La pesantata del venerdì, n. 1: licenziarsi ballando, e intanto altri muoiono, e intanto tutto collassa

Balla

[“La pesantata del venerdì” è la nuova rubrica di Bastonate. Se ne prevedono uno edizioni. Parla di quanto fa schifo il mondo usando argomenti incomprensibili ai più. Chi li capisce è inevitabilmente d’accordo. Viene pubblicata il venerdì. Oggi è giovedì. Vaffanculo] [Questo pezzo è ispirato a questo video]

Arriverà un giorno, non so quando ma arriverà, che una guerra, la morte, o la peste, porranno fine a questa civiltà insulsa. Questo postaccio chiamato L’OGGI dove i Giovani hanno dai 28 ai 34 anni, una stupenda idea creativa ciascuno e un paese migliore – non il loro – dove esprimerla.  Voglio dire: ma ve ne accorgete, voi, che la pubblicità ci ha divorato corpo e anima, forse è anche peggio della “pubblicità”, è il commercio totalitario, la compravendita generalizzata e qui mi fermo prima di arrivare a dire parole tipo LA MERCIFICAZIONE che darebbero a quanto scrivo l’aspetto fastidioso di una di quelle stronzate che scrivono quelli che sono stati all’università. L’università, bòni quelli: saprebbero spiegarti perché i social network distruggono le relazioni sociali, descriverti che la mancanza di credenze religiose disgrega una società, o dimostrarti  come e perché – in quali punti esatti, da quali fonti – le opere di Shakespeare siano tutte scopiazzate, ma non sarebbero mai e poi mai capaci di assumersi la minima responsabilità intellettuale, dire, che so, che i social network sono una stronzata propagandata dal demonio, che Dio esiste, e che questo è dimostrato dalla ineguagliabilità delle opere di Shakespeare .

Ma tornando al punto, se mai lo ho toccato: possibile che ci siamo davvero ridotti a questo, a una paralizzante ossessione per noi stessi e per l’intrattenimento e per il modo migliore di farci vedere, propagandarci, venderci, equivocando come Geniali e Rispettabili questi sporchi trucchi da mercante   – ci potete mettere tutti i NEURO che volete, ma l’essenza principale delle povere discipline che studiate è vendere quanta più roba potete a persone che in linea di principio non la vorrebbero.

Ossia: vaffanculo! Che non è molto social strategy planner designing viral manager da dire, ma è tutto quello che in sostanza si può commentare se vedi che siamo ridotti a un tale amore di noi stessi, a una tale autoreferenzialità per così dire sociale (“me stesso me stesso me stesso” e “questo lo metterò su facebook” sono in sostanza i due pensieri nascosti nel retro di pressoché tutte le nostre azioni) da progettare in modo cool-viral un auto-licenziamento dovuto principalmente alla scoperta che il mondo del lavoro è piuttosto duro (questo almeno a giudicare dal “lancio” di questo video, poi non so: è vero, non dovrei giudicare senza conoscere le situazioni a fondo, ma è vero anche, credo, che non mi si dovrebbe ballare in faccia per così puerili ragioni) e non è hip-social-fico-tuttoungioco come ce lo hanno/ce lo siamo raccontato. Ragazzi è così: è una merda. Nel mondo del lavoro, potrei dire nel mondo, contano non-valori di taglio esclusivamente commerciale, e non ne sarete esclusi proprio voi, perché seguite gli stessi schemi. Seguiamo, se volete. Abbiamo lo stesso approccio, la stessa impostazione, usiamo la stessa accezione pubblicitario-effimero-antropologica di “cultura” intesa come “tutto ciò che facciamo e ci sollazza”; usiamo il termine PRODOTTO in modo non dispregiativo, guardiamo Mad Men (“le serie tv sono cultura”) che ci rassicura ancora di più che la pubblicità sia cultura, la vendita sia cultura, fare soldi sia un’attività che se fatta con dei bei vestiti addosso diventa nobile – oltre che divertente e spendibile in società, cosa che poi è il requisito minimo. E il motivo per cui la tizia si è licenziata. Si è sentita di non star facendo niente di particolarmente Williamsburg. Deve essersi sentita non cacata. Non connessa. Non viral. Così si è twittata, si è condivisa. Ha cercato di mettersi carina prima  – ci ha pensato bene, per via della spendibilità in società, capite. Che poi vuol dire in gran parte “sesso” ma non ho voglia di discutere questo punto non tanto perché è banale, ma quanto perché la cosa – finalizzare ogni singolo gesto, pensiero, ogni azione all’accoppiamento e ritenere la cosa giusta e santa – rappresenta un così gran valore, uno scopo così totalizzante per quasi tutti che cercare di proporre un’altra visione della cosa sarebbe del tutto sterile.

Ma insomma, dicevo. Ti vuoi licenziare, e per farlo  you go viral. Sapete cosa farebbe una persona seria se volesse licenziarsi? Cosa farei io. Io andrei lì dove lavoro, armato, e ne chiuderei dentro con me dieci o quindici. Poi aspetterei che si creasse tutto lo psicodramma, il matto chiuso dentro, le forze dell’ordine, e ne ha liberato uno, due, gli ostaggi liberati ad ora sono quattro, alla fine tutti, e poi una volta rimasto solo, quando ormai col megafono sono certi di convincermi a cedere, da dentro un urlo – sono io che urlo -, non s’è capito bene cosa urlava il pazzo ma è sembrato AMLETO IN PURGATORIO, e poi l’esplosione, lo schianto, le fiamme contro il cielo notturno. Viva le forze di polizia, viva i nostri eroi che hanno circoscritto l’incendio e salvato quasi tutto (87,34 euro di danni alla fine, che saranno mandati alla vedova).  Era normale, dicevano i vicini. Un po’ cupo, a volte. I bambini avevano paura quando usciva con quel cagnaccio nero. Una bestiaccia feroce, sporca. Mica tanto normale alla fine: nel suo laptop aveva diciotto giga di mp3 musicali tra cui il disco di ICONA POP scaricato tre volte (una nella cartella INCOMPLETE). I giornalisti scopriranno questo blog e con pathos e spettacolarizzazione diranno: lo aveva annunciato su internet! E insomma così. Dove eravamo rimasti?

Eravamo rimasti a che stavamo per dire che Kurt Cobain, il più grande autore rock insieme a Dylan, ha detto sul tema che “non puoi licenziarmi, sono io che me ne vado”, che è un po’ la versione sana della disperazione, è un po’ lo stesso modo di fallire, senza però l’arroganza dei giovani (28-34) iperconnessi di oggi. No, non è vero, è tirata per i capelli: volevo solo dire da qualche parte che il box di In Utero sarebbe davvero da comprare, se compraste dischi. Come non detto. E’ uscito il nuovo iphone, affrettatevi!

Tutto quanto ho scritto, si potrebbe sostenere, è perfettamente inutile, se non altro perché è già stato detto e ripetuto mille volte, la più recente di cui ho notizia in occasione del saggio di Vargas Llosa, La civiltà dello spettacolo. Ma il fatto è che Mario, non c’è un cazzo da fa’: non li comprano i libri, non li leggono. Proviamo con mezzo blog. Proviamo, proviamo…

“This Is…Icona Pop” [is] a collection of cranked-up, EDM-influenced pop that sounds like a cross between ABBA’s Gold and Andrew WK’s I Get Wet. “Then We Kiss” is a perfect closer– the kind of song to the tune of which balloons and confetti fall out of rafters– and its final, chanted lines (“All I wanna do is have a good time”) serve as a succinct summary of the 32 minutes that have come before. The only thing Icona Pop take seriously is fun, which is to say that they don’t take anything very seriously at all [da www.pitchfork.com]