100 canzoni italiane #4: VITA SPERICOLATA

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La sera della finale del Festival, vicino a casa mia suonava Toni Cutrone. Sono rimasto in casa a guardare il Festival, non nutrivo speranze sul fatto che la musica che avrei sentito sarebbe stata più interessante, non ero particolarmente ben preso per commentarlo su twitter (l’ho fatto comunque con gioia); volevo vedere il Festival. Mi piace Sanremo, mi piace la canzone italiana. Non è sempre stato così, ma per la maggior parte della mia vita sono cresciuto col festival e l’ho amato, sono stato dentro alla cosa, giudico le canzoni, compro la compilation, mi faccio la classifica eccetera. Molte sono canzoni brutte o patetiche, molte rappresentano (forse) qualcosa che mi fa schifo, ma suppongo che certe cose che amo io facciano schifo ad altri. Mi dispiace un botto non essere andato a vedere Toni Cutrone, ma non c’è mai stato davvero dubbio.

La vittoria de Il Volo non è andata giù a un botto di persone. Sono persone che vivono attivamente la musica, la respirano in ogni momento della loro vita in questo stream continuo senza pause. Guardano il festival con gli occhi disillusi di chi non ride alle battute dei Pintus e dei Siani perchè conoscono e praticano George Carlin (a controprova, s’incazzano se Siani sfotte i bambini ciccioni); vantano opinioni lapidarie ed elaboratissime in merito ad ogni canzone, sanno comprendere i rimandi dei testi, le parentele degli arrangiamenti, le radici di ogni artista. Probabilmente l’ultimo disco che hanno comprato l’han pagato in sesterzi, ma hanno un’esperienza ed una passione molto superiori alla mia. Alcuni di loro sono troppo post per saper dire cosa ci fanno di preciso davanti allo schermo; altri sono assolutamente persuasi del fatto che le due edizioni Fazio abbiano contribuito in modo attivo alla musica italiana. Altri stanno davanti allo schermo per godere di uno spettacolo trash, non sono disposti a partecipare attivamente all’emotività del singolo pezzo (al limite son disposti a recuperarla quindici o vent’anni dopo), misurano tutto in gradi di peggio e all’una del sabato commentano ve lo meritate Il Volo con l’amaro in bocca. Sono sempre gli altri, a meritarsi Il Volo.

Queste persone, magari non voi ma i vostri fratelli sì, sono straconvinte che esistano due Italie. Una è quella caciarona e invertebrata con cui entrano in contatto saltuariamente, il cosiddetto paese reale, che si rivolta saltuariamente e scende alle urne e vota gentaglia tipo Renga o Il Volo o Matteo Salvini: milioni di persone a cui personalmente toglierei il suffragio domani pomeriggio. Li riconosciamo ad occhio nudo in giro per le strade, sono tatuati come dei maori, hanno la barba incolta e un taglio di capelli da calciatore, guidano SUV bianchi di sottomarca a metano, tentano di scopare possibili modelle anoressiche con un accento romagnolo terrificante, odiano froci negri e ciccioni e se leggono un libro è di Fabio Volo. L’altra Italia è quella di chi resiste e di chi produce cultura attivamente e si mette in gioco in prima persona. Vivono e lavorano per cambiare questo paese, percepiscono come segno di arretratezza il fatto che in Italia non ci siano Netflix e il Primavera Sound, lavorano attivamente per far sì che questa situazione cambi (o almeno avere un accredito per il Primavera spagnolo) e boh, stasera sono qui perché ci sono opinioni da spacciare. Ecco, il festival di Sanremo è utile a dimostrare che questa seconda Italia, in realtà non esiste. È un pezzo di carne attaccato al collo della prima Italia, e la prima Italia è l’unica che c’è; è un sottoinsieme di allineati straconvinti di non esserlo, liberi pensatori che leggono gli stessi libri e guardano le stesse serie TV. Non fanno paura a nessuno perchè non sono organizzati, si riconoscono a vicenda ma si malsopportano e fanno a cazzotti per un tozzo di pane. E quando sono fuori nel mondo sono comunque mediamente gentili, quindi non danno alcun fastidio. Anche io e voi ne facciamo parte, eh.

(probabilmente siete meglio di come vi dipingo, ma se vi chiedessi di mandarmi una vostra foto con in mano un disco originale di Malika Ayane vi prenderei in castagna)

Non è tanto la dittatura dei numeri a squalificare le opinioni degli esperti. Non è la vittoria del Volo o la carriera del Volo da qui in poi o i numeri pazzeschi degli spettatori in questa edizione. Piuttosto, è il fatto che se ci limitiamo al concorso questa edizione è di qualità assolutamente paragonabile a quella del 2014 e (spoiler) del 2016. Non so dire se la vittoria del Volo (il peggior gruppo salito sul palco quest’anno, su questo sono senz’altro d’accordo) sia più utile o dannosa alla Causa della MUSICA, in senso assoluto, di quanto avrebbe potuto esserlo quella di Moreno. La vittoria del Volo mette al sicuro la musica da Sanremo: potete continuare a fare dischi bellissimi e non cagare il festival. Sicuramente è bello pensare alla faccia di chi s’aspettava che il nuovo rap italiano, il fenomeno giovanile italiano di maggior rilievo del decennio in corso, sarebbe andato a Sanremo nel 2015 a fare bruttissimo. Ecco, è bello pensare che questi teorici del cambiamento a cazzo di cane se ne siano tornati a letto con le pive nel sacco. E al contempo è bello pensare che il rap italiano eviterà in blocco, com’è giusto, il momento di autoanalisi e continuerà a concentrarsi sul fare quanti più clic possibile su youtube o sul fare qualcosa di quanto più grande possibile nei contesti ad esso riservati. Questa settimana ho ascoltato cinque bei nuovi dischi italiani e immagino che saranno tutti molto meglio del disco di Annalisa, che contiene la miglior canzone del Festival. Ho visto il concerto di un gruppo che suonava molto più forte di Masini Grignani e NECK, i quali comunque al Festival sono stati più eroici e cazzuti di tutti gli altri e mi hanno segnato dentro e mi hanno spaccato il culo; il mondo non è una realtà televisiva aumentata e non mira particolarmente ad esserlo. Credo che sia un bene.

Vasco Rossi era già stato a Sanremo in un contesto tra il comico e il surreale, con Vado al massimo, l’anno precedente. Poi ci ritornò all’epoca di Bollicine: non so niente della biografia di Vasco Rossi, ma credo che ai tempi ci fosse un briciolo di elettricità nell’aria. Vita spericolata doveva avere un altro testo, una cosa su una ragazza. Poi Vasco Rossi ebbe l’idea di quel testo e la portò a Sanremo. Vita Spericolata è puro Festival: ha un arpeggio malinconico, un’interpretazione sofferta e un ritornello assassino. Per molti è la cosa più rivoluzionaria passata su quel palco nell’ultimo trentennio, io queste cose non ce le riesco a vedere. Gli occhi, invece, quegli occhi erano un film dell’orrore. Credo che ai tempi disturbassero anche più di quanto lo facciano oggi, che lo spettacolo fosse molto più confezionato di oggi e quel ragazzo sconvolto e stazzonato negli abiti rompesse le uova nel paniere molto più di quanto abbiano mai fatto gli altri.

Il concetto di generazione mi sfugge. È diverso a seconda del campo di studio, nella musica indica all’incirca una tendenza quinquennale secondo la quale bisogna essere tristi o felici o elettrici o acustici o digitali, niente di troppo complesso. Vasco Rossi non è mai stato la mia cosa, proprio lo detesto a dire il vero: detesto quel genere di musica lì, quel misto di rock e canzone italiana straconvinto di parlare ai giovani. Nelle parole di mio padre Vasco Rossi ha rovinato un’intera generazione, e credo non sia vero ma come faccio ad esserne sicuro, magari ai tempi potevi farti rovinare la vita da una canzone, o magari semplicemente la musica rovina le vite e lui l’ha fatto con più vite perchè era più popolare. Boh. Mio padre diceva che sarei dovuto diventare ingegnere, che avrei potuto guardare tutti i miei amici dall’alto al basso, e credo che scoprire che non avrei fatto studi d’ingegneria l’abbia ucciso in qualche modo. A guardare indietro sembra che io abbia vissuto la mia vita facendo apposta cose che l’avrebbero fatto incazzare, ma su Vasco Rossi abbiamo la stessa opinione. Per motivi diversi, ok. In Emilia è arrivata prima l’eroina o Vasco Rossi? Difficile a dirsi. Negli anni ottanta le persone morivano di overdose nei cessi pubblici, nelle periferie tutte le famiglie erano toccate dal problema. Vasco Rossi cantava delle canzoni, qualcuno ci sentiva un disagio, qualcuno ci sentiva un idiota, qualcuno ascoltava altro. Poi andò a Sanremo e cantò quella canzone con il male dentro gli occhi e poca coscienza di sè.

Il palco di Sanremo, come spesso si legge, è difficilissimo. Nonostante io appartenga a una categoria di snob decerebrati ho accettato da un pezzo che sia un palco difficile perché è democratico. Quelli che ascoltano la tua canzone sono carpentieri, postini, madri di famiglia che comprano la deluxe edition della Nannini a natale, giornalisti musicali, accademici di prestigio, perdigiorno col cappello a rovescio e anche tutti gli altri. Tutti meritano la musica esattamente quanto la meriti tu, pochi di loro hanno interesse a spulciare Soulseek la settimana successiva. Il loro giudizio è determinato dai quattro minuti che hai a disposizione. Non ha importanza quale sia la tua storia, se i dischi che hai venduto si misurino in unità o milioni, né se sei una bella o una brutta persona. Quello che conta a Sanremo è la canzone che hai portato, la tua capacità di cantarla e il modo in cui stai su quel palco. L’ultima sera vai a finire in una graduatoria che dice quanto hai contato per le persone che erano a casa; non hai modo di costruire consenso, nemmeno i giovanotti dei talent (le canzoni che non piacciono non vanno avanti, puro e semplice). Disprezzo i rocker alternativi che sono andati a Sanremo senza alcun rispetto per la manifestazione, i vari Afterhours che ci andavano a dimostrare politicamente l’esistenza di una minoranza che a Sanremo c’è andata solo a svilire se stessa. I Bluvertigo, i Marlene Kuntz che mandano un comunicato stampa per spiegare che nel loro sistema cognitivo è una cosa punk. I Subsonica ebbero il coraggio di affrontare il palco con la loro canzone migliore. I Perturbazione ci han provato per anni ed erano contenti come delle pasque. Il Volo è più o meno la stessa cosa, ma al contrario: carichi come delle bestie, voci potenti, rock tamarrissimo, epica oltre il livello di guardia. A me fanno vomitare, ma la platea del teatro ha reagito istantaneamente e s’è spellata le mani.

Il resto è contorno, gradevole o sgradevole a seconda dei casi. Disprezzo i comici scrausi di quest’anno, disprezzo le guerre dello share, disprezzavo il tentativo di Fazio di inculcare cultura ad un popolo che segue solo il cambiamento delle ere geologiche, disprezzo le lamentele di chi vorrebbe un festival più internazionale che somigliasse alle decine di video che guardiamo sul tubo, sognando ancora l’America come i migranti e Claudio Cecchetto. Sono cose che funzionano e non funzionano, servono a dare l’idea di un evento che non sia solo canoro. Tiziano Ferro è salito sul palco e ha detto che la musica deve raccontare delle storie.

In ordine di bellezza, il mio Festival 2015: Marco Masini, Annalisa, Grignani, Raf, Nina Zilli, NECK, Nesli, Malika Ayane, Bianca Atzei. Gli altri stanno più in basso. La serata delle cover è stata tra le miglioridel passato recente: Grignani mi ha strappato il cuore dal petto, NECK ha fatto una cosa mostruosa, Masini commovente, Annalisa perfetta, Malika Ayane grandiosa.

Vasco Rossi arrivò bassissimo in classifica, poi iniziò a vendere un sacco. Certe cose funzionano bene in Italia e male a Sanremo. La sua canzone e quel testo bruttissimo diventarono uno strano manifesto che toccava al cuore giovani ribelli e vecchi cantautori bacucchi; le è bastato lasciare il Festival e arrivare nei posti per cui in fondo era stata pensata, gli stadi pieni di fanatici adoranti che la cantano a squarciagola mezzi dilaniati dal Tavernello introdotto abusivamente. Disprezzo queste persone ma una volta Vasco lo vidi pure io. Rimini, tour deGli Spari Sopra, molto pittoresco. Il giorno dopo suonava Ligabue, qualche mio amico si fece la doppietta.

IL LISTONE DEL MARTEDÌ: dieci dischi di quest’anno che GRAZIE AL CIELO non ci porteremo dietro il prossimo anno.

beccati questa kotekino

Ad essere sincero questa settimana avevo mezzo preparato una lista di pezzi che provassero l’idea che mettere insieme calcio e musica rock fosse l’idea più stupida di sempre, e l’avevo fatto solo per inserirci Seven Nation Army e soprattutto Umbabarauma dei Soulfly (ve la ricordate? JOGA BOLA, JOGA BOLA, JOGADOR. Ai tempi sembrava qualcosa di rispettabile). Poi ho pensato che finito l’europeo avrei ri-smesso di essere uno dei cinquanta milioni di commissari tecnici italiani e sarei tornato a quell’attitudine tipo il calcio è una merda il vero calcio non esiste più io non ho tempo per queste cazzate mi dedico ai PROBLEMI VERI io. Assecondando questa mia attuale botta di impegno sociale, la presente è una lista di dischi che io o voi (o comunque qualcuno) abbiamo amato nel corso dell’ultimo anno solare, e che l’anno prossimo ci vergogneremo come cani di avere amato. Lo staff di Bastonate, nella persona di chi firma, si assume tutta la responsabilità delle opinioni sbagliate (ve piacerebbe) in seno alla lista, e ammette che in almeno quattro casi su dieci i dischi inseriti sono sassolini che ci togliamo dalle scarpe con fare rabbioso, abilmente bilanciati da altri dischi che invece amiamo alla follia e inseriamo per pararci il culo o perché abbiamo una tremenda opinione di noi stessi, e il fatto di averlo scritto non significa necessariamente che lo stiamo pensando. Diamo la precedenza a dischi usciti negli ultimi sei mesi, ma ci sono eccezioni. Un’ultima cosa: abbiamo volutamente lasciato fuori alcuni casi macroscopici tipo Il Teatro degli Orrori o DiMartino o sa dio che altro perchè le sacche di fanatismo sono quasi esclusivamente limitate ad un pubblico di appassionati specifici con cui non parliamo spesso e/o gente che non ha mai capito un cazzo di musica.

AFTERHOURS – PADANIA

Non riesco a smettere di sentirlo. Non è un disco con dei meriti musicali particolari, a parte quello di suonare sbroccato e privo di senso dalla prima all’ultima traccia. Voglio dire, cosa c’è di più esaltante nel guardare un alfiere del NUOVO ROCK ITALIANO (a vent’anni circa dalla sua istituzionalizzazione) sbroccare, trasformarsi in una vecchia e lavare i panni sporchi in pubblico con un disco di pretestuosissimi collage afterhoursiani affogati di feedback senza senso e slogan alla Agnelli? Probabilmente un sacco di cose, ma ai primi trenta ascolti di Padania non sembra. Il che non toglie che sia il disco di un ex alfiere del NUOVO ROCK ITALIANO che sbrocca e in diretta internet si trasforma in una vecchia, affogando in un mare di feedback senza senso e slogan alla Agnelli. Appena lo tolgo dall’auto va a finire sotto la colonna dei dischi Snowdonia.

BURZUM – UMSKIPTAR

“Accantonata senza rimpianti di sorta l’imbarazzante parentesi “ambient” degli ultimi dischi per sola pianola (al gabbio non gli lasciavano tenere nessun altro strumento), torna a dedicarsi al black metal grezzo e angosciante e ventoso e unico al mondo che faceva più che egregiamente prima di finire al fresco, e improvvisamente sembra di essere stati catapultati di nuovo nel 1993. Lui è una specie di totem per ogni dissociato con più o meno seri problemi relazionali che si rispetti: io ascolto Burzum = io sono necroelitario, sprezzante, superiore alla massa, odio la gente, amo solo la natura, sono pagano, ho capito bene Nietzsche. Qualsiasi emarginato dalla società, meglio ancora se metallaro, trova in Burzum la sua rivincita: un ammazzacristiani nazo e misantropo stimato e rispettato, famoso, in qualche misura perfino temuto, con un posto nella storia della musica già suo di diritto e un pugno di dischi di indiscutibile valore all’attivo. Praticamente un semidio. Il Leonardo da Vinci dei deboli e dei reietti.” Dai tempi in cui il collega m.c. scriveva queste cose sono usciti tre dischi, in modalità sempre più triste e automatica. Ancora oggi sentiamo il dovere di ascoltarli, in un gesto di stizza e foga che ci permette di essere così elitariamente conformisti e rigettare l’operato di centinaia di rottinculo che confezionano i loro dischi di imprendibile ambient-blackmetal sintetico nel caldo delle loro camerette come se solo noi avessimo provato la VERA sofferenza. Sfido chiunque a dirmi che la qualità dei dischi post-reunion di Burzum sia in crescita. Due euro al colpo.

GRIMES – VISIONS

Ormai gli hype li si costruisce partendo dalla smentita: il caso di Grimes, una ragazzetta senza talento con un disco di brutte figure di (te piacerebbe) pop contemporaneo, è abbastanza emblematico. S’è iniziato a sentirne parlare male prima di iniziare a sentirne parlare, come se gli hater si fossero mossi prima degli hipster, e poi qualcuno ha instillato il dubbio che non fosse poi così pessima e di lì a tre giorni ci siam trovati in tasca la nuova Karen O e l’idea che una nuova Karen O invece di gambizzare la Karen O vecchia fosse un’idea allettante. Conferme e smentite si sono spinte per settimane e settimane, mentre Visions collezionava una quantità impressionante di ascolti senza che nessuno avesse una pallida idea di cosa farsene. Poi fatto un giro per concerti da queste parti e s’è capito che manco gli hater avrebbero dovuto scomodarsi. Io purtroppo l’ho persa.

BARONESS – YELLOW / GREEN

Sulla fiducia. Il disco non è ancora uscito, ma quando sarà il momento forse qualcuno vorrà convincerci del fatto che un doppio album prog metal senza il tiro e senza la fotta sia –a qualsiasi titolo- una buona mossa o qualcosa a cui guardare per rintracciare dei segni tramite cui rifondare l’heavy metal della nostra epoca. Probabilmente avevamo sbagliato NOI a puntare una cifra anche simbolica su John Baizley, voglio dire, già il Red Album è noiosissimo, ma insomma.

PIL – THIS IS PIL

Altro disco che stiamo ascoltando a raffica, e col plurale intendo io, fatto di b-side della mente umana e deliri in forma di filastrocca che se fossero in italiano probabilmente si griderebbe al Vasco Rossi, con sotto musica da camera PILiana al minimo sindacale, che ci sta affascinando solo perché sfida le nostre certezze in merito a cosa sia pubblicabile e cosa no. Non in senso so bad it’s good, sia chiaro: è più che altro il solito discorso di non capire come la mancanza d’interesse possa elevarsi a forma mentis. John Lydon cavalca l’onda con una dignità rara, ma rimane comunque la questione di ritrovarsi tra due o tre o sei mesi al raduno mensile dei fan dell’ultimo disco dei PIL e saremo rimasti in sette, il ristorante farà schifo e twitter sarà in down.

UNSANE – WRECK

Non posso nascondermi dietro a un dito e questa è l’unica musica che oggi ritengo imprescindibile e necessaria. Naturalmente è uguale identica alla musica prodotta sotto lo stesso nome e dalla stessa gente vent’anni fa, e quello che IO considero necessario dovrebbe essere preso ad esempio di cosa dovrebbe essere preso e buttato nel cestino con sdegno e disgusto in quanto appannaggio di una generazione di vecchi con la bava e la schiena malferma che pensano di insegnare qualcosa a qualcuno. Ieri ero in mezzo a un viaggio in auto con un programma radio di Assante e Castaldo, nel quale veniva più o meno snocciolata la playlist definitiva DEL ROCK, della quale ho fatto in tempo a sentire solo le prime tre posizioni che erano Bob Dylan, i Led Zeppelin e i Pink Floyd, massimo rispetto per Bob Dylan per carità, ma proprio vaffanculo. Ecco, gli Unsane sono i miei Led Zeppelin con meno idee e più fotta, e niente e nessuno riuscirà mai a giustificare la mia mancanza d’immaginazione, men che meno il fatto che gli Unsane di questa generazione non esistano o siano dei manigoldi con una mano sulla frangia e l’altra sull’iPhone. Se avessi diciott’anni probabilmente prenderei una chitarra e caccerei il me vecchio bavoso col trip del noise a piangere in un angolo, o morirei provandoci, o magari mi farei le foto dall’alto ascoltando gli I’m From Barcelona, e rimane comunque il punto.

LANA DEL REY – BORN TO DIE

Un altro caso di hype tipo quello di Grimes riguarda Lana del Rey, ma confronto a Lana del Rey Grimes è una caccoletta. Quando uscì Video Games era assolutamente indispensabile avere un’opinione su Lana del Rey (la maggior parte della gente ha scelto un’opinione tipo non è necessario farsi un’opinione su Lana del Rey dopo aver sentito un pezzo, ti pare?. Gli altri si sono divisi più o meno equamente tra quelli che boh il pezzo non è brutto, vediamo un po’ e chi si augurava che il mondo finisse prima che il disco andasse nei negozi. Alla fine il disco nei negozi c’è andato davvero, ha fatto un po’ di mossa (se non erro si parla di un milione e mezzo di copie) e Lana è stata –sostanzialmente- relegata a fenomeno marginale a metà tra i reality e la strada, occasionale ospite di qualche Saturday Night Live a caso senza che nessuno si sia preso il disturbo di attivarsi per farle fare quel passo che da fenomeno internet ti rende Adele. E dopo due mesi nei quali non ho pensato a Lana del Rey manco una volta, manco davanti a una tipa coi capelli lunghi e le labbra rifatte che minacciava di farmi pestare dal suo fidanzato, è uscito il video di National Anthem. Il video è una versione ipertiroidea del peggior immaginario glo-fi a disposizione della mente umana: Abraham Zapruder come padre putativo di tutti gli hipster col lomokino, A$AP Rocky (lo Snoop Dogg del drugapulco-hop) nel ruolo di Kennedy e ovviamente Lana moderna Jackie O. Un immaginario così tumblr non poteva che rilanciare per l’ennesima volta Lana del Rey come una specie di meta-popstar per quelli che trovano Lady Gaga troppo difficile o troppo carica, e Born To Die (che è il nome del suo primo disco, oltre che l’unica seria dichiarazione programmatica dell’artista) si sta facendo un ultimo giro nei lettori della fanbase inesistente di queste cose con un’onda autogenerata di consensi di secondo grado stile troppo frettolosamente accantonato da un pubblico di hater. Vaffanculo. A questo punto forse dovrei spiegarvi che senso abbia trollare una ragazzina rifatta e la sua fanbase solo perché odio il suo disco e l’estetica alla base del progetto, ma a che pro? Credereste comunque di essere persone migliori di me e/o superiori a queste cazzate. Bravissimi, ma se vi foste dati fuoco al vostro primo hit di Video Games  sul tubo, probabilmente avrei una buona opinione del mondo.

THE SMASHING PUMPKINS – OCEANIA

La maggior parte della gente aveva accettato in tempi non sospetti l’esaurimento della favella di Billy Corgan, si era messa il cuore in pace e si sarebbe potuta vendere la sua storia in una miriade di versioni una più romantica dell’altra. Il punto di frizione principale di tutta l’epopea C0rgan è il pubblico: anche volendo lasciar perdere i fan (che voglio dire, io sono un fan dei PJ e ti posso raccontare anche adesso, seduto a un tavolo, che Backspacer sia un ottimo disco) il mondo è costellato di analisti che hanno preso ogni singola ciofeca incisa dall’uomo da Adore/Machina in poi, smontata pezzo per pezzo, rimontata e rivenduta al pubblico con un inventario dei motivi per cui sì e dei motivi per cui no. Anche dopo cose tipo gli Zwan, Zeitgeist e Teargarden by Kaleidyscope c’è un pacco di gente che non considera Billy Corgan il figlio di Dio ma che comunque pondera dischi come Oceania per filo e per segno con più buona fede di quella riservata a qualsiasi altro artista. Così, come per magia, abbiamo dovuto riprendere in mano l’ultimo disco firmato Smashing Pumpkins e riascoltarlo per essere sicuri che non ci fosse del vero in quelle parole gentili e moderate, quei giudizi dal cautamente positivo all’entusiasta, quelle apologie tipo finalmente torna Billy a ricordarci cos’è il rock americano. Non vi odio ma sono perplesso.

JAMES FERRARO – FAR SIDE VIRTUAL

Ora, che James Ferraro e gli Skaters siano dei grandi non è una cosa che su B**tonate si mette in discussione, ma questa cosa ha a che fare più con il passato dell’uomo che col suo presente. E anche volendo essere indulgenti, abbiamo coscienza del fatto che Far Side Virtual (se non lo conoscete, immaginatevi la versione verista di Neon Indian: cut-up ad altissima fedeltà fatti con materiali di scarto culturale tipo musiche da videogame non-ripescabili e cose così) sia un disco molto conscio e rivelatore di certi scenari. Finito il primo giro d’ascolti, in ogni caso, non vogliamo fare i conti con l’impianto ideologico del disco, e se non possiamo fingere che non esista ALMENO possiamo pensare che non ci porterà da nessuna parte e verrà accantonato come un brutto scherzo nel giro di un altro annetto massimo.

MARK LANEGAN – BLUES FUNERAL

Nessun motivo in particolare, pura qualità: non possiamo permettere che la gioia per l’arrivo del primo disco a nome Lanegan da quasi un decennio distolga la nostra attenzione dal fatto che il primo disco a nome Lanegan da quasi un decennio fa cagare.

L’ultima volta che parliamo del Blasco

la zingara

“Vaffanculo tu e il tuo farisaico codice d’onore della strada del cazzo. Ti ha fatto assolvere quattro volte? No, per niente, io l’ho fatto. (…) Il tuo mondo di merda è piccolo così e c’è solo una regola: salvarsi il culo.”
(Carlito’s Way)

Continuare ad assistere alle fortuite incursioni di Vasco Rossi su facebook o youtube, su base settimanale, ci aveva portato un certo grado di simpatia nei confronti dell’uomo, che sembrava una specie di lato oscuro di Berlusconi, un vecchietto che –passato circa un ventennio in preda allo stordimento progressivo- cerca di prendere coscienza per la prima volta del mondo attorno a lui con un briciolo di buona fede che sulle prime non gli avremmo imputato. Vasco che tira battutine su Ligabue, che si richiama di continuo ai suoi fan e tutto il resto. Queste dinamiche dissociative/associative che sembravano voler cercare un processo di umanizzazione, forse di iperumanizzazione, di Vasco Rossi come cittadino del mondo e/o libero pensatore all’interno di un sistema che reprime o deprime l’essere freak a meno di non poterlo porre come criterio estetico di base. Vasco Rossi non riuscirà mai ad essere UNO DI NOI, ma stava iniziando a diventare in qualche modo UNO DI LORO, una persona che parla la lingua dei suoi fan, uno che spara prima di prendere la mira, uno che rema contro il suo staff e non la manda a dire e non si fa fermare da un parere ragionevole casuale.

Naturalmente non era vero. Mentre l’uomo si spaparanzava sul divano dei social network alla mercè di tutti i curiosi/lovers/haters del caso, lo staff di addetti ai lavori continuava a lavorare da sotto compilando cartelle stampa, smentendo lo smentibile e gestendo il gestibile. Dato che c’era, en passant, l’avvocato o gli avvocati di Vasco Rossi si sono messi d’impegno e hanno fatto chiudere Nonciclopedia, rea di avere una pagina di insulti piuttosto pesanti all’uomo. Nel momento in cui scrivo, dunque, il tag #vascomerda è diventato uno dei trending topic mondiali di twitter. Le conseguenze sono tante. Per prima cosa, questo può generare un qualsiasi interesse dei fan internazionali nei confronti del rocker di Zocca, così da far finalmente conoscere il Blasco agli americani e abbattere una volta per tutte il mito fan-generated secondo cui se Vasco Rossi cantasse in inglese sarebbe Springsteen, VAFFANCULO); secondo, ha generato un’onda lunga che a stretto giro di posta ha fatto parlare della questione i quotidiani online e le sezioni online dei quotidiani fisici. E tutto questo ha generato in presa diretta una risposta piuttosto incredibile di Tania Sachs, che si conclude con “libertà di stampa non è libertà di offendere” (is the new utilizzatore finale).

Probabilmente, tra le altre cose, Tania Sachs non ha torto. E Vasco Rossi, o chi per lui, ha il sacrosanto diritto di querelare chi gli pare e piace, soprattutto se un giudice gli dà ragione. Non che questo possa cambiare la questione, alleggerita da alcuni altri che si scrollano con nonchalance la forfora dalle spalle al grido di “ma sì tanto Nonciclopedia faceva schifo”. Qui stiamo parlando di un’impresa che vende giovanilismo a palate, che vende a sua volta dischi rock con la mano destra (qui stiamo citando il Capo) mentre con la mano sinistra fa l’amicone dei suoi fan e il vecchietto svampito nei social network, e avendo le mani occupate usa i piedi per prendere a calci chi s’azzarda a prenderlo a male parole e/o dargli del vecchietto svampito. Fino ad oggi peraltro s’era manifestato soltanto il piede sinistro del Blasco, nella multipla persona di un esercito di ultras che assalgono le voci di dissenso a botte di mille-duemila alla volta, snocciolando argomenti a prova di bomba tipo “prova a scrivere tu una Sally poi ne riparliamo”; oggi siamo a conoscenza anche del fatto che anche il piede destro di Vasco, cioè i suoi legali, è vivo e in salute. E insomma, non vorrei fare la figura del democristiano ma il modo migliore per trattare con ‘sta gente è non cagarla manco di striscio. Che tornino a fare l’esegesi del loro non esistere in questo piano di realtà,  sponsorizzati dai loro red ronnie e dai loro mollica. O che continuino più semplicemente a spacciare i loro singoli su Virgin Radio e ad affiggere i loro posteroni fuori dalla Feltrinelli e a fare i loro sold-out a San Siro. Reintroduciamo il sano buon vecchio concetto anni novanta secondo cui ci siamo NOI e ci sono LORO e NOI con LORO non ci vogliamo avere a che fare. Non è necessario dover avere a che fare con tutti. Ciao ciao.

Navigarella #5

(fonte: transylvanianhungerrr)

IL FEEDREADER
È uscito anche quest’anno Schegge di Liberazione, ovviamente il 25 aprile. Tutto quello che c’è da sapere lo trovate sul sito. Un piccolo extra è che quest’anno ci ho provato pure io a mandare un contributo, ma è stato ragionevolmente cassato e deputato all’uscita di uno spin-off.
Su Metal Shock c’è Elementi di growling comparato. Scaturisce da un seminario/corso per imparare il cantato metal estremo e tutto sembra sconfinare nel LOAL puro. L’organizzatore del corso interviene nei commenti e conclude con “sapere è potere”. A me piace tutto
Su MetalSucks nel frattempo hanno iniziato a mettere insieme la classifica dei 25 chitarristi più influenti del metal moderno. Il primo dal basso è quello degli Origin (ci posso anche stare). Regole per l’inclusione: essere un chitarrista, suonare metal, aver pubblicato un disco negli ultimi cinque anni.
Negli ultimi giorni qualcuno ha fatto un po’ di chiacchiere su una “possibile” reunion dei Fugazi che segue un’intervista in cui Ian MacKaye ha detto la solita cosa che dice sempre in questi casi (“non so se ci riformeremo, non so se non, non è che abbiamo litigato, non è che lo faremo per i soldi, bla bla bla”). Ogni tanto le persone hanno bisogno di credere in qualcosa. Presenti inclusi.
In un’epoca di globalizzazione in cui è molto alto il rischio di essere marginalizzati dai mercati internazionali“, con grande scaltrezza, il MEI viene spostato da Faenza a Bari. La cosa ha a che fare (suppongo) con un ardito piano di smaltimento rifiuti messo in atto dal centro-nord per scaricare in Puglia i festival che prevedono la presenza di “gruppi emergenti”, possibilmente in guerra tra loro (tra l’altro, considerando che il boss del Mei e il cantante dei Negramaro hanno lo stesso cognome, ha tutto l’aspetto di un matrimonio in paradiso). A funestare la Romagna rimarrà un festival settembrino a Faenza, minacciato essere “il più grande festival di musica italiana per giovani emergenti”. WOW.
Esce un documentario di Ice-T sul rap.
Ieri c’era Shakira a Bologna e io me la son bruciata. Niente link.
Il caso letterario della primavera 2011 sembra essere Go the Fuck to Sleep, fiabe per bambini per adulti, su Finzioni qualche dettaglio. Il sito di Finzioni s’è fatto fare il restyling ed è molto ganzo. Rosico.

LE FOTO
Qui ci sono le foto del Roadburn 2011, roba tranquilla, niente colpi di testa, niente crimini, sicuramente meglio di come le avrei fatte io.

IL LEAK
Vedevo ora su twitter, qualcuno m’ha segnalato il nuovo Master Musicians of Bukkake –roba senza la quale proprio non riuscivo a vivere.

LA REUNION
Leggevo su Sceneboot che si riformano gli Ornaments.

IL MORTO
Osama Bin Laden, poco sopra.

IL LOAL
Vasco Rossi. Ci tornerò con un coso apposito.

L’agendina dei concerti Emilia Romagna – 27 settembre-3 ottobre

"EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEHHHHHHHHHHH!!!" (foto presa dal blog di Paolo Liguori)

 
State meditando il suicidio perché oggi e domani c’è il Blasco in città e i biglietti sono andati esauriti sei anni fa? Niente panico e rimandate l’insano gesto: questa sera potrete scegliere tra A Birthday Party Band + Jack & the Themselves al Nuovo Lazzaretto (dalle 22, cinque euro) o i folli Heraclite gratis al Clandestino (dopo aver sentito questi ultimi vi garantiamo personalmente che il vostro cervello finirà in vacanza permanente su Saturno). Poi c’è sempre martedì per farla finita eventualmente, visto che in giro non c’è un cazzo. Mercoledì 29 ancora al Clandestino a farsi friggere quei pochi centri nervosi rimasti in attività dopo gli Heraclite al suono del Legendary Tiger Man (gratis, dalle 22), mentre giovedì 30 tutti ad arrostire cinghiali grossi come elefanti e a tracannare sidro di pessima qualità da corni luridi e bisunti: il gjallarhorn risuonerà in tutto il suo assordante furore bellico intorno alle 19 all’Estragon, in occasione della Heidenfest 2010. Trenta euracci il prezzo per l’ingresso nel Walhalla (valkyrie infoiate non incluse). Per i fighetti in vena di sporcarsi le mani col rock invece ci sono i Black Mountain al Bronson.
Venerdì 1 bisogna veramente tornare in pellegrinaggio al Clandestino per celebrare il manifestarsi di uno dei più grandi eroi di tutta la storia della musica (e dell’umanità): direttamente dal sottoscala degli uffici ormai abbandonati della Skin Graft, ecco Mr. Quintron e tutto il suo sterminato armamentario di strumenti autocostruiti che faranno del vostro cranio una pastosa e coloratissima omelette. Poi per chi è ancora vivo c’è sempre Josh Wink a dispensare le sue bordate di 303 a mitraglia che con il giusto dosaggio di MDMA è la morte sua; al Kindergarten dalle 23.30, metterei anche il prezzo ma quei bastardini non l’hanno scritto (facile che è sulla quindicina).
Sabato tutti a farci del male alla serata Slego remember al Velvet: ad aiutarci ricordare quanto eravano giovani belli e (in)felici ci penseranno il satiro Fiumani con i Diaframma (probabilmente i brani più recenti Pacciani style verranno momentaneamente accantonati a favore di una scaletta più improntata sul reducismo peso), e a seguire Thomas Balsamini dj. Qui tutte le informazioni. Per i b-boys invece, Assalti canta e non manda in letargo le menti dalle 22 al TPO a prezzo non pervenuto. Domenica dovevano esserci gli Hardcore Superstar all’Estragon ma mi sa che hanno annullato; magari è rimasto qualche biglietto per il Blasco al Palamalaguti. Chissà.