L’11 agosto un attacco di cuore ha posto fine alla tribolata esistenza di Bruno Schleinstein, meglio conosciuto come Bruno S.
Figlio indesiderato di una prostituta, che lo massacra di botte fino a renderlo temporaneamente sordo in tenerissima età, Bruno trascorre l’infanzia, l’adolescenza e parte della vita adulta tra orfanotrofi (prima), manicomi (poi) e galere (durante), un percorso di vita che avrebbe suscitato l’invidia di Edward Bunker e lo sdegno di Franco Basaglia, al termine del quale si ritrova a guidare il muletto in una fabbrica di pezzi di ricambio metallici per sbarcare il lunario; alla sera e nei fine settimana gira per bar suonando e cantando le sue canzoni – in larga parte autobiografiche – con l’ausilio di fisarmonica, xilofono e una serie infinita di strumenti autocostruiti in puro Moondog style (ma senza i deliri cosmologici). Ultraquarantenne viene scoperto da Werner Herzog, in quel periodo in pieno trip lavorare con personaggi ‘estremi’ (voglio dire ancora più del solito: nel giro di un paio d’anni aveva girato, nell’ordine, un documentario sulla vita di una sordocieca, uno su un istituto per bambini gravemente handicappati, il primo film con Klaus Kinski con annessa minaccia di morte nel caso quest’ultimo decidesse di abbandonare il set, e per finire un’intervista al campione mondiale di salto con gli sci). Prevedibile reazione di fronte all’ipotesi di poter lavorare con un matto vero: lo scrittura immediatamente come protagonista nel terminale L’Enigma di Kaspar Hauser. Il film viene inserito in concorso al festival di Cannes 1974; vincendo le iniziali ritrosie da parte di Herzog, Bruno parteciperà alla premiazione (Kaspar Hauser otterrà il Grand Prix Speciale della Giuria) e conseguente circo mediatico di interviste, servizi fotografici eccetera, diventando così la riproduzione reale della parabola di John Merrick nella seconda parte di The Elephant Man: un predestinato ai bassifondi in libera uscita, giocattolo anche un po’ repellente da mostrare a milionari annoiati, turisti incuriositi e spettatori casuali in genere. Curiosamente, è pure la stessa sorte che tocca al personaggio da lui interpretato nel film, un cortocircuito che annulla definitivamente ogni residua barriera tra messa in scena e realtà: Bruno S. è Kaspar Hauser, e viceversa.
Il sodalizio con Herzog prosegue nell’ancora più radicale, negativista e spietato La Ballata di Stroszek, scritto dal regista in quattro giorni, pare, per compensare Bruno della mancata partecipazione alla rendition cinematografica di Woyzeck, allora in fase embrionale (il ruolo poi andrà a Klaus Kinski); ancora una volta Bruno interpreta sostanzialmente sé stesso, un emarginato in lotta costante contro la società infinitamente crudele da cui cerca di difendersi ogni giorno, guerra che si riconosce impari fin dal primo momento. Stroszek è il ruolo che proietta la figura di Bruno S., e quindi la sua vita, nell’olimpo dei massimi credenti bastonati dalla sorte in ogni tempo e in ogni luogo, dei Robert Neville, degli R.P. MacMurphy, degli Umberto D., di tutti quelli che riescono a trovare la forza, giorno dopo giorno, di rappresentare sempre e nient’altro che il proprio Io disperato.
Il problema con Herzog è che, non appena si rende conto di avere esaurito le motivazioni dietro un progetto, dunque sente il bisogno di correre dietro a qualcos’altro – possibilmente ancora più folle e scriteriato – ha un modo decisamente sgradevole di chiudere i rapporti: all’improvviso e in maniera irrevocabile, senza alcuna spiegazione. Convinto (chissà, magari pure a ragione; comunque non lo sapremo mai) che la partnership con Bruno avesse esaurito la sua spinta propulsiva, il volitivo bavarese molla gli ormeggi e abbandona il matto miracolato al suo destino senza pensarci due volte. Da par suo, Bruno viene lentamente dimenticato da tutti (cinefili e addetti ai lavori in primis) e torna – bisogna dire con la dignità intatta – a fare quel che sa, dove sa: riprende l’inesausto errare tra bar e baretti suonando le sue fragili canzoni piene di orrore. Col tempo guadagna anche una certa fama come pittore nel campo dell’outsider art.
È in qualche maniera un cerchio che si chiude l’ultima apparizione in video di Bruno S.: un documentario, proprio come agli inizi (Herzog infatti lo scoprì grazie al fantomatico Bruno der Schwarze, pellicola di tale Lutz Eisholz su una banda di musicisti di strada capitanata – per l’appunto – da Bruno ‘Il Nero’). Bruno S. – Estrangement Is Death racconta la vita dell’uomo dopo che le luci della ribalta hanno smesso di brillare, senza patetismi ma anche senza alcuno sconto; vedere il degrado in cui Bruno conduce la sua esistenza è un rospo difficile da mandare giù in qualunque modo la si voglia mettere.
Cercando notizie sulla sua morte mi sono imbattuto in questo articolo (il sito è in tedesco); nell’ultima foto Bruno indossa una t-shirt di J Mascis & The Fog. Mi venga un colpo se riesco a spiegare perché, ma secondo me questa cosa ha un senso.
Tag: stato di assedio totale
DISCONE: Robert Hood – Omega
Loro sono organizzati
Tu difenderti dovrai
(Steno)
Se mai esistesse la categoria “disco necessario“, Omega sarebbe l’unico a entrare a farne parte – perlomeno da oggi fino a, boh, probabilmente per sempre. È il 2010 e noi siamo questo. Non c’è altro da dire, non c’è altro da dire. E, se c’è, non credo di avere le parole per dirne. Disco dell’anno. Del decennio.
With a little bit of luck
We can make it through the night
(MC Neat)