Session 9 (2001) è uno dei film più inquietanti e genuinamente disturbanti degli ultimi anni (nonché tra i più radicali e autenticamente problematici mai concepiti sulle origini e le ragioni profonde alla base del male); realizzato con spartana essenzialità di mezzi (ma con una telecamera digitale allora di ultima generazione) e con un bizzarro cast all-men capace di mettere insieme carne da sottoproletariato inglese alla Ken Loach (il protagonista Peter Mullan), minuscole star di certo cinema indie americano non allineato (il protégé di Todd Solondz Brendan Sexton III, c’è anche una veloce comparsata di Larry Fessenden) e vecchie glorie della B più fiera e indomita che inconsapevolmente si preparavano a finire in qualche telefilm del cazzo (David Caruso, Paul Guilfoyle), il film ha solide fondamenta in uno script a prova di bomba – opera del co-protagonista Stephen Gevedon e del regista Brad Anderson – ma guadagna ulteriore efficacia grazie a un’azzeccatissima scelta della location all’interno della quale si svolge il 99% della vicenda: un (autentico) manicomio abbandonato. Per un commento sonoro all’altezza della situazione, lo scaltro Anderson commissiona lo score ai Climax Golden Twins da Seattle, sigla dedita fin dal 1994 a oscure esplorazioni in equilibrio tra field recordings, drones, musica “trovata” e dark-ambient. Il risultato è ineccepibile: oltre ad abbinarsi perfettamente alle immagini, accrescendone la carica di angoscia fino alla soglia del fastidio fisico, il lavoro mantiene intatti coerenza, persuasione e fascino anche slegato dal film, diventando in tal caso “soltanto” un grandissimo disco di dark-ambient tetra, negativista e disperante, con più di un momento capace di rievocare una pietra angolare del genere come The Monstrous Soul, realizzato quasi dieci anni prima da Lustmord con il fondamentale apporto del leader dei ClockDVA, Adi Newton. Session 9 è un disco che, da solo, manda a casa praticamente tutto il catalogo Cold Meat Industry (si salvano giusto i Brighter Death Now, In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi di Mz.412 e pochissimo altro). Non bastasse, l’ultimo brano in scaletta è il fondamentale Piece for Tape Recorder (1956) del pioniere della tape music Vladimir Ussachevsky, semplicemente uno dei momenti più terrificanti di tutta la storia della musica, al confronto del quale – giusto per cercare di rendere l’idea – cose come Plague Mass di Diamanda Galàs, lo stesso Lustmord o Guernica Macrocosmica di First Human Ferro diventano canzoncine di natale. In seguito, né Anderson né i Climax Golden Twins riusciranno a bissare i livelli di eccellenza qui raggiunti; il primo mantenendo intatto il talento visivo ma perdendosi in progettini senza nerbo(L’uomo senza sonno, buono giusto per far mettere a dieta Christian Bale, qualche telefilm, uno scialbo episodio di “Masters of Horror” e un film, Transsiberian, che qui non è mai arrivato); i secondi accentuando gradatamente la componente “musicale” e “rock” del proprio suono, arrivando in certi casi a sembrare un incrocio tra gli ultimi Nurse With Wound e una versione non pallosa di roba tipo Silver Mt. Zion. In ogni caso roba triste.