Gruppi con nomi stupidi: COM TRUISE

Va tutto bene Cougar, stammi vicino, ti farò scendere io, stammi vicino.

 
Il trucco è vecchio ma fa sempre ridere, si diceva non troppo tempo fa a proposito di Reve Steich e in generale di chiunque decida di invertire le iniziali di nome e cognome di gente famosa a random; quando poi scopri che nella fattispecie dietro al nom de plume Com Truise si nasconde un bestione sovradimensionato e probabilmente semiautistico, la tentazione di sfottere aprioristicamente il più debole proprio come a scuola col subnormale che sceglievano per ultimo quando si facevano le squadre diventa irresistibile. Ma i motivi di ilarità si fermano qui dal momento che il voluminoso Seth Haley, che probabilmente mezzo autistico lo è per davvero, riesce a trascinare in un universo parallelo, atemporale e irresistibilmente ipnotico con la sola forza di qualche basilare macchinario old school e un piccolo esercito di synth autocostruiti; roba seria, che dietro un disimpegno di facciata e il ricorso a un immaginario coloratissimo e forzosamente retronostalgico tipo Wargames però visto adesso (il che, unito alle iniziali frequentazioni dell’uomo con mezzeseghe tipo Neon Indian, ha portato i soliti stronzi della stampa che piace alla gente che piace a inserirlo a viva forza tra le new sensation glo-fi/hypna/stocazzo, ambiente con cui Com Truise non ha nulla a che spartire) nasconde in realtà una visione bruciante di vita e coinvolgente come pochissimo altro intercettato negli ultimi tempi, un luogo della mente che parte sì dalle grafiche scrause di qualche videogioco Atari della vecchia rimasto a sedimentare da qualche parte tra i nostri neuroni, ma ben presto si evolve in qualcosa di esoterico, imprendibile e irraccontabile che farebbe la gioia di Jeff Minter e l’invidia di Tim Leary, una straordinaria celebrazione delle potenzialità dell’analogico che è monumento alla vita e vertigine pura. L’esordio Galactic Melt finalizza le intuizioni finora abbozzate nella serie di brani e remix di pezzi altrui che Haley, da borderline vero, aveva prodotto in completa autonomia e messo a disposizione in free download sul suo sito o nella sua pagina soundcloud senza il minimo contatto col mondo esterno. L’iniziale Terminal mette in chiaro le cose: una girandola di raggi laser, pronti via, e decolla l’astronave; VHS Sex parte con un colpetto da stronzo da vero intenditore (l’incipit è né più né meno meno un’upgrade giusto un filo meno apocalittica di Buried Dreams dei ClockDVA, gemiti lascivi compresi) per poi svincolarsi in un caracollante stomp da terzo livello di Double Dragon incrociato al sogno di un androide. Da qui in poi separare un brano dall’altro diventa esercizio completamente privo di senso, da grigi contabili dell’umano, e ci si abbandona spontaneamente al flusso di suoni e visioni, mentre un ascolto tira l’altro e il disco vorresti non finisse mai. Assieme all’album dei Tokyo Black Star, a Gavin Russom in tutte le sue molteplici incarnazioni e al nostro Sandro Codazzi, Galactic Melt è un’altra dimostrazione incontrovertibile che il digitale è una merda.

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Piccoli fans: SANDRO CODAZZI

 

In caso ve lo foste chiesti (io sì), Sandro Codazzi non è uno pseudonimo ma il suo vero nome. Ticinese, la stessa età di Cristo quando venne messo in croce, esteticamente si presenta come un perverso incrocio tra Michel Vaillant e il tizio dei Daft Punk col casco più appariscente dei due; musicalmente è un clash impazzito tra Jean-Michel Jarre, i Pet Shop Boys più arroganti e strafatti di popper, i Dopplereffekt del fondamentale Gesamtkunstwerk e naturalmente Giorgio Moroder, badilate di Giorgio Moroder come se non ci fosse un domani. L’esordio omonimo su Musica di un Certo Livello è uno stupefacente, coloratissimo florilegio di struggimenti tutti italo e allucinanti visioni cocainiche da scenografia di un programma Fininvest a caso però virato spaziale, tipo dentro l’astronave di Alien: meraviglie analogiche e glaciali soundscapes digitali, luci abbaglianti e oscurità insondabile. Tastiere plasticose evocano flash di raggi laser nell’aria satura di sudore di dancefloor fuori dal tempo, voci deumanizzate recitano con pathos da automa filastrocche apparentemente senza costrutto stile Glamourama di Photek ma ancora più spietatamente nonsense, su tutto un senso di spleen disperato e disperatamente carnale che emerge in maniera anche insostenibile. Se Alexander Robotnick avesse sofferto di depressione bipolare, probabilmente invece di Problèmes D’Amour avrebbe scritto pezzi come Aftermath o Martesan; se casanova Sebastien Tellier alla svolta pornesco-faustopapettiana dell’ineffabile Sexuality avesse aggiunto come ulteriore elemento un’insana passione per le automobili di classe medio-bassa, il risultato sarebbe stato molto simile invece a Sex in the Kadett, Uno Turbo I.E. o Android Ritmo Abarth, mentre The Performer è nientemeno che l’unico upgrade possibile dell’irraggiungibile – e altrimenti inimitato – dittico Pornoactress/Pornoviewer del temibile negro pazzo Gerald Donald, e già questo da solo basterebbe a proiettare istantaneamente Codazzi nell’Olimpo dei grandi visionari.  Il mixaggio ad opera di Cristiano Disciplinatha Santini e un artwork a dir poco sinistro (grafica e font da titoli di testa di Driven alternati ad austeri ritratti del pilota gentiluomo Elio De Angelis, morto nel 1986 in seguito a un incidente tra i più gravi mai occorsi su un circuito di Formula 1) completano uno dei dischi più ipnotici e perturbanti intercettati negli ultimi anni.