La morte grippa, di musica non è bello parlare e altre cose del genere

nigga presi bene dalla vita

A sentirlo così, pare giusto infilarlo a forza nel mucchio dei nigga veramente incazzati  e con qualcosa più che il pregiudizio di un bianco merdoso qualsiasi a stanarlo fuori dal merdaio circostante. Fatto sta che davanti a obiettivi definibili meno che miseri (Mi Ami, Litfiba, Rolling Stone rivista, Sanremo) si sente il dovere e il bisogno di guadagnarsi il cumulo di droghe ed elettroshock mensili per, tipo, tre post in tre anni, e spargere violentemente i semi dell’odio. Da cui il fatto che, messa da parte la speranza di NON sostenere la campagna abbonamenti del Mucchio (né di Rumore, Blow Up o alcuna altra roba del genere), urge riconoscere che si è finiti sul pezzo  anche da queste parti. Il prossimo passo alla riconoscibilità totale del volemose bene nel volemose male sta forse nella forgiatura di una statua a grandezza naturale di – cazzoneso – Zach Hill, o uno qualsiasi del genere.
(E no, non c’è nessun insidejokes perché non siamo amici, non frequento i tuoi giri e non ti capisco quando parli)

Detto questo, visto che anche  gente tipo Roly Porter e Jamie Teasdale ha saggiamente (stocazzo) deciso di andare ognuno per la propria strada – strada che vede per l’uno massicce dosi di oscurità, droni industrialoidi, minacce psichico-tecnologiche varie e per l’altro la lingua fuori su culi luccicanti e pop e tremendamente d’ambiente – la strada, dicevamo, che è qualcosa di inferiore alla sottrazione delle parti che componevano Vex’d, ecco, per questo una volta in più è doveroso star dietro a sobillatori d’odio e rumore che abbiano voglia di far cagnara con modi musica e livore.
Il nome è Death Grips, la miscela è acida tipo hip hop sputato fuori a raschiare ugola e rancore. I testi sono primizie tipo “In the time before time eyes ‘bove which horns/Curve like psychotropic scythes/And smell of torn flesh bled dry/By hell swarms of pestis flies/Vomiting forth flames lit by/An older than ancient force /That slays this life with no remorse” o “Tie the chord kick the chair and your dead” e ancora “Cuz all I really need is some cool shit to mob /Like driving down the street to the beat of a blow job /I own that shit /On some throw back shit /You already know that shit /You even know ‘bout how I know the man /Who grows that, bitch ” , che manco un incrocio tra Sepultura e Michael Gira prima maniera renderebbero appieno. Sotto ci sono robe a tratti semplicemente grezze e momenti fantasmatici con strascichi di quelli che chiamano Steve Albini alla produzione e cose così. A farla da maggiore, comunque, a prescindere dai campionamenti, il rumore, l’overload e l’elettronica varia (compresa qualche parentesi di dancehall meccanica e catacombale splendida), è il senso di un disagio veramente concreto. Di  quei dischi insomma che ti fanno sentire ancora più di merda quando stai di merda; di quelli che consigli a pochi, fiducioso che se lo consumeranno digrignando i denti. Con in postilla l’augurio di un remix stile Kevin Martin dei momenti migliori, scansando e fottendosene della partecipazione di Zach Hill – sempre lui – alla faccenda.  E con un calcio in faccia per successo, magari, a Tyler the Creator e sodali. I tipi comunque, nel dubbio se ne sbattono e ti regalano anche chicche tipo questa. Oltre al disco stesso, certo.

Poi, cagate a parte, viene da ripensare all’asse Def Jux/Anticon dieci anni fa, a come pareva fosse la salvezza del rap, di una certa idea militante di comunità e stronzate così.  Oggi, su quelle orbite, spuntano fuori anche IconAclass (robe post-Dalek, belle ma easy) che non mantengono nemmeno un’oncia di quanto vorremmo promettessero.

Dunque, stretta di mano su stretta di mano, è sinceramente preferibile ri-chiamare in causa accoltellamenti fraterni stile b/metal e dintorni, piuttosto che, ancora una volta, doversi sorbire impunemente schiere di tabulae rasae ambulanti, con due gambe, twitter e qualche collezione di dischi.
Fuor di metafora: le corse a condividere e condividere e condividere il nuovo FBYC a furia di like, plaudendo alla rincorsa sociale di stocazzo senza ancora averlo ascoltato, il disco: SentireAscoltare che butta fuori nomi e cognomi sull’autoreferenzialità della scena (e tra l’altro giuro ho l’impressione che prima vi fosse la foto dei tizi semi-desnudi con le loro facce disegnate sui genitali) e/o rincara la dose egotistica di casa Teatro degli Orrori: Elio Germano in combutta con Teho Teardo:  Mark Stewart pre-ritorno The Pop Group a far sboccare con Bobby Gillespie: Bugo che via twitter la conta a scribi e sodali: Bastonate che diventa paradigma per gentiluomini e via di questo passo.

Segnali precisi dal profondo: è tempo di tornare all’ostilità, pura e semplice e totale. Senza occhiolini, strette di mano, comunanze farlocche, pompini vicendevoli e null’altro. Sempre in nome dell’ODIOpuro (non sociale, non sentimentale, non politico) in quanto modello conoscitivo e mai contro un nemico specifico che non sia il tutto.
Colonna sonora: l’ossessività e reiterazione e palude cerebrale incluse nel pacchetto Death Grips.
Tanto per il resto frega un cazzo, tra un po’ esce il nuovo Disquieted By, arriva la botta Johnny Mox, è fuori Bologna Violenta, Wallace ha sfornato pure l’ultimo Miss Massive Snowflake e io  torno felice.
Benché l’odio e il disprezzo sincero per la comunità rimangano, certo.