L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 14-20 marzo 2011

Celebriamo (immagine presa dalla Nonciclopedia).

 

La settimana inizia con un evento che ha il sapore del regalo: questa sera al Clandestino gratis come sempre dalle 22 Gentlemen & Assassins, il nuovo progetto di Martin Bisi (produttore e socio di lunga data di Bill Laswell, Michael Gira e Foetus tra gli altri, se non sapete di cosa sto parlando siete arrivati qui cercando foto di negri albini col cazzo piccolo su google), un appuntamento che da solo basta a cancellare tutte le menate sull’Unità d’Italia e i deliri da Philip Dick drogato sul nucleare anche da noi. Una benedizione.
Martedì niente di niente. Si passa direttamente a mercoledì con la “Palustre Night” all’interno di MeryXM: suoni strani, smanettamenti analogici fastidiosi e gran tripudio di pedali e pedaliere e feedback lancinanti come se non ci fosse un domani. Gratis, da orario aperitivo fino al collasso dei timpani (nostri). Giovedì celebriamo con Burn, Baby, Burn al Locomotiv, ovvero Julee Cruise, Kid Congo Powers, Khan, Alexander Hacke e altre icone irraggiungibili della stessa risma; dalle 22, quindici euro più tessera AICS e vista la temperatura interna al locale ci sarà da bruciare per davvero.
Venerdì arrivano gli Ex-Otago al Covo a ricordarci che The Chestnuts Time è ancora uno dei dischi italiani più belli di sempre (poi tutto il resto potete pure buttarlo nel cesso, ma questa ohimè è un’altra storia); parallelamente, il ritorno dei Death of Anna Karina al Locomotiv (dalle 22, cinque euro più tessera AICS). Sabato ancora al Locomotiv l’ultima data bolognese degli Zu con la lineup originale (dalle 22, dieci euro più tessera AICS), poi tutti al Link per il ventennale della PLUS8 con John Acquaviva, Speedy J e Danilo Vigorito (manca per ovvie ragioni Richie Hawtin): ventitrè euro più altri cinque di tessera per un bel remember del sound di Detroit che se lo vai a dire a Detroit ti scuoiano vivo. Domenica conviene conservare un briciolo di energie perché c’è Bill Frisell al Fillmore di Cortemaggiore.

 

Parallelamente a tutto questo, da giovedì fino a domenica parte Transmissions, con una programmazione al solito devastante per dissociati, disturbati, alienati e tossici, ovvero la musica che piace a noi e quello che siamo.

Badilate di cultura: “Precious”

 

Lee Daniels è un negro frocio, e te lo sbatte in faccia come se la cosa dovesse in qualche modo riguardarti. Produttore di roba problematica in odore di Oscar (lo stigmatizzante Monster’s Ball, che di Oscar ne portò effettivamente a casa uno, e lo sgradevole quanto gratuito The Woodsman, che invece non ha vinto un cazzo), Precious è il suo secondo film da regista dopo lo straordinariamente brutto Shadowboxer (un intricatissimo polpettone interrazziale e gerontofilo che non ci si capacita come sia potuto uscite da intelletto umano, con un cast che pare assemblato tirando a sorte; un flop epico pericolosamente dalle parti del so bad it’s good più spinto), ha rastrellato premi in ogni dove – tra cui due Oscar su sette nominations – ed è una porcata che nuovamente si fatica a credere. Tratto dall’astioso romanzo Push, opera prima (e finora unica) in prosa della poetessa negra bisessuale femminista incazzosa übermilitante Sapphire, il film prende le mosse dalla vicenda – agghiacciante – di Claireece ‘Precious’ Jones, sedicenne negra obesa semianalfabeta ripetutamente stuprata dal padre tossicodipendente e per questo già madre di una bimba con la sindrome di Down opportunamente battezzata “Mongoloid” (…), rimasta nuovamente incinta (sempre dal padre), espulsa da scuola una volta appreso della seconda gravidanza e odiata dalla madre obesa disfunzionale perché – sostiene la genitrice – le ha rubato l’uomo. Finisce in una scuola speciale insieme ad altre debosciate del ghetto che dicono un sacco di parolacce; la maestra è una lesbica molto in gamba che di nome fa Blu Rain (…). Claireece impara cose profonde e piene di significato. La maestra le porta al museo. Nel frattempo la madre (una mostruosa Mo’Nique, giustamente premiata con l’Oscar) continua a coprirla di insulti proferiti con cadenza, loquela e atteggiamento da rapper, le tira stoviglie addosso e la obbliga ad andare a ritirare l’assegno della previdenza sociale. L’assistente sociale è una sciattissima Mariah Carey (…), evidentemente convinta che la condizione necessaria e sufficiente per essere un’attrice seria sia recitare struccata indossando squallidi completini della Upim; Mariah subodora qualcosa a proposito dell’incesto, ma tace e continua ad allungarle l’assegno. Claireece ha le doglie; viene trasportata in ospedale. Sgrava. Decide di chiamare il secondogenito “Abdul”. In ospedale conosce un inserviente gentile (Lenny Kravitz, credibile come infermiere quanto può esserlo Rocco Siffredi nei panni di un seminarista). Torna a casa. Scappa di casa. Va a vivere in casa di Blu Rain e compagna (e qui parte un’allucinante tirata pro-gay che farebbe venire voglia di prendere le spranghe anche a Nichi Vendola). Mariah Carey organizza un incontro madre-figlia dove ‘Precious’ impara che il padre – nel frattempo morto – aveva l’AIDS. ‘Precious’ va a fare il test: è sieropositiva, ma Abdul non lo è. Monologo incoraggiante con voce fuori campo, titoli di coda.
Il materiale umano di partenza, come detto, era (è) profondamente perturbante e autenticamente scomodo, e non oso pensare che film sarebbe potuto uscire se le redini del progetto fossero finite in mano a gente con l’attitudine e il know-how necessari per trattare degnamente questa roba, penso a Werner Herzog, a Jaco Van Dormael (che avrebbe tirato fuori ben altro che le sequenze oniriche da ciarlatani che invece si vedono qui), al primo John Singleton, che diamine!, perfino a Ulrich Seidl; il problema è che Lee Daniels di concetti quali pietà umana o etica dello sguardo e della visione se ne strafrega, arciconvinto com’è dell’indiscutibile giustezza e inoppugnabilità della sua visione delle cose, e per questo si limita a sfruttare una storia che contempla abissi di dolore, isolamento, abiezione e orrore dalle potenzialità infinite unicamente per costruirci sopra un film rigidamente a tesi che al confronto il vecchio cinema civile italiano era roba da pavidi moderati con la diarrea nelle mutande, insopportabilmente saccente e manicheo, tracimante l’insostenibile arroganza e la ripugnante protervia di chi dall’alto di cattedre che non si capisce perché mai dovrebbero spettargli ti viene a spiegare come va il mondo. E per farlo non arretra di fronte a niente, è pronto a tutto, anche a utilizzare i freaks in modo strumentale (la protagonista Gabourey ‘Gabby’ Sibide, oltre 160 chili, scelta tra decine di aspiranti attrici obese tra i 18 e i 25 anni). Ne esce una favoletta schematica e superficiale, greve e normativa, sgradevole e respingente più che altro per l’ego ipertrofico e lo smisurato autocompiacimento del regista (e per un montaggio bruttissimo e urticante peraltro avvallato da un’incomprensibile nomination agli Oscar, l’ennesima), che mira in alto con boria e ostinazione per dire, alla fine della fiera, che i froci sono buoni e quasi nient’altro, risultando così alla fine paradossalmente insultante proprio verso le categorie che con foga da inquisitore si affanna a difendere (come se negri e gay in quanto tali avessero bisogno di di un Lee Daniels qualsiasi con la sua seriosità turgida e mortuaria per venire “difesi”). Il classico sparo nel buio, o qualcosa del genere. Nessuna meraviglia che al Sundance abbia fatto sfracelli.

L’agendina dei concerti Bologna e dintorni – 2-7 novembre

chette possino caricatte

 

e insomma Genesis P-Orridge ha sbroccato di nuovo (del resto è così che funziona: o sbrocca per qualche motivo del cazzo oppure finisce in ospedale per manutenzione alle protesi), quindi se questa sera volevate andare a darvi un tono all’Arena del Sole per il concerto dei Throbbing Gristle sappiate che manca il freak principale; rimangono comunque Sleazy, Cosey e Chris che – ne siamo sicuri – scateneranno un casino infernale con i loro laptop antagonisti. Se invece non ve ne frega un cazzo del baccano o di farvi passare per Grandi Artisti che ne capiscono di musica, tenete presente che c’è William Parker in città: alle 18 parteciperà alla presentazione del libro a lui dedicato al Modo Infoshop, e in serata si esibirà al Take Five. Mercoledì dalle 19 di nuovo al Modo Infoshop una conversazione tra lo psicosciamano Antonello Cresti e il mucchiesco Aurelio Pasini in occasione dell’uscita di Lucifer Over London, sulfureo tomo sui più dissociati e occultistici sperimentatori della Perfida Albione; ingresso vietato a chi non ha in casa almeno un LP originale dei Coil.
Giovedì è la serata per i b-boys: all’Estragon i Public Enemy in karaoke belligerante (dalle 22 per venticinque euro), allo Zuni il cogitabondo Kaos One in dj-set nostalgico (si replica il 18 novembre).
Venerdì trasferta a Faenza per il Japanese New Music Festival: Yoshida dei Ruins, Makoto & Atsushi degli Acid Mothers Temple insieme per sette differenti installazioni che coprono praticamente tutto lo scibile musicale tra acid rock lisergico, psichedelia free-form, improvvisazione totale e manicomiali inserti free grind da mandare in pappa il cervello anche alla buonanima di Ken Kesey (che è vivo e lotta insieme a noi). Per gli intellettuali che vogliono rimanere in zona c’è Jamie Lidell al Locomotiv, ovvero in un qualunque altro locale di Bologna e dintorni che NON sia il Locomotiv, questo perchè settimana scorsa tutti i concerti in programma sono stati dirottati verso altre locations e nell’immediato non sussistono indizi che possano portate a ipotizzare un’inversione del trend; come si dice, more news to come (forse)… in ogni caso, dopo tutti al Link per il nuovo live – rigorosamente in analogico – del grandissimo Mathew Jonson, uno che se solo provate a nominargli Traktor prima vi sputa in faccia poi vi versa la stricnina nella bottiglietta d’acqua piena di MDMA.
Sabato ancora al Link per l’evento mondano dell’anno, serata imprescindibile per froci tossici e intelligentoni: Caribou e Four Tet l’uno dopo l’altro e poi di nuovo Caribou in dj-set, dalle 23 alla modica cifra di venticinque euro. Infine, domenica ci sarà da scegliere tra Liars + John Wiese al Locomotiv (ovvero ovunque nell’universo tranne che al Locomotiv) oppure il British Steel Festival all’Estragon, dal primo pomeriggio per trenta euri una colata di metallo incandescente direttamente dagli eighties britannici più fetidi, birraioli e proletari; in mezzo ci sono anche i nostri Crying Steel. Non so voi, ma io corro a lucidare le borchie del chiodo di mio nonno.