solista chiamato Brick Layer Cake in cui canta e suona la chitarra. Si mettono a suonare assieme e tirano su un gruppo, niente di eccezionale.

La letteratura musicale, e credo anche quella sportiva (non la conosco bene), non sono strutturate per  poter celebrare a sufficienza l’aspetto amatoriale. L’industria della musica è sostenuta da un impianto faraonico fatto di royalty, contratti milionari e fanatici esaltati che si presentano allo stadio alle undici del mattino per avere i braccialetti del parterre; Fender vende chitarre a un sacco di persone che coltivano il sogno di calcare quei palchi, ma non sono in tanti a coronarlo. La musica, nella maggior parte dei casi, è costretta a trovare il modo di auto-sostenersi. Ci riesce perché chi la suona ha imparato a ripensarla in piccolo, si organizza per suonare in contesti brutali di fronte a quattro stronzi e riesce a tirarci fuori qualcosa di soddisfacente. Una volta registrar canzoni e farle ascoltare alle persone costava molti più soldi, oggi si riesce a fare con una certa dose di studio e usando internet. Negli anni novanta, quando un gruppo veniva firmato da una grossa etichetta, nelle interviste diceva di averlo fatto per riuscire a fare ascoltare a più persone possibile la propria musica. Ian MacKaye si chiedeva: perchè dovremmo fare ascoltare la musica a più persone possibile? Steve Albini continua a dichiarare che l’epoca in cui viviamo, per i musicisti, è eccezionale.

Sergio giocava a calcio e andava in bicicletta, l’intensificarsi della vita professionale l’aveva costretto a mollare il pallone e concentrarsi sulla bici. In Romagna è una cosa comunissima: prendi una bicicletta da corsa e inizi a salire su per la ciocca. Costa fatica fisica ma pochi soldi. I ciclisti passano la vita a tornire il fisico per affrontare salite devastanti senza avere in effetti il bisogno di affrontarle; alcuni sognano di diventare Marco Pantani, altri lo fanno perchè fa bene alla salute, i più lo fanno per via della bici. D’estate il lavoro della ditta scemava, Sergio sorrideva, diceva “vado via che ho un impegno”, usciva alle cinque del pomeriggio e mezz’ora dopo era lanciato su un dirupo. Un buon ciclista: gambe corte, dicevano che in salita gli stavano dietro in pochissimi. Se eri suo amico e rimanevi indietro, ti sfotteva. Se ti si rompeva l’auto, ti sfotteva. Se perdevi un affare s’incazzava e due ore dopo ti sfotteva. Certi giorni il sarcasmo che usava poteva essere pesante; bilanciava con l’autoironia e un comportamento che nessuno poteva dire scorretto. Se ti staccava in salita diceva che l’altro sabato andavi lento che potevi contare le margherite.

Nel 1993 Steve Albini pubblica un articolo per The Baffler intitolato The Problem with Music. È un conto economico a grandi linee di cosa succede ad un gruppo indie che viene firmato da una major: vendi 250mila copie, hai riempito le tasche dell’etichetta e ti ritrovi comunque in debito. L’articolo diventa un testo sacro della musica indipendente, negli anni di massima esplosione dell’alternative. Nello stesso anno esce il disco più famoso (e uno dei migliori) tra quelli da lui registrati. A questo punto della carriera ha già definito le coordinate morali del suo lavoro: registra in analogico, in presa diretta, non ama i mixaggi aggiuntivi, non si fa accreditare come produttore, rifiuta di essere pagato con percentuali di vendita del disco. L’anno successivo esce il primo disco degli Shellac.

La definizione di “musica indipendente” a cavallo della metà degli anni novanta è un tipo ideale che si definisce da caso a caso sulla base delle soglie di compromesso. I gruppi s’erano tirati in piedi con le loro gambe e avevano trovato un mare di attenzioni in più rispetto a quelle che ricevevano tre anni prima; la maggior parte dei gruppi indipendenti degli anni ottanta era tale per pura e semplice mancanza di alternative, alcuni lo erano per vocazione, altri per via di una mentalità fascista. Qualcuno lo era per ragioni economiche o artistiche. I modelli economici davvero funzionanti legati al rock indipendente non sono poi tanti, e quasi tutti hanno dovuto scegliere dove tracciare la linea della loro moralità. Gli Shellac, più semplicemente, hanno deciso scientemente di non far parte di quel mondo. La loro musica viene registrata in analogico e stampata preferibilmente su vinile; il gruppo la distribuisce tramite i negozi, non si porta il merchandising ai banchetti, non vende musica nelle piattaforme di streaming. Non usano un management o un ufficio stampa, organizzano personalmente tour in contesti a loro confortevoli (macroscopico l’esempio europeo di ATP e Primavera Sound). I tour non sono legati ai dischi, contengono pezzi in scaletta che non sono mai stati registrati. Non sono scelte difficili, se li senti parlare: servono per stare bene. È un gruppo così lontano dai riflettori che in condizioni normali la loro presenza sarebbe sostanzialmente invisibile. I fattori che la rendono evidente e chiassosa sono fondamentalmente due: la presenza del chitarrista e il fatto che i dischi del gruppo siano così buoni. Un effetto collaterale della politica degli Shellac è che il gruppo non fornisce ai membri abbastanza soldi da tirare avanti la baracca. Steve Albini dice che è irragionevole pensare che la gente sia disposta a pagare per vederti sciare.

Sergio diceva che il segreto è trovare piacere nel tuo lavoro. Aveva passato anni a seguire tutta la filiera per filo e per segno, poi la ditta s’era ingrandita e lui aveva iniziato a delegare e fidarsi dei suoi sottoposti senza controllarli. Tenere un clima rilassato e di fiducia all’interno dell’ufficio gli costava emotivamente quanto tenere tutti sotto scacco, tanto valeva farlo diventare un posto piacevole. Diventare grandi è dura, aveva smesso di giocare a calcio, una partitina ogni tanto per gradire, ma quando passava il freddo della stagione spolverava la bici e partiva. Mangiava regolato, beveva poco, fumava poco. Quando uno passa la vita tra scrivanie e autostrade a gestire le cose e usare gentilezza con clienti fornitori dipendenti e consiglio d’amministrazione, lanciarsi a bomba da solo su qualche salita deserta può essere un’ancora di salvezza. Quando uno di lavoro registra dischi agli altri gruppi, ti aspetti che di tanto in tanto abbia voglia di suonare quello che gli va, alle proprie condizioni, di fronte a un pubblico interessato.

Quando dico “il disco più bello di sempre” intendo quello che dico, ma “il disco più bello di sempre” in realtà è più di uno. Le ragioni sono tre: la prima è che mi permette di distinguere tra “il disco più bello di sempre” (In Utero) e “uno dei miei dischi preferiti” (0+2=1); la seconda è che mi permette di non dover scegliere tra In Utero e End Hits; la terza è che le ragioni sono sempre tre. Le cose che vengono rimproverate più spesso ai fan di musica indipendente sono integralismo, oscurantismo e malcelato rosico. Una marea di cazzate. Non conosco nessun fan di indie rock che si sia mai lamentato delle copie vendute dai Fugazi o dagli Shellac, o chi per loro. Alla maggioranza dei fan di rock indipendente non frega assolutamente un cazzo di chi si venda a cosa in cambio di cos’altro; quello che vogliono è musica che suoni vera e diversa dall’altra. Statisticamente, certa musica è rimasta migliore quando ha conservato la sua dose di umiltà.

Certo, non è una rivoluzione. Il punk e l’accacì e il rock indipendente scalcinato sono misure di allineamento e appartenenza alla stessa cultura che ti propina i Jim Morrison e le Avril Lavigne, non definiscono una classe di illuminati che riesce ad estraniarsi dalle cose del mondo. Li dovessi suonare ad un abitante di un villaggio in amazzonia, non saprebbe distinguere le differenze. Per chi ascolta è una questione di coscienza: la musica può esserci inculcata addosso, o può essere scelta da noi. Farla e ascoltarla costa soldi impegno e fatica, bisogna coltivare un giro di amicizie, una rete in cui tutti quanti a un certo punto sono tenuti a fare la loro parte. Non è un atteggiamento molto in voga, ultimamente: la possibilità di star chiusi in camera a scaricare musica e atteggiarsi a conoscitori (di non si sa cosa) ha dato un bel colpo alla musica indipendente.

sh1

At Action Park è un disco di dieci tracce che sono dieci calci in faccia, trentacinque minuti totali, una sorsata. Architetture scarne in tempi dispari su cui gli strumenti s’aggrovigliano l’uno all’altro e le voci sgraziate di Steve Albini grattano via testi impossibili e bellissimi. (Steve Albini non ha mai ricevuto il giusto credito come autore di testi. La parola che ricorre più spesso è “grottesco”, ma descrive solo una parte della sua poetica). Batterie secche, basso arrogante, nessuno suona una nota di troppo. È un monumento ad una mentalità democratica della musica che vuole portare tutto ai minimi termini per renderlo sostenibile. La bellezza del disco ha reso impossibile ignorarlo.

I dischi i libri i fumetti e le persone ci hanno cambiato la vita. Certi dischi sono semplicemente belli, altri sono solo importanti, alcuni sono belli e importanti, e la vita non te la cambiano comunque. At Action Park è il disco più bello di sempre. Non è arrivato con l’intenzione di rompere degli equilibri: erano solo il gruppo della domenica di alcuni personaggi che stavano incidentalmente definendo un suono, ha rilanciato sulla posta, ha influenzato delle persone.

A un certo punto pensavo che nella vita avrei fatto qualcosa di completamente diverso, poi la vita e le persone e le cose hanno scelto per me. Quando leggi queste cose sui giornali ascolti i racconti di gente che ha ascoltato Back In Black ed è rimasta fulminata. Con At Action Park non succede. A un disco come At Action Park ci arrivi da introdotto, hai già scelto cosa ti piace e quanto sei disposto a pagarlo. Gli Shellac, agli occhi di un fan di metal pesante, avevano un suono che sembrava povero e incompleto. Poi sono semplicemente rimasti lì, ho sempre avuto voglia di ascoltarli. L’incantesimo di quella musica funziona ancora come dieci o quindici anni fa. Tra i massimi privilegi del mio ascoltare musica c’è quello, banalissimo, di averli potuti conoscere e aver avuto l’occasione di invecchiare con loro.

Gli Shellac esistono ancora e fanno sempre le stesse cose. Un mesetto è uscito il loro ultimo disco, un album formidabile intitolato Dude Incredible. Pezzi che suonano da anni ai concerti. Fanno un disco ogni sette anni, più o meno, senza legarci un tour. Steve Albini continua a registrare a tariffe abbordabili, ha costruito uno studio suo a Chicago, continua a lavorarci. Risponde regolarmente alla gente sul suo forum, gioca a poker e ha un blog di cucina. Bob Weston lavora anche in proprio, nel corso degli anni il suo nome è diventato la garanzia di un suono tra i miei preferiti e sta in calce ad alcuni tra i migliori dischi della storia (Rachel’s, June of 44, Get Up Kids, Low…). Todd Trainer sbarca il lunario a Minneapolis. Ai concerti si presentano con tute da lavoro e pantaloni sbragati. Ai concerti si fermano un attimo e rispondono alle domande del pubblico. Come si fa a tenere in piedi un gruppo per vent’anni, senza farlo diventare il proprio impiego? Servono due cose, come nel testo di Il Porno Star. Come ad andare in bicicletta. Sergio aveva ricominciato, appena finito l’inverno; a una salita cattiva gli era venuto il fiatone e non riusciva a farlo passare. Il giorno dopo ha iniziato a fare controlli. Se n’è andato nel novembre del 2011. La chiesa era piena di gente, sembrava il funerale di Pantani, erano venuti da tutta Italia, son dovuto rimanere fuori schiacciato contro il fondo del piazzale. Il corporate rock misura il successo degli artisti contando quanta gente sta sotto al palco.

Lavoro nella stessa ditta, con tutti gli altri ragazzi. Tra di noi non abbiamo mai litigato. At Action Park sta sempre in macchina, lo riascolto sempre, non mi stanca mai. Stando a Wiki è uscito il 24 ottobre del ’94. Vent’anni tondi oggi.

cose che escono raramente: IL NUOVO ALBUM DEGLI SHELLAC

shell

Girava una storia, suppongo falsa, secondo la quale Patti Smith a un certo punto era sull’orlo del suicidio e ha rinunciato per non perdersi il prossimo disco degli Stones. Suppongo che negli anni settanta questa cosa avesse un senso, non lo so. Io sono nato e cresciuto nell’epoca del sovraccarico di informazioni, qualcuno ci ha scritto dei trattati, qualcuno proietta delle news a caso sul maxischermo suonando nei palazzetti, qualcun altro se ne sbatte bellamente il cazzo e di solito vince le conversazioni, perché il mondo è in mano ai disillusi, alle merde, ai professionisti dei selfi su instagram e agli autori di serie TV inglesi autoconclusive. Per quelli che hanno trovato nella musica una ragione di vita, un altro branco di poveracci, la crisi artistica degli Stones è stata superata agevolmente da un calendario sempre più fitto e scriteriato in cui gruppi che nel quadro generale hanno poca o nessuna importanza suscitano sentimenti violentissimi ed una fotta scriteriata. Esce il nuovo disco dei Supersuckers: EHI! cristo! I fottuti SUPERSUCKERS!! Qual è la STREET DATE? È già uscito il LEAK? Abbiamo un ADVANCE? Così, insomma, per 24 minuti la notizia dell’ultimo disco dei Supersuckers diventa il motivo per cui andiamo avanti. Poi magari dobbiamo lavorare e nel pomeriggio è già uscito fuori un nuovo singolo di tendenza, e cose così. Tutto sommato è lo stesso processo alla base della tossicodipendenza: il tossicodipendente tende a dare botte di coca con una frequenza sempre maggiore e ad ogni nuova botta il picco è sempre più basso, fino a che diventa una routine e poi insomma, bla bla bla. Due giorni fa ero in uno stato di euforia terminale per l’arrivo di un nuovo singolo di ANNA, che sarebbe Anna Tatangelo ma ora si fa chiamare solo ANNA in parte perché il cognome sa un po’ di sfiga (non sto giudicando nessuno, sia chiaro, io di cognome faccio Farabegoli) e in parte forse per essere presa per una che esce da un talent. Dicevo, il nuovo singolo di ANNA è scritto da Kekko dei Modà ed è un tipico pezzo Modà, quindi diciamo Canzona pop italiana ultra-tirata meets casse frigide, in attesa di una svolta Airys già promessa un po’ ai tempi di Occhio per Occhio. (la fregatura rispetto a Syria/Airys è che ANNA è un palindromo) (e la svolta Airys non è ancora rientrata del tutto, pensavamo fosse un calesse e invece Syria ha casse anche nel suo ultimo singolo) (bruttino, diocristo Syria, pompa in quelle cazzo di casse). Due o tre virtuosismi vocali e via andare. A volte l’attesa febbrile per il nuovo singolo di un artista può durare anche meno di così, tipo da quando Pop Topoi annuncia l’esistenza di un singolo a un minuto e mezzo dopo che Pop Topoi ha postato il video del singolo stesso.

Nell’ordine generale delle cose, dicevo, non è così importante l’uscita di un disco. Gli Shellac (of North America), gruppo composto da Steve Albini, Todd Trainer e Bob Weston, lavorano da anni ad un successore di Excellent Italian Greyhound: sappiamo diverse cose del disco da tempo. La prima è che si chiamerà Dude Incredible, la seconda è che contiene nove pezzi, la terza è che è stato registrato nei ritagli di tempo. tutto come al solito.

Quando uscì Excellent Italian Greyhound fu un piccolo evento, oppure no. Si sapeva che sarebbe uscito, che era un disco degli Shellac, tutto come al solito. Conteneva musica buona, più o meno come tutta la musica contenuta nei dischi degli Shellac, che non avrebbe cambiato il mondo e non avrebbe –in fondo- nemmeno rivendicato chissà quale fierezza ideologica. Gli Shellac esistono in un universo cognitivo parallelo nel quale è tutto tranquillo e rilassato. I dischi escono quando sono pronti. Il gruppo non va in tour per promuoverli, né fa uscire dischi per trovare la scusa di andare in tour. I concerti sono fatti più o meno sempre delle stesse gag e delle stesse scalette. I concerti impegnano il gruppo per qualche settimana l’anno, sono gestiti in prima persona allo scopo di creare meno stress possibile, e via di questo passo. Per gli spettatori indie europei è una sicurezza sapere che comprando un biglietto per il Primavera si avrà l’occasione di assistere ad un concerto degli Shellac, per dire.

(intervallo: un video a caso in cui Steve Albini dice solo cose giuste. se non l’avete mai visto lasciatevi cambiare l’esistenza, oppure insomma, un ripassino male non fa)


Le cose che non si sapevano e che da ieri si sanno sono la copertina del disco, quella sopra, e la data d’uscita, 16 settembre. Questa la notizia di ieri. Poi s’è saputa la data di uscita del nuovo dei Goat, il quale pur se più brutto e meno esaltante nel lungo periodo sarà senz’altro più determinante per capire quale sorte toccherà alla musica popolare di frangia avanguardistica, e quindi la fotta è già divisa in due. E devo pure sbrigarmi a spingere il tasto pubblica che altrimenti succede qualcos’altro. Per certi versi il fatto che l’uscita del nuovo disco degli Shellac of North America sia solo un altro giorno nel calendario è la vittoria più grande di una battaglia per la normalità della musica che gli Shellac portano avanti con fierezza e dedizione. Bastonate esiste da cinque anni, cioè non ho mai avuto il privilegio di annunciare su queste pagine l’uscita del nuovo disco del mio gruppo preferito. Eccoci qua.

Il listone del martedì: DIECI COSE CHE CREDETE VERE IN MERITO ALL’INDIE ROCK E INVECE

Questo listone ha padri putativi nobili, si fa per dire. Non vogliamo (non è vero, vogliamo) reintervenire nel dibattito su cosa s’intende per indie oggigiorno, non vogliamo cagare ulteriormente il cazzo alLo Stato Sociale e quando parliamo al plurale in realtà intendiamo io, che mi chiamo Francesco e ho idee bizzarre e stupide sulla faccenda. Questo listone si basa su un paio di assunti teorici:

1)      la parola INDIE non identifica più un genere musicale trasversale e di supermoda fatto di gente vestita in modo pittoresco che passa il tempo a fotografare il proprio duckface ma –come da senso originario- musicisti che suonano generi musicali imparentati con il rock e non operano nel mercato discografico emerso, lasciando a quelli di cui sopra l’altrettanto improprio appellativo di hipster.
2)      Questa cosa è comunemente accettata.
3)      Niente, solo le prime due.

Il dibattito sta impazzando furioso, cioè nell’ultima settimana ho letto più di un post in merito, nella fattispecie un tirone di Hamilton Santià e Simone Dotto rilanciato da Enzo Polaroid e messo in pari a un articolo di Birsa su Vice. Riassunto: nel mondo dell’indie attuale tira aria nuova, ma l’aria nuova è la stessa aria nuova che tirava prima che tirasse aria nuova e ha lo stesso identico odore dell’aria che hai mollato per cambiare aria. C’è stato un ricambio generazionale e non è contato un cazzo. Oggi i gruppi si riuniscono un po’ e nel farlo vendono (svendono) l’integrità di essersi suicidati prima che andasse tutto a puttane in cambio di non essere più morosi con le rate dell’appartamento a Providence. Le risposte che si possono dare sono diverse, dalla polaroidesca bisogna senz’altro considerare l’idea che probabilmente abbiamo sempre voluto tutti quanti la stessa cosa, o quantomeno ora è così alla birsesca VAFFANCULO. Noi, sempre inteso io, non abbiamo le idee chiarissime in merito, ma è innegabile che siamo di fronte al primo periodo interessante nella storia della musica dai tempi in cui si sussurrava fosse in corso un’asta tra le major per mettersi in scuderia gli Earth Crisis. La battaglia da combattere non è più contro un sistema ben identificabile come mainstream, ma contro una serie di accettabilissime soluzioni di compromesso che stanno svuotando di significato la musica che ascoltiamo senza che nessuno (a partire dai giornalisti/blogger musicali, il più ridicolo branco di mentecatti di cui abbiamo mai fatto parte a parte forse i boyscout e il Club degli Editori) abbia sviluppato un sistema immunitario che faccia suonare un campanello d’allarme. La seguente lista di false credenze in merito all’indie rock vorrebbe essere uno spunto di riflessione, esauritosi peraltro nella nostra riflessione da qui a quando abbiamo chiuso il pezzo, e tralascia volutamente (non è vero) le declinazioni etiche del discorso. Il fatto che sia giusto o sbagliato rendere del proprio mestiere un mestiere o quanto ti renda una persona migliore scopare di più, cioè saper suonare un basso, non è una cosa che c’interessa. Nè tantomeno se condurre una vita/carriera da musicista indie sia in qualche modo una cosa auspicabile. Ci teniamo volutamente a distanza di questo genere di cose per rivendicare orgogliosamente il nostro ruolo di ascoltatori puri e di indierockers impuri, non siamo parti in causa del discorso, abbiamo pochissimo da perdere e quel poco che abbiam da perdere non sono soldi. E nel caso qualcuno se lo chiedesse, indie è un modo puccioso di dire indipendente. Continue reading Il listone del martedì: DIECI COSE CHE CREDETE VERE IN MERITO ALL’INDIE ROCK E INVECE

cercasugoogle: SERATA CON BOCELLI (brainstorming)

Il seguente brainstorming riguarda chiavi di ricerca con cui la gente è entrata su Bastonate nelle ultime settimane. Grazie a tutti per il contributo. Grazie ad alcuni più che ad altri.

COCAINA PRIMA DEI CONCERTI
Non di recente. In effetti sono talmente povero che spesso e volentieri passo le settimane prima ad elemosinare accrediti a destra e a manca, in genere senza successo. Altro che cocaina. Però venerdì sera a Shellac accanto a me in prima fila c’era un fuorisede palesemente sotto cocaina che rompeva il cazzo.

JUSTIN BIEBER DA PICCOLO
Già è difficile pensare al J.Biebz sedicenne, mollami un secondo

QUANTO MANCA?
Diciassette minuti, quattro dei quali potrei impiegarli per una rece.

NON TI RICORDI DI KEN SIRO
Certo che mi ricordo, l’ultimo discendente della scuola nigeriana di Hokuto.

BASTONATE KEKKO E’ FROCIO?
Non è propriamente una domanda da minestra, ma continua ad apparire nelle statistiche, evidentemente per farmici fare un CSG all’uopo. Grazie. Allora, diciamo che a me piacciono molti maschi, alcuni dei quali proprio me li farei e per i quali non escludo di aprirmi anche alla passività, prima o poi. Perlopiù sono musicisti, economisti e tuttologi di quarta categoria, ma anche certi amici stretti me li farei senza forchetta. Per ora comunque sono un omosessuale non praticante.

VOCE DI JOHN FRUSCIANTE COME AVERLA
Diciamo che il risultato non varrebbe il sacrificio.

COME FARE PER CONTATTARE LA SUB POP PER
Non saprei, mandagli una mail.

MI BASTEREBBE PENSARE KEKKO 2010
Sì, beh, questa è un’autoanalisi brutale.

ENRICO GHEZZI COLPA DEL SOLE
Molto francamente non credo che Ghezzi abbia mai visto il sole in vita sua –tipo io l’ho incrociato due volte verso mezzanotte (trivia: una delle due volte era all’XM24 a vedere i Wolf Eyes. Eroe.) quindi probabilmente è colpa della madre o dei troppi film.

SIGNIFICATO DI DRONES
In inglese drone è il maschio dell’ape.

SERATA CON BOCELLI
Bocelli Andrea? Lo staff consiglia di non indulgere troppo in conversazioni sull’arte, perché di musica sembra non capirne molto e insomma, il cinema non è propriamente il suo campo.

IN ITALIA NON SI SCOPA PIÙ
Questo è un equivoco piuttosto comune. In realtà il coito è stato semplicemente privatizzato in seguito alla stretta dei conti pubblici durante la gestione Padoa-Schioppa. Esiste tuttavia una serie di esenzioni in merito alle quali ti puoi informare presso gli sportelli ASL.

CHE COS E’ UN ESTREMO
può essere un parassita distruttivo delle colonie dell’ape mellifera, esso infatti causa il danneggiamento dei favi cbandosi del miele immagazzinato e del polline. Se l’infestazione diventa sufficiente pesante, le api possono essere indotte ad abbandonare il loro alveare.

CHIUSURA DEI MANICOMI IN ITALIA
Fu un grave errore. Sarebbe stato meglio aprirli al pubblico come scuole di vita. (cit.)

IL CRACK SI FUMA
Ma anche no.

SHELLAC ESTRAGON SOLD OUT PERSONE
Non erano persone. Erano SCOIATTOLI! VERI SCOIATTOLI! Ed erano migliaia. Questa non è una qualche metafora o che. Cristo di un dio, questo è VERO.

LA BASTONATA ROMAGNOLA
Non esiste una traduzione letterale, e comunque il dialetto romagnolo non è una cosa scritta. Io tradurrei con slèpa.