Scoiattoli che si menano in copertina – e già me dà ar cazzo. Poi penso a quel pezzo di 1000 Hurts sugli scoiattoli (…real squirrels/and they were thousands…) e sono indeciso se archiviare la cosa nella sezione “genio” o in quella “disagio mentale”. O, terza possibilità, in quella “spiritosaggini da ragazzi sicuri di sé”, ironie di merda che significano robe tipo, Facciamo musica serissima e intellettuale, roba PENSATA, e siamo convinti di essere i migliori ma fino a un certo punto, oltre il quale ci cachiamo sotto e perciò ci poniamo con un atteggiamento sia sbruffone (“fa tutto schifo, tranne noi e gli SQUIRREL Bait”) che ostentatamente understatement (“abbiamo SCOIATTOLI in copertina e i pezzi parlano di temi buffi”). Non so se si è capito, ma è la terza opzione quella vera. E significa che gli Shellac sono dei mediocroni, delle mezze tacche, dei topi (scoiattoli) che oggi ballano perché i grandi veri sono morti o in prigione, quel processo che nella musica succede anche in altri ambiti, tipo che i tizi del Pop Group oggi fanno la figura dei gigantoni del post-punk perché tanto i Joy Division cor cazzo che li vedi, o tipo James Taylor o Donovan che sfruttano la morte di Dylan a proprio vantaggio, o ancora Paoli che dopo la morte di Tenco si prende tutto il piatto, e Vecchioni che vince Sanremo a FABER morto, eccetera.
Nella mia vita, i miei momenti più inutili e vuoti sono stati quelli passati viaggiando in città di merda (di norma Bologna, che odio visceralmente, soprattutto a causa di quel passaggio maròne che porta dalla piazza della stazione alla strada lunga e dritta, quel passaggio attraverso la corte di un palazzo dove c’è una lirberia di remainders che è la più perfetta immagine della depressione che possa esistere), dietro a gruppi del cazzo che mi sentivo in dovere di vedere in concerto. Gli Shellac li vidi in una di queste occasioni, che sarebbe stata poi la prima di tipo cinquanta ma non lo sapevo ancora, mi sembrava un’occasione unica all’epoca, e quando si misero a fare i minchioni giocando con i pezzi della batteria – “Ehi non siamo bravi davvero, non criticateci” – concepii in me un pensiero d’odio per loro che ancora mi porto dietro. Perché ragazzi, vaffanculo, basta con questa storia che siamo lì fuori per DIVERTIRCI, il rock è una cosa seria, e come tutte le cose serie obbedisce alla legge GENIO O MORTE, o in altre parole, non ce ne facciamo niente dei TALENTINI quando possiamo avere Kurt Cobain. (Con i “talentini”, pensai molte ore dopo, occupiamo metri e metri di scaffalature piene di dischi inutili. Mio figlio ha l’abitudine di tirare giù i cd e di lanciarli fortissimo a terra. Tendo a incazzarmi, ma quando vedo che in fin dei conti sta solo dando un senso – il gioco – a roba tipo Oneida, o Don Caballero, non posso far altro che passargli anche i Tortoise).
Il math-rock sono le scienze politiche della musica, nel senso che in nessun altro genere si verifica così tanto spesso la sequenza “ragazzi con un po’ di talento che obbedendo a regole rigide e assurde finiscono per fare robaccia autoreferenziale e inutile, ma senza un grande dispiego di energie”: non è free-jazz (filosofia analitica), non c’è bisogno di studiare poi così tanto per produrre noia. A dire la verità, non sono certo che gli Shellac facciano math-rock, anzi credo di no, ma uso consapevolmente questa definizione pensando con gusto al tipo di persone che ne potrebbe essere irritato (se ti irrita qualcuno che sbaglia una definizione come math-rock a proposito di un gruppo come gli Shellac, sei di sicuro un nerd fottuto che ha letto Jeremy Bentham o Kant del cazzo, e urla EGUALITARISMO mentre l’Isis gli taglia la testa). Ma sia quale sia il genere, gli Shellac fanno musica quadrata e geometrica come la testa di Steve Albini, che in questo disco, per onestà, SPIGNE come forse mai prima. Insomma, il disco è una bomba, e quelli in copertina non credo siano scoiattoli. (8, che poi se non mi sentissi in dovere di ritenere comunque un disco anni ’90 – Terraform – il loro migliore, direi che il loro migliore è questo, nel senso che grossomodo è quello che ti aspetti da loro, solo in modo attuale e in super-tiro)