I Locrian sono un duo (ora terzetto) di ambient-black metal dell’Illinois (Io li odio, gli ambient-black metal dell’Illinois!, verrebbe da dire). Nel giro di un lustro scarso hanno messo fuori circa una trentina tra vinili, split, EP, CD-R, musicassette, videocassette e looped tapes (ovvero cassette contenenti un loop per lato), il tutto ovviamente a tirature ultralimitate e con packaging strani e esclusivi che mandano in paranoia il collezionista. L’ultima looped tape, Land of Failure, è uscita in tredici copie. Immagino che chi ne sia entrato in possesso si senta un ometto davvero speciale. Gran parte del materiale è frutto di lunghe session live in studio semimprovvisate a base di feedback urticanti e praticamente ogni tipo di strumento tranne la batteria; il lato B di quasi tutte le loro cassette consiste nella stessa musica del lato A ma fatta girare al contrario, molte loro uscite sono intitolate ‘Land of‘ qualcosa, la loro etichetta personale si chiama ‘Land of Decay’, nel 2010 sono usciti con cinque dischi ma The Crystal World è solo il loro terzo album ‘ufficiale’ (gli altri sono Drenched Lands – 2009 – con una legnata di mezz’ora sinceramente maligna e inquietante, Greyfield Shrines (Version), finora il loro pezzo migliore, e Territories dello scorso inverno). È anche il loro lavoro più ambizioso, se non nei contenuti almeno nella forma: due CD per oltre un’ora e quaranta di durata, il secondo disco interamente occupato dalla sola Extinction, cinquantatré minuti e quaranta secondi di simpatia.
I primi sette minuti sono ambient dronata reboante e minacciosa, come trovarsi in qualche antro buio e tetro pieno di miasmi fumiganti; poi subentra un OOOOOOOOOOOOO molto cimiteriale sopra spirali di synth che si librano in aria come fuochi fatui: è il tappeto sonoro cupo e inquietante su cui si dipana un molesto shredding a metà strada tra un Mick Barr sotto sedativi e le prime masturbazioni di un ragazzetto norvegese rimasto folgorato dal black metal (quello marcio e cattivo e stupramadonne, quello dei dischi registrati in cantina con le copertine in bianco e nero e i testi in madrelingua che parlano di fiordi, foreste, Nietzsche e Satana). Altri 5-6 minuti e lo shredding si disfa in un vortice di scariche elettrostatiche gradualmente sovrastato da un intimidatorio pulsare analogico cui presto fa eco un suo omologo però più alto di tonalità condito da qualche scarichetta di feedback e altre sinusoidi elettrostatiche; ogni tanto fa capolino una terrificante tastiera stile In Slaughter Natives da balera. La cappa oppressiva montante viene quindi portata avanti, sfrigolio più sfrigolio meno (a un certo punto spunta pure un segnale acustico tipo il ‘bip’ del radar quando intercetta una nave), fino al minuto 30, quando compare a intervalli regolari una serie di lamenti effettati in una vocetta scartavetrata da spiritello con la raucedine; la musica smette, resta il susseguirsi oltretombale dei sussurri e i rantoli del folletto di cui sopra. Le evoluzioni laringee culminano in un’orgia di otto minuti di urlacci filtrati e ventate di rumore bianco, il tutto registrato a volumi altissimi Muslimgauze-style. Con le casse spappolate arriviamo al minuto 39 quando il maelstrom triturastereo si sgretola in un tripudio di fischi e smaterializzazione molecolare, di nuovo il radar ma con un segnale diverso (si vede che ha intercettato qualcos’altro, un elicottero forse), rumorini minacciosi, OOOOOOOOOOOOOOO, la sirena dell’attacco aereo, sfarfallio di scariche a random, BZZZZZZZZZZZZ BZZZZZZZZZZZZZZZZZ, macerie di suono, desolazione, buchi neri, oscillazioni, un’altra sirena però più forte, tipo quella di una nave da carico molto imponente, e il suono è triste, è il suono di una sirena che sembra stare morendo di noia, poi altri sfarfallii, il plin-plon di corde della chitarra pizzicate a caso, ancora un segnale acustico reiterato a intervalli regolari, tipo l’allarme di una centrale nucleare che sta per esplodere, il chitarrista torna a shreddare ma senza fretta, flemmatico, comunque apocalittico e foriero di oscuri presagi, folata di vento, quello sfrigolio di quando l’amplificatore settato al volume massimo butta fuori solo aria, ultimo sussulto del radar morente, fine.
Il fatto ironico è che il primo CD contiene invece le cose migliori finora incise dai Locrian dopo Greyfield Shrines (Version); sei tracce tesissime, concise (rispetto agli standard del gruppo) e ferali, autenticamente perturbanti e tenebrosamente imponenti. Sintomatico che il leak del primo disco sia immediatamente finito dritto sparato nei migliori rapidshare del pianeta, mentre di Extinction finora non vi è traccia; toccherà comprarlo. O fidarvi di noi.