La crisi del libro, la morte dei lettori, l’e-book e la fine della parola stampata. Il crollo delle vendite, il quarto anno di crisi nera, il meno venti percento dei lettori e l’Italia ultimissima nella speciale classifica. Lanciano l’allarme un po’ tutti, un po’ tutti si agitano allarmati, il sindacato mondiale dei lettori, l’associazione degli scrittori, i puliscipenne e l’associazione italiana editori. Associarsi è la parola chiave, associarsi per trovare una forma nuova, associarsi come socializzare, scoprire i social come nuovi caratteri mobili, esplorare letture condivise e sociali e miniaturizzare lo spazio della pagina entro pochi frames. Rimettere al centro del libro il lettore, puntare sulla qualità, dis-connettersi e re-imparare la voluttà del polpastrello sulla carta. E l’educazione, ricordiamo l’importanza dell’educazione, la scuola non è più il luogo dove il professore ti insegna ad amare un autore, ma quello del selfie – e occorre rifondare la piccola editoria, dar più soldi alle gilde degli stampatori, reintrodurre il torchio, fare guerra totale ad Amazon, restaurare il libraio di fiducia come guida spirituale (maestro, complice) che ti consiglia sui libri
(non c’è un cazzo da consigliare sui libri, i libri da leggere effettivamente saranno pur tanti, ma pur sempre quantificabili in un numero finito affrontabile in una vita di lettore anche piuttosto breve – non so, dai 15 ai 40 ci sono 25 anni, ti fai 500 libri senza troppo sforzo, soprattutto considerando il fatto che quasi ogni libro arrivato a pagina 60 – 100, 140 per quelli più lunghi o lunghissimi – puoi dire di averlo letto, e quelli per cui c’è bisogno di arrivare alla fine, non so Stephen King, non so, Ellroy se piace il genere – a me no – alla fine si leggono facilmente; bè, ritengo non ci sia bisogno di nessun viscido libraio che ti sorprenda alle spalle mentre tu stai guardando tranquillamente gli scaffali ARCHEOLOGIA o RANOCCHIE, mettendoti in mano un Tenera è la notte qualsiasi – sempre che ti metta in mano Tenera è la notte e non qualche sua scoperta recente, quello scrittore boemo o peggio irlandese (di lingua irlandese) o peggio italiano che ha le stesse chance di entrare nel Canone occidentale di quante ne abbia io di farmi eleggere al parlamento europeo; sempre che ti metta in mano Tenera è la notte, dicevo, perché altrimenti, oltre che inutile, il libraio sarebbe deleterio)
sono tornato dalla Buchmesse carico di sogni, idee e prospettive: nessuno dei quali relativo all’editoria, si tratta di roba che avevo già. La Buchmesse di Francoforte i sogni te li toglie, la Buchmesse è un enorme spazio popolato da donne o uomini, tedeschi oppure vestiti con abiti di foggia spagnola (quel design tondeggiante amato dagli operatori del MERCATO DELLA CULTURA) oppure non europei, tutti lì per lo stesso motivo, dire/ascoltare cazzate come quelle elencate all’inizio, e compravendere diritti di traduzione di libri inutili in furiose trattative di mezzora l’una. In preda a una trance isterica, ho preso parte ad alcune di esse, mentendo su particolari irrilevanti pur di farla breve (“You are not Roman are you?” “No, no”), esprimendo una forte simpatia per filippini, argentini e rumeni (non che sia vero il contrario, ma insomma), venendo maltrattato da un indiano e conversando in inglese alla velocità della luce, il mio inglese che si disfaceva nel corso dei minuti, così che le conversazioni iniziavano con me che dicevo I’M PLEASED TO MEET YOU (“meet you” pronunciato MICCIA come gli inglesi veri) e terminavano con un diverso me emettente suoni tipo SBOTTH SBOFF, del tutto incapace di rispondere a domande di puerile facilità tipo “Allora ci mandi tu una email o vuoi che ti scriviamo noi?”. A un inglese, un agente letterario, un vecchio lupo di mare che sembrava leggere nella tua cazzo di mente prevedendo con esattezza il tuo sciocco business plan, ho cercato anche di fare la battuta, volevo dire, oh scusi per il fatto che sto dimenticando l’inglese mentre parliamo, ma mi è uscito solo SOOO SBOTTH, e lui ha guardato il pavimento, e poi lo ho guardato anch’io, e non ho capito in fin dei conti chi debba scrivere a chi, dopo.
Avevo letto, nei commenti al mio albergo, che Francoforte era una città di merda piena di tossici pericolosi, e non ci avevo creduto. Francoforte è in realtà una città di merda piena di tossici pericolosi e altra feccia non tossica. Giovedì sera pioveva, a me si è rotto l’ombrello mentre uscivo dalla Fiera, e mentre ero lì che traccheggiavo sono stato assalito da tre tizi che si fingevano poliziotti, e preso dal panico sono fuggito su uno stradone gigante chiamato mi pare EUROPASTRASSE, voltandomi patetico per vedere se mi seguissero e totalmente incapace di fare altro che andare alla deriva nel buio, sotto la pioggia e cieco (avete presente, se portate gli occhiali, cosa significa l’acqua sulle lenti?). Sempre che non fossero davvero poliziotti.
Quello che si presentava alla Fiera la mattina successiva, con indosso una giacca bagnata (“Have you been attacked and chased in the rain all along Europastrasse?” “No, no”), era ancora un altro me, spogliato dei più elementari requisiti di umanità dopo l’ultima notte, un me attaccato, un me fuggito, un me arrivato a piedi attraverso la città più marrone d’Europa. Giusto il tempo di mentire ai gentili ragazzi che effettuavano un sondaggio per lo staff (“Hai trovato utile il fatto che col biglietto della fiera i mezzi pubblici fossero gratis?” “Yef” – mi viene sempre la zeppola quando sono in imbarazzo) e di provare il mio tedesco al bar (“Einen Kaffee bitte” “[Qualcosa in tedesco]” “SBOOOOTHH”) ed ero di nuovo nel gorgo degli appuntamenti. Ho fatto battute (in parte capite), sorriso genericamente, disposto con liberalità di un potere decisionale non mio, prima di ritenermi soddisfatto e buttarmi catatonico su una panchina, aspettando che il tempo passasse, gettando parte dei cataloghi e dei biglietti da visita ricevuti.
La Buchmesse è, prevedibilmente, una perfetta sintesi del mondo, a sua volta perfettamente riflesso nella sua editoria. Gli inglesi e gli accademici del mondo civilizzato sono allo stesso tempo rigidi e, in qualche modo, divertiti – una CAMBRIDGE che ti spara IL CAZZO DI SCUDO COI LEONI, ancestrale e antichissimo, in formato gigante, è la stessa che poi propone la storia culturale delle bacchette cinesi – il che è lieve, cazzone, benché – immagino – scientificamente irreprensibile, proprio come è la senescente élite culturale occidentale. Gli americani sono in genere affabili e multiformi, i tedeschi miti e assassini, i giapponesi hanno dei tagli di capelli da paura ma sembrano irrilevanti, e la Francia se ne sta lì, in un padiglione appartato, a farsi con eleganza i cazzi suoi. Ho scoperto che gli indiani, come i ciccioni, sembrano buoni e dolci ma sono in realtà dei pezzi di merda (un indiano mi ha trattato male e da questo traggo una generalizzazione che trasmetterò ai miei figli), che i filippini sono dei grandi e sanno pronunciare la F se vogliono, che esiste un’editoria persino in Nigeria e che gli arabi pubblicano libri tutti uguali sulla vita degli sceicchi (gli arabi hanno l’aria di pagare i redattori 50 euro all’ora, e perciò dichiaro che IL GOLFO È UN’OPZIONE – questo prima di trasferirmi nel Golfo e scoprire che le case editrici hanno uno staff di stranieri pagati in ciotole di grano e costretti a spostare i caratteri di stampa – ancora in piombo – con le ciglia). Gli italiani sembrano star lì e aspettare contributi di stato. Quello che accomuna tutti è una generica frenesia, che non mi sembra avere altri contenuti oltre al tentare di dare l’impressione che, a fronte di questo COSÌ NON VA MA NESSUNO SA DOVE ANDARE che sembra dominare tutti, in qualche modo si sta procedendo per la strada giusta.
Le riflessioni di cui sopra, fatte con la faccia seria, sono messe lì giusto perché detesto quei pezzi autoreferenziali dei blog in un cui un nessuno qualunque racconta le sue insignificanti esperienze personali. Avevo il volo di ritorno alle sei di mattina, a 140 chilometri dalla città, e l’opzione più ragionevole mi era sembrata andar lì verso l’ora di cena e passare la notte buttato da una parte. L’esistenza in aeroporto di un albergo con camere libere segnava l’evento di gran lunga più positivo della mia vita recente, redimendo all’istante i miei peccati e riempiendomi di idee e prospettive per un mercato editoriale in crescita (ho dimenticato tutto dormendo). Ho l’impressione che ci ritroveremo tutti a Francoforte tra un anno, e poi due e cinque, finché qualcuno non avrà LA BUONA IDEA, davanti alla quale sbalordiremo, prima di accodarci. C’era l’Oktoberfest in Germania, e sono entrato al gate riposato e bello tra file di tirolesi che dormivano sulle panche. Mi hanno suonato le scarpe al controllo, ma vicino a me in aereo c’erano due monaci induisti, con vecchi libri di preghiere rilegati, io stavo andando a casa, e niente, in fin dei conti, stava andando male.